Sottotitolo: Mamma! Guarda come sono felice!Uno scrittore sa sempre come cogliere le sfumature adatte per poter raccontare bene le emozioni che si muovono tra le frattaglie, sopra lo stomaco, dietro al cuore, su e giù per i polmoni, conficcati nei fianchi, dentro la testa, oltre gli occhi. Però io non sono uno scrittore, al massimo un amanuense che tenta di registrare, alla meglio, sia chiaro, tutti i ricordi che hanno ormai appestato il DNA coi loro stronzi sentimentalismi. Ho imparato, a mie spese, che fare arte è anche un esercizio al sacrificio continuo: una lotta tra quello che trat-tieni nascosto per te e quello che vuoi svelare, riponendo tutto in una forma, un ripostiglio a cui hai dato tutto, a cui devi tutto, in cui accogli chiunque. Tenerti in piedi, at-tenerti agli occhi, tenerti vivo a discapito di ( c'è sempre un a discapito di), in bilico tra paure per l'ignoto e speranze, tra ciò che sei e ciò che credono tu debba essere. Fare arte è la quiete dopo i bombardamenti, le ferite che ti sanguinano mentre succhi ancora il sapore della fine. Una cosa è certa, però: col fare vinci sempre, non si perde mai. Poi, se quel fare sia davvero arte, a deciderlo - che ci piaccia o no - saranno i sensi, la pelle, la carne, il ticchettio del tempo ... degli altri. A te, tocca fare. Senza mai stancarti ché, fare arte, significa soprattutto scavare, allargare, costruire, soffrire, ma unire, piantare, insistere, crederci, e - [attenzione spoiler] - vivere. Non so scrivere le emozioni, non so stracciarmele da dosso, non saprei donarvele ed è forse per dispetto che me le tengo care care su di me, per me. Però è da quando ho 12 anni - qualche chilo in meno, qualche brufolo in più - che scrivo lettere d'amore. Ho imparato ad accatastarle, risma su risma, per vincere il silenzio, per contenere le dislessie otorinolaringoiatriche, le balbuzie del cuore che, inevitabilmente, incespica tra le labbra, sulla lingua, già solitamente misoneiste. E ora che ne ho 28 - qualche fisima in più, qualche diottria in meno - a scrivere lettere d'amore, proprio non mi stanco. Già, perché in fondo questa, se la guardi bene da vicino - non tanto vicino se soffri di presbiopia - non è altro che una lettera d'amore, perché così fa l'innamorato: anche se non ha le parole, le cerca, inizia a scarabocchiarle ché, tanto, prima o poi qualcosa ne esce. E poi è così facile scrivere una lettera d'amore. Basta partire dalla cosa più scontata: dalla dedica. E così farò io: dedico le lettera d'amore presente all'amore, ovviamente, giusto per partire; alla vita, per forza - vuoi non ringraziarla? a Secondigliano - sicuramente; al Secondigliano Block Party, in maniera particolare; al coraggio e ai coraggiosi - necessariamente; ai sognatori, soprattutto; al Larsec, capolavoro tra capolavori; a tutti i ragazzi dell'organizzazione; ai ragazzini che gravitano intorno all'associazione: hanno capito, prima di tutti, prima dei grandi, che la felicità è dietro l'angolo, ai lati della bocca, in mezzo ad un sorriso; a Vincenzo, Chiara e Michele; agli artisti che hanno contribuito, firmando, controfirmando, testimoniando con la loro arte, le loro fisime, i loro stomachi, i loro sacrifici che sono palindromi di coraggio e resistenza, ché a botta di dai e dai, alla fine, vinciamo noi; e quindi, ad uno ad uno, dedicato a: Fabio Giobbe, agli Errore 404, a Monica Riccio, ad Antonio D'Angiò, ad Enzo Colursi, a Nello Romagnuolo, a Simone Amoruso, a Leonardo Chianese, a Sara Magdalena, a Valerio Polito, a Roberto Ormanni, a Daniele Ciaravalo & Friends, alle ragazze di GASH, a Gianluca Raro, a Luigi Gallo, ad Alberto Orso, ad Antonio Mascolo, a Roberto Della Ragione, a Mario D'Onofrio, alla loro arte, ai loro dischi, ai loro quadri, ai loro libri-inchiostri arteriosi, alle loro voci, alle loro gambe, ai loro occhi, alle loro mani, al loro sudore, al loro sorriso, alle associazioni sportive e, mannaggia la miseriaccia zozza, sono sicuro che a qualcuno l'ho dimenticato tra i cespugli. A scanso di equivoci, dedicato anche ai cespugli. A quelli potati giusto poco prima dell'evento e a quelli invece lasciati erigersi senza sosta anarchicamente verso l'infinito, verso il sole. Vedi? Non sono per niente uno scrittore bravo. Nemmeno le lettere d'amore so più scrivere ché ho sbagliato pure a fare la dedica. Resto ancora l'adolescente - peletto sul mento in più, peletto sulla lingua in meno - insicuro, impacciato, incapace di esprimere bene, senza incasinarsi troppo con le parole, le proprie emozioni. Però, posso dirvelo? A mo' di confessione, ché questa forse la so fare: per quanto mi ha dato questa seconda edizione, per i calli ai piedi, le gambe indolenzite, il cuore grasso di gioia, le mani che ho stretto, le anime che ho abbracciato, gli occhi che ho conosciuto, il sudore, vi voglio bene. Si riparte anche da qui, insieme. Mamma! Guarda come sono felice!
