Diciamocela tutta: c'era venuta un po' una mania compulsiva. S'iniziava alle tre del pomeriggio e si finiva mai. Per dimostrare cosa? Che si voleva chiavare come i ricci, ma a dirlo si passava per dei maiali. E allora giù con gli squillini. Tu pensi me, io penso te, poi mi ripensi, rispondendo al mio squillo che ripeterò per rispondere te in un loop da encefalogramma piatto. Alla fine non significava niente: uno squillo e niente più. Per alcuni era l'alternativa alla masturbazione, l'autoerotismo del nuovo millennio, per altri un pietoso tentativo disperato di non finire a masturbarsi in eterno. Qualcuno lo ha romanticamente paragonato ai cinguettii degli uccelli nella fase del corteggiamento; già, peccato che, ai tempi dello squillo, al corteggiamento era stato tolto il fascino erotico del pre e del dopo. Ve l'ho detto: Nun se chiavavaaaa! Poi venne il tempo di Messenger e la situazione non è che cambiò poi tanto. Anzi, a dirla tutta, finì solo per peggiorare la situazione. Innanzitutto si complicò la chiarezza della comunicazione. Ve lo ricordate? Ad ogni lettera-grafia della qwerty avevi fatto corrispondere un emoticon e quando volevi semplicemente scrivere "Hey, ciao come stai"?, partivano gif, emoticon traballanti, punti interrogativi giganteschi che, a confronto, un trip da Lsd dà meno visioni. E poi c'era lui: Mr Trillo, il fratello piccolo dello squillo. Il significato, dietro al significante, era sempre lo stesso: non ti posso corteggiare ché siamo lontani e se vengo sotto al balcone a farti la serenata, come si usava fare una volta, o passo per tamarro o parte la secchiata d'acqua (nella migliore delle ipotesi); se ti spedisco i fiori a casa, passo per stalker seriale e mi mandi i carabinieri a casa; se ti invio una lettera d'amore, passo per sfigato ché non si porta più, e allora sai che c'è? Mo ti trillo e vediamo che succede. E alla fine, il più delle volte, succedeva una cosa sola, e ora ve lo spiego: Qualcuno ha detto che la nostra generazione è quella più volgare e bestemmiatrice di tutte. E grazie al cazzo: un trillo ti bloccava tutto il Pentium Pc Calcio YouPorn. Tu sei lì, intento a flirtare con una che al 90% ti avrebbe friendzonato (il restante 10 % delle tue speranze erano tutt'al più riposte in una più probabile e accettabile indifferenza), ed ecco che la bruttona-antipatica di turno, che non sai nemmeno com'è che l'hai su Msn, ti trilla, facendoti bestemmiare i morti a Bill Gates. Nel frattempo, lei, quella del 90% più 10, si è messa offline, o forse ti ha cancellato. E ad ogni modo, anche se ti ha risposto, non lo saprai mai ché hai dovuto formattare il Pc. Oggi, nell'era dei social giganteggiata da Facebook, considerato che il poke - ultimo sfatto erede dello squillo, made in Zuckerberg - nessuno più sa cos'è ( e, in realtà, in pochi hanno capito cosa significasse), nell'era in cui il Corteggiamento è diventato una pietosa commedia recitata da pupazzi incelofanati in risvoltini, troni, esterne e volgarità, si è perso un po' di quel tenero romantico imbarazzo, dietro cui si nascondeva il significato dello squillo. Perché, diciamocela tutta, squilli e trilli erano metodi da insicuri, inventati da insicuri che, in fin dei conti, non potevano non suscitare un briciolo di tenerezza. Oggi, fortunatamente, si parla chiaro e, se c'è un interesse, lo si dice senza troppi giri di parole: "senti, che ne diresti se io e te, appena possibile, copulassimo e poi, magari, che ne so, da cosa nasce cosa, non si può mai sapere, va a finire che ci sposiamo pure"? Vanno così oggi le cose o mi sono perso qualcosa? Ormai, a 28 anni quasi, sono un vecchietto e non so più com'è che i giovani fanno acchiappanza. Si dice ancora così? Mado', come sono vecchio.
