Sarebbe stato più complicato resisterle, se non fosse stato per la regola che si era imposto: non provarci mai con la sorella di un tuo amico. Nemmeno di un semplice conoscente.
Non era proprio una sua di regola, a dire il vero. Intendo dire che non l'aveva inventata lui, ma Fred. Fred gli aveva raccontato di aver deciso di metterla in pratica dopo che s'erano rotti i rapporti con un collega di lavoro che gli stava assai simpatico. La colpa fu di aver conosciuto sua sorella. A sua difesa, c'è da dire che era davvero carina. L'aveva conosciuta in palestra, l'aveva invitata al cinema e, da cosa nasce cosa, ci uscì per un paio di mesi fino a quando si rese conto che lei, anche se davvero carina, non amava particolarmente la nobile arte della depilazione. Finì per mollarla. Litigò con lei e col fratello-collega. Ancora oggi non si rivolgono più la parola. Un vero peccato. A lavoro, avere delle persone amiche che cordialmente ti rivolgono un semplice Ciao, buongiorno, hai visto la partita, che ne pensi di Carver, cose così, fa sempre comodo. È come avere un alleato sul campo di battaglia. Ad ogni modo, lui non avrebbe fatto la fine di Fred. Nossignore. Poche regole, non ne seguiva tante, ma quelle che poche dovevano essere buone, le migliori. Quindi se ne restava buono buono sul divano, con la sua Becks nella mano destra, ascoltava la musica, una vecchia compilation di vecchi brani rock anni settanta ottanta che aveva chiesto di fare a suo fratello, ne seguiva il tempo con la sinistra e si godeva staticamente la festa che aveva organizzato per la laurea di sua cugina. Oddio, attenzione, non è che fosse proprio sua cugina, non genealogicamente almeno. Era la figlia di un amico di famiglia che, da piccoli, lui e suo fratello, avevano preso l'abitudine a chiamare Zio. Di conseguenza, sua figlia era loro “cugina”, appunto con le virgolette. E fino a quattro cinque anni fa non avrebbe mai pensato di poterla immaginare nuda sul suo cazzo. Certo, a pensarci, al di là di ogni fisima mentale, non c'era nessuna legge di Fred - in fin dei conti si parla di sorelle, non di cugine - né un particolare codice del pudore, che gli vietasse di provarci con una che, in fin dei conti, per l'appunto, non era davvero sua cugina. Certo, erano cresciuti insieme, si erano visti in media quattro volte a settimana, per ventiquattro giorni al mese che in un anno sono duecento ottantotto giorni; praticamente stavano sempre insieme e avrebbe potuto giurare di ricordarla andare a gattoni sul tappeto di casa sua, col pannolino, o di quando, tutta rossa in viso, la madre ebbe la brillante idea di comunicare a tutti del suo primo ciclo; l'aveva sentita piangere a causa dei brufoli o di qualche chilo di troppo sui fianchi. Ma la carne è carne e per quanto l'anima potesse mettere su paradenti e guantoni da boxe, non avrebbe potuto nulla contro quel desiderio che, piano piano, gli saliva su dai pantaloni. Se la regola di Fred aveva ancora un senso era per il solo motivo che, disintegrati per costruzione quelli genetici, rompendo qualsiasi indugio, avrebbe rischiato di bruciare non solo il rapporto con lei, ma anche con suo Zio - che non era suo zio - e anni e anni d'amicizia con i suoi genitori. Successe che erano andati ad un festa insieme e lì si erano ubriacati. Non era certo la prima volta: festa, alcol, la testa che gira, fin qui, tutto nella norma, almeno fino a quando lei non incominciò a strusciarsi addosso ad un ragazzo che aveva conosciuto due ore prima. Non era la prima volta che gli capitava di guardarla alle prese con un altro uomo. Tante volte le aveva anche dato consigli, l'aveva aiutata, su cosa dire, su come approcciare, con chi poter andare e chi no, chi era idiota e, insomma, quelle cose lì. In quel preciso istante si era reso conto non solo che stava