2 Comments
"E lievete 'a cammesella, a cammesella no no no no." Ma cos'è questo terrore? Come se di uno spettacolo non vi interessasse altro che il finale. Ok che per una serie Tv, un racconto, un film, il the end e, in generale, lo svolgimento/scioglimento della trama, restano gli elementi più attesi, ma state sfidando le leggi delle fisica e della cinetica per quanto siete capaci di far girare le palle con 'sta storia dello spoiler, che uno non può aprire più bocca senza aver paura di poter svelare stralci di storie. Sembrate come quegli americani sfigati che non possono vedersi la finale del Super Bowl, se lo registrano e, durante tutta la giornata-puntata, cercano di non farsi dire il finale. State rovinando amicizie intere, matrimoni saldi dal 1922: è come se di una donna, prima dell'atto sessuale vero e proprio, scopriste, in anteprima, a mano a mano, lembi di pelle - una zizza di qua, un gluteo di là. Non fareste comunque l'ammore con lei? Ok, potreste dirmi che il finale è proprio la scopata in sé, il climax di tutti i preliminari, corteggiamenti, essemmesse e trilli (quanto sono anni '80?) messi insieme, sta bene, ma vi pongo un paradosso: ammettiamo poteste chiedere ad una palla di cristallo com'è fare all'ammore con la persona che vi piace, quali posizioni farete, se si è lavata i denti o tiene il ciatillo Vodka e peperoni imbottiti; a prescindere dalla risposte, cosa cambia? non fareste all'amore con lei lo stesso? non sperimentereste voi stessi, sulla vostra pelle, com'è baciare una/o con l'alito da camionista polacco ben integrato a Casapulla? Non andreste fino in fondo comunque per poter dire che bello o che schifo? Lo so, è un paradosso idiota, ma se Anna Karenina muore, l'infermiera di Addio alle armi pure, così come il figlio di DiCaprio in Revenant, Salvatore Conte e il vibratore di Chanel - per suicidio - in Gomorra 2, per esempio, cosa vi cambia?
Scherzo, non è vero.
Adoro Andrea Tartaglia e sono contento che una canzone così bella e così ben fatta sia riuscita a raggiungere una così grande popolarità ( i dotti direbbero mainstream): anzi, probabilmente, Range Fellon' è finalmente l'esempio di come sia possibile fare della letteratura musicata, ironica, intelligente, impegnata, coinvolgente, simpaticamente casinista, napoletana, senza dover per forza rimettere a lucido la vecchia scatola di latta con dentro il sole, la sfogliatella, pulcinella, la pizza, il mare e il mandolino. Essere napoletano senza dover fare il napoletano. Range Fellon, contenuta esclusivamente nel concept-album-reunion "Capitan Capitone" di Daniele Sepe, ha permesso a molti di scoprire il talento di Andrea Tartaglia che in "Per Errore", con gli Aneuro, dimostra di essere tanta tanta roba. Come sempre, mi limito a parlare dello stile delle parole, dei racconti, del lato narrativo della faccenda musicale che, come sempre, è la parte che più sento di poter essere in grado di recensire. In Andrea, con fluida ispirazione (come direbbero i critici fighettoni), la scrittura è un continuo fondere l'italiano al dialetto, italianizzando l'uno, dialettalizzando l'altro, senza però cadere nelle apocopi e nelle rime più scontate e banali. Se in Range Fellone storpia goliardicamente francese e spagnolo lasciando che, in maniera quasi freudiana, spuntino fuori dai geni stesso del dialetto, la mia sensazione è che, in "Per Errore", piuttosto che rischiare di cadere nel banale (come purtroppo capita a molti cantanti che preferiscono comunicare in dialetto), Andrea scelga con cura le parole più idonee per impreziosire una musicalità che parte dalle parole stesse: ironiche e profonde allo stesso tempo, zompettando a destra e sinistra tra cantato e rap, tra rap e recitato, le parole sono il primo suono su cui i cori, gli arrangiamenti, i musicisti si distendono per completare l'atmosfera di ogni singolo brano. La playlist è eterogenea per argomenti e per atmosfere: "So Vivo" ha un zen appeal che ti acchiappa nella gola e ti fa venire voglia di gridare "So Vivo", ignudo, con tutte le sconcerie da fuori, in mezzo piazza Municipio, correndo verso il porto, per