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Nel Giovane Holden, J.D. Salinger, scrive: "Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l'autore fosse tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira". Chi mi segue da un po' di tempo a questa parte, sa bene che mi affeziono tantissimo agli autori che leggo. Roba che diventano proprio i miei migliori amici. Ma non succede con tutti, eh: dipende da quanto valgono. È come con le persone: mi affeziono tanto facilmente, che potrebbero tranquillamente diventare i miei migliori amici. Ma non succede con tutti, eh: dipende da quanto valgono. Ad ogni modo, il più delle volte, siccome gli autori non li posso telefonare, per capire un po' di cose, approfondisco le letture, accatastandone una marea, una sopra l'altra, ché ad un certo punto mi sento accerchiato e mi sale la claustrofobia; così, giusto per cercare di dare un'oggettività - se c'è - a quello che sto leggendo Come quando ti innamori di una donna e vorresti imparare tutto di lei: cosa fa, cosa studia, chi frequenta, da che parrucchiere va, quanti nei si nascondono sotto ai suoi vestiti: una conoscenza anatomica. Poi ci sono i folli "fallen in love" dell'innamorato, cioè la pazzia più accecante. Avete presente quelle situazioni palesemente pietose, in cui siete convinti che il vostro pazzo amore sia corrisposto e, ogni occhiata, ogni strabico sorriso, credete siano rivolti a voi? (Non sia mai si permetta di offrirvi una gomma: potreste interpretarla, non dico come una proposta di matrimonio, ma che voglia abusare sessualmente di voi, sì, è probabile possiate pensarlo). Ecco: l'illusione interpretativa. Cogli cose che l'autore nemmeno ha mai pensato. Interpreti i fatti e le storie a modo tuo. L'opera, anche senza un buon motivo, anche se non corrisposto, diventa tua per sempre. E quindi, ecco le 10 cose che mi ha insegnato il caro Guglielmo Scuotiscena, o che almeno credo abbia voluto insegnarmi:
Piccolo inciso che potrà non azzeccarci nulla, ma se ci pensi, nulla proprio non è: l'arte non è come la moda che crea la passione del nuovo e l'odio-noia per il già visto e sentito. L'arte è eterna ed infinita. Tanto infinita che il nuovo, se non lo capiamo, è un problema nostro, non dell'arte. Così come non lo si deve per forza mettere in contrasto col vecchio. Ma la domanda è: cos'è arte? Pensateci. #Ciaone Faccio una premessa: nel Post precedente, mi ero permesso di fare una metafora zoomorfa, paragonando la strafottenza collettiva, ma anche del singolo, all'atteggiamento remissivo del Panda. Ho cercato semplicemente di dire, a modo mio, che in un palazzo ci sono delle regole da dover rispettare e che, se non ci si presenta mai alla riunione condominiale, diventa poi complicato far valere le proprie ragioni se, contravvenendo al contratto stipulato, ci si ritrovano imposte 30€ in più da pagare al mese. Oggi il discorso si fa più complicato: la sensazione è quella del mister che, alle telecamere, deve motivare la sconfitta della propria squadra che ha subito un gol in fuorigioco, un'espulsione ingiusta e si è visto negare un rigore. Il 50 + 1 ti mette in difficoltà, dà spazio a chi, fondamentalmente, può legittimamente fregarsene nulla: è la democrazia baby. Il fatto è che dare una spiegazione a tutto questo - del perché la gente se ne freghi, al di là degli agghiaccianti inviti ad astenersi - è talmente complicato che è meglio tacere: non sono un sociologo, né un politico, tantomeno un politicologo e se mi permetto di dire la mia, rischio pure il linciaggio pubblico e, di farmi offendere, non mi va; d'altronde, sono solo uno che cerca di farsi una propria opinione e, più che cantare qualche canzuncella, davvero non può fare nulla. Sì, ok, ho sto viziaccio di leggere, tanto, forse troppo, ma a che può servire? Tanto, ormai, tutti