eccitandosi, ma che era anche geloso. - Com'è che non me ne ero accorto prima – si domandò, guardando il culo tondo e perfetto stretto nei bluejeans che saliva e scendeva sul cazzo dello sconosciuto di cui sopra. Passò la serata intera a cercare di togliersela dalla testa. Ci riuscì a mala pena e, quando si rimisero in macchina, per eludere l'imbarazzo, lui che di solito è di poche parole, si scoprì a parlare talmente tanto che – se ne era convinto – ormai era chiaro che qualcosa tra i due fosse cambiato. Dicevo della festa di laurea. Una festicciola di una ventina di intimi invitati. Non tantissimi, di certo più dei canonici tre cristiani che riteneva potessero varcare la soglia di casa sua. Si era subito dannato di averle detto di sì. Casa sua è un museo. Tutti ci possono entrare, ma due alla volta, al massimo tre, solo se dotati di grande senso dell'igiene e a patto che aiutassero a rassettarla, prima di andare via. Non per altro: semplicemente amava il silenzio e soprattutto l'ordine. Gli fu subito chiaro che pentirsene, ora che aveva la casa invasa da sconosciuti che, di certo, non lo avrebbero aiutato a riassettare casa, fosse ormai troppo tardi. La prese con pazienza e filosofia. E comunque, a dirla tutta, fece tutto lei. Comprò l'alcol, da mangiare, tutto. Lui ci aveva messo solo le quattro mura. Anche se, se ne era presto reso conto, stava per infrangere la regola, l'unica che si era imposto, il lascito di Fred prima che, questi si trasferisse nella lontana e gelida Copenaghen, (Cosa ci fosse andato a fare laggiù, a Copenaghen, ancora non lo aveva scoperto), in fondo, tutto sommato, non andò per niente male: non gli distrussero casa e riuscì pure a divertirsi anche se, con sua “cugina”, non era riuscito a scambiare nemmeno una parola. Ci riuscì a festa finita, alle quattro del mattino, quando anche l'ultimo invitato se n'era andato, portandosi via un cartone di birra da sei. - Allora? Ti sei divertito? - Sì, e tu? - Non male. Anzi, grazie ancora per la festa. I miei non avrebbero mai accettato che facessi una cosa simile e poi, lo sai, non sarei mai riuscita a farli allontanare da casa. Sei l'unica persona che vive da solo a cui avrei potuto chiedere questa cortesia. - Sì, sì. Non ti preoccupare. Si mise a guardare in giro. Il divano sporco di birra, il tavolo nascosto da una decina di cartoni della pizza, la libreria piena di bicchieri di carta. Scosse la testa e pensò che avrebbe dovuto chiamare la signora delle pulizie e chiederle di venire il giorno dopo la festa, ma ormai era troppo tardi. - Dai, non preoccuparti. Adesso ti do una mano. - Naa. Tranquilla. Ormai è tardi, andiamocene a dormire. - Sono troppo ubriaca per mettermi alla guida. Posso restare qui? - Certo. La stanza è di là. Io resto qui, tanto alle otto devo andare via. - Devi andare a lavoro? - Eh sì. - Cavoli, potevi dirmelo. Non ti avrei mai chiesto tanto. E infatti non le avrebbe mai detto di sì, se non fosse che erano notti che sognava il suo bel culo andare su e giù. E che, parecchie volte, mentre si masturbava, si era sorpreso ad immaginare che, a stringergli il cazzo, fossero le sue lunghe e meravigliose dita. Altre volte, a letto con la ragazza con cui stava uscendo in quel periodo, ad occhi chiusi, immaginando che quella a pecora fosse proprio sua cugina, glielo aveva messo nel culo. Come Michael Douglas in Basic Instinct. - Lo sai, siamo come fratello e sorella. Cercava di tenersi distante, di mettere una linea rossa che li separasse, oltre la quale la legge di Fred sarebbe andata a puttane ma, in tanto, per ciò che aveva detto, si sarebbe morso volentieri la lingua. - Già. Proprio come fratello e sorella, vero? - Eh, sì. Più o meno. Diciamo come cugini. Lo sai, ci conosciamo da quando... - Sì, sì. Certo, come no. Si avvicinò, si sedette di fianco a lui, gli