fare un tuffo a cufaniello; le fantastiche allitterazioni mitragliate in "Nebbia" sparano con pacifica violenza contro le paure, quel fastidioso strato di nebbia che si poggia sugli occhi che frena le azioni, inibisce e ti blocca: quasi in continuo ideologico con la prima track, Andrea torna a ricordarci che siamo vivi e non semplici macchine - piuttosto, siamo delle incredibili fonti di miracoli; simpaticissimo l'ironico rap "O' Fierr - rap delle casalinghe"; istrionicamente rude e 'cattivo' in "Ceccis", E potrei continuare così circumnavigando l'intero disco per ore e ore, ma vi annoierei. Il discorso però è questo: ascoltatelo bene, non fermatevi alle parole, scavate in profondità, cercate la skizzophrenia nascosta dietro e in mezzo ai suoni. Andrea Tartaglia, per concludere, insieme a Tommaso Primo, di cui ho già parlato qualche mesetto fa, è per me - linguisticamente e cioè nell'uso della lingua napoletana, nel renderlo nuovo, vivo e comunque legato alla tradizione - uno degli esempi più belli, originali e per questo interessanti del panorama napoletano contemporaneo. Gambe ancora tese per la salita di Mezzocannone, labbra affannate, nervi stracciati per la giornata, il caldo, la gente, ché la gente ha sempre un non so che di urticante come la mia camicia azzeccata addosso, il pantalone lungo che all'Università vuoi mica andarci col bermuda porca puttana hai ragione che non sono solito bestemmiare, non ad alta voce, non in presenza di altre persone di cui, a pensarci, non me ne frega un cazzo però non posso mica prendermela con loro se ho deciso di mettermi sto sfaccimma di pantalone lungo, col calzino che si è sfilato e mo ho il tallone che struscia nella scarpa, mannaggia la colonna. Fischietto un tema e si distendono i muscoli intorno ai zigomi. Si sono conentrati tutti sulle labbra. Seguo una melodia raccontata da 10 dita. Non è che io abbia controllato se ce le avesse davvero tutte e dieci, ma per come viaggiavano le note, immagino fossero tutte e dieci e, in fondo, perché avrebbe dovuto avere qualche dito in meno? Gli do un euro. - Grazie, si vede che a te piace. Eri l'unico a sorridere. Questi non capiscono niente. - Come ti chiami? - Savio. - Savio? - Sì, Savio. - Ah! - Perché? - Non niente, comunque tu sei bravo, davvero bravo. - Grazie, grazie. Pure tu suoni? - Un po', ogni tanto pure io, per strada, ma tu sei più bravo. - Quindi tu mi puoi capire? - Sì, sì, ma tu davvero ti chiami Savio? - Sì, mi chiamo Savio. - Ok, ok. - Ma hai capito tu questi? Non capiscono niente e magari si lamentano pure. Ma poi, dico, questi vanno in chiesa, che ci vanno a fare in chiesa? - Eh, lo so, c'hai ragione, ma la musica non la capiscono tutti. Riparte con un giro. Destra, sinistra, apre e chiude. Bella, davvero bella,suona benissimo. Smette e mi torna vicino e, poggiandomi la mano sulla spalla, indica le persone intorno. - Non dico tanto, però pure 5 centesimi, con tutta questa gente, cioè io faccio venti trenta euro in due tre ore e vado a casa, però fanno pure finta che non esisti, che non sentano, che non respirino. Next stop Materdei. Fisarmonica in spalla, mi dà la mano e fa per andarsene via. - Te ne vai? - Sì ma vado dietro, può essere trovo qualcuno buono come te. Il sudore si è asciugato addosso, ho ancora il pantalone lungo, ho i talloni tutti consumati, mannaggia 'sti calzini di merda, le gambe pesanti, le orecchie calme. Mi siedo, tra poco arrivo a Piscinola. Un signore piuttosto distinto, coi capelli bianchi, la barba grigiastra, come le sopracciglia, gli occhiali tondi, tiene sulle cosce un giornale. Renzi, De Magistriis, il Referendum, Benigni e la Costituzione, la gente è cattiva, silenziosa, fa finta di niente, sono manichini, però ascoltano, sentono i rimproveri ma restano manichini, uno, due, tre, non leggo, non sento, non capisco, ma ho le gambe tanto stanche ché dimentico i nervi stracciati. Scendo, sono arrivato a destinazione ed in testa ho i tasti della fisarmonica scolpiti nella memoria. |
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March 2019
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