possono dire tutto ma nessuno ha diritto di dire niente. Tutti possono pubblicare tutto e tutti possono dirti cosa non va pubblicato: il piatto di pasta sì, la tessera elettorale no, cosa leggere sì, che bisogna andare a votare no, offendere se si ascolta musica di merda sì, a volte no, ma soprattutto mai criticare l'elettore che l'elettore non fa. "Tu non puoi avere nessun diritto di esprimere la tua fallibile opinione, autocompiacendoti delle tue azioni: questa è la mia insindacabile e imperfettibile, perché già perfetta, opinione, me ne compiaccio e te la scrivo pure su Facebook". Ecco. Questo referendum ha fatto sì che tutti potessero dire qualsiasi cosa su tutto e tutti. E non so se è un male o un bene. Già, perché avere qualcosa da dire è complicato: per molti è molto più facile avere qualcosa da ridire. Stendhal, nel 1830, in "Rosso e il nero" scriveva: L'opinione pubblica è terribile in un paese dotato della carta costituzionale. Già, in questa nostra democrazia, qualcosa non funziona, ma per certe cose c'è sempre il buon Giorgio Gaber, quindi buon ascolto: Il senso è tutto nel titolo, però non voglio darvi le motivazioni del perché sia importante che si barri la strabeneddettisima casella del sì. Ce ne sono tante, ma dovreste essere voi a farvene un'idea. Non deve essere certo il primo blogger del cazzo a dovervi dire cos'è giusto e cos'è sbagliato. Però... però una cosa voglio dirla. In un paese in cui tutto è stramaledettamente sbagliato, corrotto, capovolto, in cui il presidente del Consiglio e l'ex Presidente della Repubblica ( a proposito, ma Matterella dov'è? Cosa fa? Che dice? Esiste?) invitano a non votare, disattendendo ogni apparente logica democratica, in un paese in cui, il popolo - e cioè noi, io, tu - ha sempre meno voce in capitolo, rinunciare ad esprimere il proprio parere, disinteressarsi delle votazioni, buttare nel cesso l'unico potere che si ha, non raggiungere il quorum necessario per far valere il Referendum, è triste, molto triste: significa dare un buon motivo di pensare agli altri, a chi ci governa, che in fin dei conti sia giusto calpestarci, toglierci a mano a mano ogni potere decisionale, non farci contare un emerito cazzo. Un popolo che smette di informarsi, di studiare, di documentarsi, di capire le dinamiche che avviluppano il suo stesso paese, è un popolo destinato a dover morire. E in fin dei conti se lo merita: un po' quello che dice la Gabanelli qui sotto. Un po' come il paradosso del Panda. Non ricordo dov'è che ho letto che uno dei motivi per cui il povero mammifero made in Cina è in via di estinzione è che non è in grado di evolversi: in pratica, la presenza della sua pappa preferita, la canna di bambù, a causa dei continui sconvolgimenti ambientali, è sempre più scarsa. Ora, però, il Panda - secondo quanto ho letto - ce l'avrebbe pure un modo per sostituire il suo preziosissimo bambù nella sua alimentazione, ché gli basterebbe diventare onnivoro visto che, a quanto pare, sempre secondo quanto ho letto, il suo organismo glielo consentirebbe: sarebbe la soluzione più logica per non farsi schiacciare dall'evolversi - in peggio, ovviamente - dell'ecosistema che lo circonda. Ma il Panda è pigro, non ha voglia di andare a caccia, non vuole evolversi, si scoccia e preferisce restare così com'è. Non gli importa se un giorno morirà, se la sua razza si estinguerà, assolutamente no, fanculo a tutti: lui vuole restare uno stupido mammifero che vuole solo il suo stupido bambù. Ora può darsi che questa storia del Panda sia una grande cazzata, però mi piaceva citarla come metafora per spiegare la deriva dell'italiano medio: uno che rifiuta di evolversi, di informarsi e lascia agli altri, al caos programmato, allo sconvolgimento eco-amministrativo in cui