tolse la birra da mano e se la portò alla bocca. Ora avrebbe voluto essere il collo di quella bottiglia. - E secondo te, ad un fratello, è permesso avere un'erezione guardando il culo di sua sorella? - Eh? Cosa? - Me ne sono accorta, cosa credi? Anche ora scommetto che ce l'hai duro? E così dicendo, allungò la mano tra le gambe. Fred? Dove sei? Cosa fai lì a Copenaghen? Che diresti ora? In che lingua me lo diresti? Lì, in Danimarca, le donne sono come qui da noi? - Ci avrei scommesso. - Ehi, che fai? - Ti ringrazio per aver messo a disposizione la casa, per essere sempre stato così buono con me e per le attenzioni che hai dato, nell'ultimo periodo, al mio sedere. E così facendo, gli abbassò la cerniera, glielo tirò fuori e iniziò segarlo. - Ma...ma - Sta zitto, mi piaci da sempre e ora mi prendo solo ciò che è mio da una vita. Lo desidero, ti desidero, ti prego, scopami. Allora lui superò la striscia rossa, varcò la regola di Fred, irruppe nella sua anima: si rese conto di averla sempre desiderata. La prese per le mani, l'alzò dal divano, poi la mise in ginocchio, si abbassò i pantaloni, i box, e iniziò a strofinarsi il cazzo sulle guance della “cugina”. La pelle morbida del viso glielo induriva ancora di più. Piano piano, lentamente, lo fece scivolare verso la bocca, tenendole la testa con le mani fino a quando, con un solo colpo, glielo mise dentro. Dentro fuori, fuori dentro. Lei, la “cugina”, gli stringeva il culo e se lo spingeva fino alla gola. Abbassò lo sguardo, lei lo stava guardando, affamata, quasi come se fosse a dieta da una vita. - Lo sai? Credo di desiderarti da sempre. Sorrise, o almeno così gli parve. - Sì, dai, continua, così, brava, piano piano. Poi lei si staccò, si alzò, si girò, si sfilò le mutandine, si mise in ginocchio sul divano, si alzò la gonne, glielo prese in mano e se lo puntò verso il culo. - Sfondamelo, con tutto il desiderio che hai. Fallo tuo. Sono tua. Sborrami in culo. Scopati il culo di tua cugina. Non saprebbe dirci quanto durarono. Più alto è il desiderio, minore è il tempo dell'amplesso. Così gli aveva detto una volta Fred, in uno dei suoi soliti monologhi dispensatori di consigli e regole. Dopo quella notte, non si parlarono più. Ancora oggi non saprebbe darsi una spiegazione. Forse, ripresasi dalla sbronza, ricordandosi di quello che aveva fatto, ne aveva avuto vergogna. Andò via, in silenzio, mentre lui ancora dormiva, senza preoccuparsi delle condizioni in cui i suoi amici avevano lasciato la casa. Lui non fece niente, non le mandò un messaggio, né le fece una telefonata anche se avrebbe voluto, anche se ne soffrì per mesi. Se ne avesse il coraggio, ad una vostra domanda, vi risponderebbe che sì, ne è stato anche innamorato. Non per il culo, sia chiaro: ancora oggi è convinto che sarebbero stati una bella coppia se non fosse stato per... Ma è tutto inutile. Oggi lei è sposata con un tizio, un architetto che – avrebbe poi saputo dalla madre – si diceva avesse avuto seri problemi col gioco d'azzardo ma che adesso faceva il bravo ragazzo. Non che questa sia un'informazione importante ai fini del nostro racconto, ma ci ha tenuto che ve lo dicessi. Il rapporto tra i genitori dell'uno e dell'altra resta ancora oggi ottimo: non vennero mai a conoscenza della regola di Fred e della sua infrazione. Forse aveva avuto ragione lui. A seguire certe regole non si sbaglia mai. Oppure è il contrario? Chi lo sa. Lui ora è sposato, ha due figli, ma ancora oggi, quando i bambini dormono e la moglie si mette di spalle e ha voglia di essere sborrata nel culo, ripensa a quella volta, quando ubriaco, arrapato e innamorato, profanò la regola di Fred e il culo di sua “cugina”. E chiude gli occhi.
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March 2019
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