[Metto le mani avanti che non si può mai sapere. Questo non sarà il classico racconto-testimonianza provinciale del cittadino provinciale che dalla provincia va a Londra ed è convinto di essere diventato meno provinciale solo perché è stato a Londra. E nemmeno pretestuosamente si incuneerà negli anfratti meschini della retorica del "è tutto migliore, è tutto perfetto, mamma mia come stiamo 'nguaiati quaggiù". Potremmo pure farlo questo gioco, ma risulteremmo provinciali appunto, oltre che pessimi testimoni. Tre giorni di turismo matto e disperatissimo teso al "dobbiamo vedere tutto in poco tempo", d'altro canto, non possono e non devono fungere da elementi del nostro panegirico. Sarebbe empiricamente scorretto. Il bagno è pulito, il frigorifero è pieno, l'arredamento è fantastico e, tuttavia, ogni casa ha la sua dose di polvere nascosta sotto al tappeto. O pezzi di cadavere trinciato con il black & decker. Non si vede, ma c'è. O almeno, potrebbe esserci. E comunque, chi se ne frega. Questo è il racconto-testimonianza delle emozioni, del cuore che ti sbatte in petto, delle gambe che, anche se fanno male per il tanto camminare, vengono trascinate dalla voglia di riempire ogni piccolo byte di memoria; trascinate dalla felicità e dall'amicizia che, da parola astratta si fa carne, ossa e canzoni.] Insonnia, sudore, paura, insonnia. Eppure trovarsi su quell'aereo. Volare, cercando vanamente di nascondere dietro gli occhi tutto quel cumulo di fisime mentali accatastatesi in giorni di silenzi, riflessioni, telegiornali, chiacchiere. Sorridere di fronte al Bing Ben. Finalmente sciogliersi e buttare nel Tamigi tutto quell'enorme e dannato difetto che ti porti sulla schiena, che ti fa gobbo e ti piega sulle ginocchia. Emozionarsi fino a sporcarti le scarpe di lacrime. Uno stadio. Una due tre quattromila foto. Amicizie vecchie nuove. Non arrendersi a Newton e restare in piedi, senza rischiare di cadere a precipizio. Ridere, tanto, spesso, sempre, di sera, con una tazza di Ciobar che ti scende in gola. Riscaldarsi, scoprirsi, approfondire, ascoltare, parlare, condividere. Chilometri a vagoni, le suole consumate, come i fianchi sfiancati dal ridere. [repetita iuvant] Wenstimister Abbey, London Bridge, Shakespeare globe, Buckingham Palace, Marble Arch, Hyde Park, l'Emirates Stadium, 221b di Baker Street, Piccadilly e affanno ma sorrido. Poi Starbucks, i Dinosauri, i Dinosauri, i Dinosauri, ancora Starbucks, ancora vagoni. Artisti di strada, tanti. Fuori e dentro le metro. Tappeti-segna-posto su cui chiunque può mettersi a bascherare. Buttare lo sguardo dovunque, a destra, a sinistra, fuori e dentro. Raccoglierlo tutto. Tasche sempre più leggere, gambe sempre più pesanti, ma mai come lo sono adesso testa e cuore. Il ricordo si lega al colore, al suono, all'odore, inevitabilmente fa peso ma non è pesante. Il giusto per passare al check-in. Perderci la testa, non come Anna Bolena. Gridare. Averne sul serio la voglia. Cadere in amore della vita, semmai l'avessi trascurata, restarci attaccato con le unghie, respirare dove hanno gettato il fiato, l'anima e tutto il loro peso Dickens, Shakespeare, Newton, Conan Doyle, Tommaso Moro e aggiungici chi ti pare, la lista è lunga. Inspirare tutto, tenere dentro, impregnare i polmoni e sperare che ne assorbano lo spirito. Dormire, non dormire, dormire poco, forse sognare. Dirsi più volte che ci si vuole bene. Lasciare sfogare il cuore che, a trattenersi, si fa un torto alla felicità. O mia cara Londra, quanto ti dobbiamo non lo sai. E già manchi. Share London, Share the Love.
0 Comments
In questi giorni ho cancellato un bel po' di gente.