vive, le sorti del proprio destino. Ma no, no, povero Panda. Lui almeno ci crede in qualcosa, muore per un'ideale, per un credo: già, perché il suo atteggiamento potrebbe anche essere visto - trovandovi a tutti costi una stringente motivazione assiologica - come una forte coerenza coi propri principii, come una specie di resistenza vegan-cheguevarista. Sarà pure idiota, se ti porta all'estinzione di tutta la tua specie, ma è almeno un'ideale. Mentre all'uomo che decide di calpestare un suo proprio diritto, che resta ostaggio del quorum, non permettendo che la partita si giochi lealmente, facendo vincere il disinteresse, cosa resta, se non l'obbligo di dover morire e scomparire quanto prima sulla faccia della terra? La satira, da sempre, dà fastidio. La satira dà sempre fastidio, La satira dà sempre fastidio, soprattutto quando è fatta male. Lo so, lo so, quando c'è di mezzo un morto, non la si digerisce facile facile, ma non è colpa di Vauro se Grillo è in decomposizione ormai da anni. Questa è brutta, lo so. Però, ecco, il significato del segno è lì: morto Casaleggio cade il M5s. Sarà così, non sarà così, fatto sta che la critica è nei confronti del presunto-probabile-forse no burattino Grillo. Il problema è che la satira fa discutere, quasi sempre e guai non lo facesse: non sarebbe satira, ma Made in Sud. E neanche, Made in Sud non fa nemmeno ridere. La satira deve rompere gli schemi, deve essere fastidiosa, urticante, invadente, prendere a cazzotti i costumi, l'etica e la sensibilità comune, e deve farlo subito, ora, veloce, in un secondo, deve cogliere l'attimo. In una parola, anzi due: deve fregarsene. Fatevene una ragione. Deve farvi gridare allo scandalo e, in un certo senso, perbenismo e pudore sono una buona cartina di tornasole per chi fa satira. Se non sussultate sulla sedia, almeno un tantinello, allora è vero, un problema c'è: come dice il mio amico Maurizio Capuano o siete troppo cattivi per scandalizzarvi o la battuta è fatta male e non ha avuto il suo effetto. Personalmente, non so giudicare la qualità di questa o di qualsiasi altro pezzo di satira, ma so cosa non vi si può mai imputare a colpa: che possa mancare di tatto. Se si è accorti alla suscettibilità dell'ascoltatore-utente, al "sai cos'è? l'ho trovata di cattivo gusto. Non era il momento adatto", si finisce per non fare ciò che abbiamo detto debba fare la satira: scandalizzare. Chi fa satira, semplicemente, se ne frega. E poi, la sensibilità di chi? Dei tanti? Dei pochi? Che tipo di sensibilità? Parliamo di quantità o di qualità, o di cosa? Sensibilità è sorella di Cultura che è cortigiana di Periodo (Storico) che è figlio edipico di Conformismo. No, perché qualcuno potrebbe essere sensibile alla causa dei pensionati in fila alla posta che rischiano ogni mese di essere rapinati da un manipolo di Cingolesi che in realtà sono Napoletani vestiti da Congolesi che si atteggiano a Milanesi, e fregarsene invece dei morti del Mediterraneo. Oppure si può essere (troppo) sensibili a tutto o a niente. E allora cosa succede? Limiti la tua libertà di pensiero per un pubblico intangibile, ipotetico, refrattario a tutto, dai gusti opinabili o che non conosci, oppure, a questo punto, te ne sbatti di tutto, rompi il muro del perbenismo, e lasci che il bellissimo mostro che è la satira esca e faccia un po' quello che gli pare? Perché la satira è idillio della libertà, la bellezza a forma di ghigno. Che poi, chi ha detto che chi fa satira è poco o per niente sensibile? Anzi, è proprio il contrario. C'è di fondo una sensibilità così forte che invece di piangere, ridi - di gusto, per rabbia, per non piangere, ma ridi. Per questo la Satira - con la esse grande - non è per tutti: non tutti sono così sensibili. Tornando a Vauro, giustamente opportunista - questo va detto: ma avrebbe mai potuto aspettare che uscisse dalla camera ardente? O, che ne so, il tempo della tumulazione? Avrebbe perso l'attimo! - il suo obiettivo era puntare il dito contro Beppe Grillo, e forse forse, sotto sotto, fare un velato complimento a Casaleggio? Ma ora facciamo un gioco: sostituite Gelli a Casaleggio e Berlusconi a Grillo. Ok, ce l'avete l'immagine in testa? Sì? Bene, vi scandalizza di meno? Sì? Allora siete tutti Grillini!11!11! No? Siete dei fottuti ipocriti !11!111! Va bene, ok, per voi non sono paragonabili i due casi. Per voi grillini intendo. Ok ok, è davvero così, vi accontento: non sono sarcastico. Però, il fatto è che quella - e cioè che Grillo sia stato una marionetta nelle mani di Casaleggio - resta la specifica democratica opinione satirica di Vauro. Di certo, puoi non essere d'accordo col senso, ma questo è un altro paio di maniche e non ce ne può fregar di meno: l'opinione è il contenuto di una forma espressiva - in questo caso, la satira per l'appunto - e non ha niente a che fare ( più o meno ) con la sua stessa forma che, per trascinarsi il contenuto a suo modo, deve - mi ripeto ancora - suscitare qualcosa, possibilmente scandalo. Chiaro? No? L'ho fatta complicata e ridondante? Mannaggia. Scusate ma è l'orario. Ad ogni modo, non essere d'accordo con il senso è sacrosantissimo, per carità, ma contestare la forma ( che nello specifico fa rima con finalità, quella di cui sopra ) è come voler conoscere la storia contenuta in un libro, rifiutandone però la struttura, il numero delle pagine e il fatto che lo si debba per forza leggere, o come criticare la poesia perché è scritta in versi. In conclusione, ancora un altro paio di maniche è capire - sempre che la cosa freghi davvero a qualcuno o che non sia evidente - se Vauro sia o meno organico ad un sistema che si muove con sue logiche propagandistiche contro altre logiche propagandistiche avverse. Mentre scrivevo, mi sono ricordato stavo della parodica eucaristia fatta da Grillo in un suo spettacolo e alla repentina reazione del web - sommo giudice di ogni scibile scrivibile, musicabile, digitabile: che pena, è un blasfemo!111!11! Sporco zozzone!11!!1!! Qualcuno l'ha detto: soprattutto i cattolici; qualcuno no: soprattutto i pentastellati. Ecco, siamo alle solite: quello sì, si può dire, quest'altro no. Dipende ancora dalla sensibilità di chi investi con la tua satira. E allora: gli ebrei no, i cattolici nemmeno, i musulmani sì, anzi no, no no, assolutamente no: materiale che scotta. Quando si può fare satira? Quando c'è di mezzo Berlusconi? I down no, non li si può toccare giustamente, e Renzi? Renzi si può toccare? E i bambini? Possiamo toccarli i bambini? Soltanto se hai preso i voti e indossi un saio. No, blasfemo! Maleducato! Insensibile! che pena, è un blasfemo!111!11! Sporco zozzone!11!!1!! Scandaloso !!11!11! Bah, non so che scrivere più, ma come si dice? Ai Post(eri) l'ardua sentenza. Non mi interessano gare di solidarietà verso nessuno. Siamo seri: è uno sport, un gioco. Avrei vergogna, oggi, in quest'epoca, coi problemi che realmente abbiamo, a mettermi in questi lungaggini patetiche. A rendermi partecipe in questo volo pindarico generalizzante che ci fa passare dagli attentati di ieri a un JesuisHiguain di oggi con un colpo di reni. Parliamo pur sempre di uomini che in questo mondo ci vivono, lo conoscono e ci mangiano. Intelligenti pauca. Il discorso è un altro: che proprio perché è un gioco, mi hanno fatto venire il latte alle ginocchia tropo presto. Ne ho sempre fatto una malattia, perché adoro proprio il gioco ai limiti del fanatismo da nerd: l'album delle figurine, imparare a memoria la formazione della Lazio di Cragnotti, o la Roma dello scudetto, elencare, durante le feste di