"Tonino Bengala ha condiviso una foto di Quando c'era lui". Bum!, Cancellato. "Giovanni Appiccacazzi ha condiviso il link di Matteo Salvini". Bum, Cancellato pure lui. Non ce la faccio. Chiamatemi pure intollerante, ma non ce la faccio. Non mi dilungo su questa mia caratteristica comportamentale-relzionale verso l'altro sottosviluppato che, se mi seguite, sapete come la penso. Risulterei tautologico e ridondante. E non è nemmeno una polemica con chi ha modificato la propria foto del proprio profilo di facebook mettendo la bandiera Francese e non quella Siriana, Nigeriana o Borbonica. Per carità. Ognuno esprime cordoglio come vuole e verso chi vuole e/o verso chi sente più vicino. No, non è cattiveria, è semplicemente l'era contemporanea. Lo so io, lo sai tu, lo sappiamo in molti - ma non tutti - che quello che si sta consumando in questo preciso momento storico è un perpetuo perpetrare di errori in secula seculorum. Ci sono delle cause, ci sono degli effetti, ma non tutti riescono a vederli. La storia se ci ha insegnato una cosa è che chi vive il proprio tempo non è in grado di capire cosa gli accade e perché. Non ha tempo, e rimanda tutto al futuro, a quando, un giorno, tutto sarà storia e allora, durante una noiosissima giornata scolastica, tra i banchi, forse, i nostri figli capiranno quanto idioti sono stati i genitori, ma pure i nonni e i bisnonni. Le notizie sono in mano al potere e l'emotività è eurocentrizzata. Oddio, lo so, l'umanità tutta non ci fa una gran bella figura e, di questi tempi, nel 2015, restare disinformati - per quel che ci è possibile informarci - è una gran bel casino, però, ve l'ho detto, stiamo perpetrando perpetuamente errori su errori in secula seculorum. Giustificazionista? Può darsi. No. Semmai amaramente sardonico. Però, di certo, non è ammissibile tollerare gli idioti, i razzisti, gli opportunisti, i coglioni, le facce di merda, le facce di culo, gli sciacalli, le carogne, i parassiti, i Salvini, i Belpietro, le Meloni e compagnia cantando. Ma, contemporaneamente, a loro dico grazie. Già. Grazie perché nella loro coerenza da neurone impiccato mi lasciano la possibilità di riconoscerli e di cancellarli a vista. E quindi, CAMBIA ANCHE LA TUA IMMAGINE DEL PROFILO PER SOSTENERE BELPIETRO E QUELLI COME LUI. ["Concetta Esposito ha condiviso il link di BelPietro". - No, nonna, pure tu?] Non ce la posso fare. Sarà che sto studiando con entusiasmo "Lo cunto de li cunti" di Basile, sarà che sono affascinato dalle storie, come quando la Domenica il nonno (leggi qui) racconta della guerra, della gioventù, della fame, dei suoi tempi, oppure quando la nonna, zitta zitta, sottovoce, come stesse raccontando l'inciucio più inaudibile del quartiere, ti sa raccontare tutti i convenevoli e gli sconvenevoli di quando era giovane lei; sarà che adoro le realtà raccontate come fossero fiabe, fatto sta che voglio raccontarvi una storia. Una storia diversa da quelle di Basile, dove spesso i finali sono cruenti e noir. In mezzo, però, ci sono le solite difficoltà: pendii, castelli (di tipo kafkiano e non), buio, orchi streghe e malocchi, la retorica di una narrazione che richiede necessariamente di attaccarsi alla realtà e ai dati di fatto. Sullo sfondo, in mezzo, nelle intercapedini del respiro e dei c'era una volta, fuori, dentro, in petto, c'è Secondigliano. Se Napoli fosse un gigante e ogni suo quartiere un organo vitale, Secondigliano sarebbe lo stomaco. Il cuore lasciamolo agli altri. Secondigliano è lo stomaco, il mal di pancia, la bile che ti sale in corpo, l'ansia, quella sensazione di cazzotti giusto al centro, a cazzimma, sotto lo sterno, l'innamoramento delle farfalle spappetianti, dove ti prende l'odore buono di "Carmeniello" e "Tonino", la rabbia per i cinema chiusi, il coprifuoco non fare tardi che fa buio, è il sangue che non riesce a starsene buono sotto i teli bianchi, che ti strappano in un colpo solo infanzia e adolescenza, è la merda, l'amore e, per costruzione deandreiana, l'una e l'altra. Questo grande stomaco, con i suoi cinquantacinquemila abitanti, unisce la provincia al centro; con l'aeroporto, collega il meridione con il resto del mondo, è il punto di arrivo e partenza per milioni di turisti, emigranti, viaggiatori, mercanti, imprenditori, sognatori artisti e