compleanno alle scuole medie - mentre le donne iniziavano ad impomatarsi e a capire quanto fosse importante tutto il loro apparato riproduttore - tutti i bidoni del Napoli: da Prunier a Bordi, e poteva durare tutta la compilation Hit Manda Dance. La formazione tipo degli anni '90: Buffon; Cafù Cannavaro Nesta Roberto Carlos; Zidane Veron Davids; Totti Shevchenko Ronaldo. E avevi fuori gente come Batistuta, Baggio, Del Piero, Thuram, Owen, Raul, Morientes, Casillas, Kahn, Stam, Cordoba, J. Zanetti... Le partitelle erano una riproduzione sportiva, in erbetta sintetica, modalità calcio a 5, raramente a 8, di Avatar: ognuno col suo numero di maglia, emulavamo, ovviamente nei limiti reali di una riproduzione per niente fedele, i nostri campioni. Poi c'era sempre il famoso figlio di Maradona, quello che non la passava mai a nessuno, scartava tutti e a porta vuota sbagliava. L'odore del campo sintetico, prenotato di fretta e furia dall'amico più voglioso di giocare, la bottiglina d'acqua, chi perde paga il campo, ok, dai, la pizzetta al bar, va be', facciamo chi perde si prende gli sfottò, quante reti hai fatto?, uà ti sei divorato quel gol, esci purtié, facciamo il tocco per chi va in porta, raga', perdonatemi, ma senza occhiali non vi vedo. Va be', cose che accadono ancora oggi. Perché poi, sì, poi c'è il tifo vero e proprio, che va oltre alla mera passione sportiva: il grassone che canta sugli spalti che ne sa dello sport? Io ne ho fatto sempre un fatto di appartenenza, anche se il presidente della società è Romano, il capitano e Slovacco e l'idolo della tifoseria - di ieri e di oggi - è un Argentino. Nei tempi adulti, per un periodo, ho messo da parte il tifo per dedicarmi ad altro: a me, alla scrittura, alla musica e durante tutta la fase di registrazione del disco - per farvi capire - ho perso praticamente un campionato intero. Avevo approfittato per disintossicarmene. Poi però ci sono ricaduto, come quando provi a toglierti il vizio della sigaretta e intorno a te c'è gente che fuma in continuazione. Per carità, non voglio fare piagnistei, ma rendiamoci conto che il calcio, come qualsiasi cosa che esiste sulla faccia della terra - figuriamoci in Italia - è lo specchio della società in cui si vive. Dove girano soldi, ci sono gli interessi, i poteri forti. Chiaro no? Semplice? Ma non da oggi, ovviamente, non dal fallo di Bonucci non sanzionato con ammonizione. No, assolutamente. Da sempre. Vedi in casa FIFA, per esempio. Senza voler contare i cori, la violenza e la frustrazione di alcuni: per ora, lasciamoli fuori dal giro, quelli lì. Solo che, alla mia età, c'è sempre voglia di illudersi, di credere che alla fine della corsa, della pedalata, della salita - continuo? - della maratona, c'è qualcuno pronto a premiarti, a dirti bravo hai vinto con merito, il mondo è pulito, e tiè eccoti una borsa piena di soldi, diamanti e barrette di cioccolato dimagranti, fanne quello che vuoi, te lo sei meritato. Si è ancora inclini a credere alle fiabe, al fatto che non sono i soldi, le scommesse, i poteri, gli interessi, le percentuali, i pesi e le misure su misura, le trivelle a muoverei i crani delle persone. Macché. Un rigore mancato, un goal non dato, un fuorigioco non visto, interi campionati mossi, falsati, a discapito dei tifosi, a discapito di chi immette - a torto o a ragione, fate voi - tutto se stesso in un gioco, in una maglia, in dei valori che, sì ripeto, ok, potrebbero essere esagerati, ma sono pur sempre veri e onesti. Nemmeno i tifosi di quelli lì, sì, quelli non a colori, meriterebbero tutto questo. Queste falsificazioni nuocciono alle passioni, al calcio, e trasforma tutto in fanatismo. Già, ho il latte alle ginocchia, mi è salito il vomito e ho pure la nausea. Colpa delle sigarette dicono, a no, io ho smesso. Complimenti a me. Sono riuscito a smettere con le sigarette, sarà mica difficile smetterla col calcio? Salve, mi presento, sono un pesciolino rosso e giro giro giro tutti il giorno in questa boccia di vetro che puzza di plastica. Dicono che, a noi pesciolini rossi, la memoria vada via ogni tre secondi, puff, tiri via la spina, e zero, non ricordi più niente, del tipo che mentre sto girando girando girando girando... toh, cosa stavamo dicendo? Non lo ricordo più. Ultimamente non so dove metto la testa. A proposito di memoria, sapete cosa dicono di noi pesciolini rossi? Che riusciamo a ricordare le cose per un massimo di tre secondi. Poi puff, zero, vuoto totale. Però chissà com'è che a lui me lo ricordo ancora bene. Com'era fatto? Chi? Cosa? Chi siete voi? Che volete? Siete proprio odiosi come lui, voi. Lui chi? Ma come chi? Il ragazzetto col cappello che al papà ha detto "Babbo babbo, me lo prendi per favore"? Tra tutti, ha pescato proprio me. Capriccioso, petulante, invadente, infantile. Chi? Ma siete peggio di me con la memoria? Pure voi siete come lui. Infantili, invadenti, petulanti, capricciosi. Sempre a chiedere, sempre a volere le cose. Ho cercato di non farmi afferrare io, eh. Sono un tipo libero, collerico, cocciuto, fondamentalmente anarchico. Nessuno può tenermi in gabbia. Nessuno può mettermi in una boccia di vetro, piuttosto mi do al sushi, a un amante del sushi. E soprattutto va bene chiunque, ma non lui quel piccoletto malefico. Non so perché mi stesse particolarmente antipatico, non me lo ricordo, ma un motivo ci sarà stato. Sai quando uno ti sta antipatico a pesce? No, volevo dire, a pelle, cioè no, a squame, sì, a squame di pesce? Ecco, lui mi stava sulla squama di pesce! La paletta a fendere l'acqua, gli altri pesci immobili, strafottenti, ed io fiu, schuuum, bruuum, fishhh, l'ho scansato una, due, tre volte, poi al quarto tentativo, bruuumfish, ho dimenticato da cosa stessi scappando e lì, proprio lì mi ha fregato. Ora giro giro giro giro in una boccia di vetro. Anche prima ero in una gabbia, penserete, è vero, ma conterà qualcosa, nella vita di ognuno, avere una famiglia, stare insieme a qualcuno che vi ama oppure no? E poi, non ricordo mica cosa ci fosse prima, dove fossi. Ora passerà del tempo prima di riabituarmi a questo nuovo habitat. Tre infiniti secondi. Sarà pure che ho la memoria corta, però io, però io, parò io cosa? Dove sono, che ci faccio qui? Ricordo solo un odore di plastica, e poi questa boccia trasparente in cui mi rifletto tante di quelle volte che mi scopro di volta in volta, quante? Ogni tre secondi. Il tempo di dimenticarmi questo brutto muso rosso e di ritrovarmelo di nuovo appiccicato su questa boccia trasparente riflettente. Sono passati altri tre secondi e mi sembra di impazzire. Sempre lo stesso giro, la stessa boccia, una mano che mi lancia il cibo e questa piantina verde che sa di plastica. Potrei impazzire o o forse sono già impazzito e non me ne rendo conto? Gira e gira e gira e gira. Basta, mi lancio. Ho deciso, un tuffo, un colpo di coda. Basta un salto e fermo questo delirio rotatorio solitario. Sì, un colpo di testa e scopro cosa c'è dall'altra parte del vetro, di questa enorme palla di vita. Dite che morirò? E cosa importa? Tempo tre secondi e sarà tutto dimenticato, puff, zero, vuoto totale. Ecco uno, due, tre ecco... Salve, mi presento, sono un pesciolino rosso e giro giro giro tutti il giorno in questa boccia di vetro che puzza di plastica. Dicono che, a noi pesciolini rossi, la memoria vada via ogni tre secondi, puff, tiri via la spina, e zero, non ricordi più niente, del tipo che mentre sto girando girando girando girando... toh, cosa stavamo dicendo? Non lo ricordo più. |
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