innamorati. Eppure pare che chi di dovere se ne dimentichi troppo spesso, o che quasi non ci faccia caso. Si cura il cuore, sennò si muore subito; si va dall'oculista ogni giorno, sennò come vedi il sole il mare e tutto ciò che ti dà subito bene; i timpani vengono revisionati di tanto in tanto, sennò come senti le canzoni, il suono, la voce di chi ti ama; e lo stomaco? viene tartassato, a discapito dei consigli del medico, come il paziente malato di diabete che se ne frega di tutto e di tutti, arrivando pure alla bugia, nascondendo ogni piccolo peccato di gola. E in fondo, è dentro lo stomaco di una balena che Giona e Pinocchio sopravvivono e anzi rinascono. Le vicende di Secondigliano le conoscete tutti, non c'è bisogno che mi metta a fare ulteriori divagazioni: dopotutto, è la storia di molti quartieri, delle periferie, di una Napoli che divora tutto e tutti, in contraddizione perenne con se stessa e che, al medico, non è capace di raccontare che si è divorata mezza pastiera con un bel bicchiere di coca cola vicino. Autolesionista spesso. Ipocrita abbastanza. Ma dopotutto, già ce lo siamo detti in un'altra occasione: Napoli è così, sempre in piedi. Come un miracolo dopo una bestemmia. E, lontana e allontanata dalle istituzioni, resta in piedi grazie a principi e principesse, re e regine, scudieri e cavalieri, giullari e trovatori, maghi e fate. Esseri speciali che hanno smesso i panni del mondo fantastico, per farsi carne ossa e sudore, resistendo a bestemmie, incendi e guerre, faticando, forse oltre il dovuto, per dare più accoglienza a miracoli e magie. Spesso basta poco: voglia di esserci, partecipazione, appartenenza. E i ragazzi dell'associazione Larsec, acronimo di Laboratorio di Riscossa Secondiglianese, la sanno bene la storiella. Quanto adoro questo termine: Riscossa. Come un moto assopitosi per un breve tempo, dopo il sortilegio magico, il bacio risvegliatore, tutta anchilosata ancora, la bella addormentata si sveglia piena di arteteca. Giustamente, ha voglia di rifarsi e di fare la piccerella. Immaginatevi la scena: la principessa, addormentata e inattiva (capite a me!), viene svegliata dal più bello dei principi dei sogni ed è chiaro che, non pensandoci nemmeno due volte, gli salta addosso 'nfojatella. Ve l'ho detto: Ha voglia di fare, la piccerella. Ambress ambress. Sentirsi secondiglianesi, nelle mani, col cuore, fin dentro lo stomaco, senza mai sentirsi di passaggio. Difenderla, curarla, farla conoscere al mondo per altre storie, per altri cunti. La riscossa parte dal di dentro, dal centro del quartiere, nello stomaco, nel bel mezzo del bosco, tra sterpaglie e alberi che non vogliono che il sole passi e riscaldi. L'associazione, i ragazzi dell'associazione, nel bel mezzo di quello che, per molti, è il centro operativo degli orchi cattivi, hanno portato cultura, libri, musica, eventi fino a sera, oltre il 'coprifuoco'; corsi per imparare a lavorare la pasta per fare la pizza, corsi per imparare ad utilizzare il computer, presentazioni, l'arte da strada, un percorso turistico con tanto di guida per conoscere le bellezze storiche del quartiere; ma cosa più importante di tutto: hanno insegnato ai ragazzini del luogo che c'è altro e che quest'altro non è retorica melense o una fiaba vecchia e stantia, ma realtà. Pura e semplice realtà. La Riscossa cancella, o meglio demolisce, il C'era una volta, pretende la contemporaneità che è genitrice del futuro, pronipote di un passato che deve diventare ricordo. La Riscossa sta nel ridare uno spazio culturale, spazi di lettura, spazi per il cinema, spazi per la musica. Spazi, universi, galassie. La Riscossa è davanti agli occhi di chi ci crede, di chi trova il coraggio di restare nel proprio quartiere e costruire, di non trovare in queste parole il solito blàblà circostanziale ma un punto di partenza concreto e reale. Parlo da testimone, da chi, in prima persona, questo cunto l'ha visto e sentito addosso e nello stomaco. E questa è una cosa di quelle cose di cui ne andrò sempre immensamente fiero. Portandolo negli occhi, nella testa, nel cuore, ma soprattutto, nello stomaco. To be continued.... |
RaccomandazioniQui leggerai racconti, idee, sfoghi, calembour, pasticci, riflessioni, soliloqui, turpiloqui e recensioni. Clicca per la Pagina
Archivio
March 2019
|