Controllavo i libri. Rigorosamente disposti in ordine alfabetico. Per autore, poi per opere, infine per un criterio tutto mio. Guardavo la biografia di De André e mi è venuto in mente un aneddoto: stava quasi per abbandonare tutto, la musica, la chitarra, quell'idea pazza di scriverne un bel po'. Il disco non era andato un granché ché quasi quasi gli venne l'idea di rimettersi sui libri. Si era fermato a sei esami dalla laurea in Giurisprudenza. Quando, un giorno, bello e buono, Mina decise di reinterpretare "La canzone di Marinela". Lo rilanciò e consacrò allo stesso tempo. Un pensiero fugace mi passa per la testa. Così come mi è entrato, così lo lasio uscire. Senza saluti e abbracci. Guardo la chitarra appoggiata alla vetrinetta. L'abbiamo recuperata dall'oblio, la vetrinetta, riverniciata e rimessa a nuovo. La chitarra, dicevo. L'ho presa, ci ho suonato su un paio di accordi, ma non mi è venuto fuori nulla di buono. - Tu sei un artista. Trovati un lavoro, così potrai essere libero di fare l'arte che vuoi. Non come quelli obbligati a fare quello che vogliono gli altri. Ricorda: tu sei un artista. Nessuno potrà negartelo. Ringrazio, saluto, scrollo le spalle e mi rimetto a guardare la libreria. Vorrei mettermi un po' a studiare ma non ho tempo. Fuori è Natale e bisogna prepararsi. Non che sia triste, però le feste, questo tipo di feste, senza vestirmi di retorica piena d'eco, si portano dietro sempre un po' di malinconia. Ho in mente la metafora di Baricco quando parla del "Giovane Holden" di Salinger: "Non è una tristezza di primo piano: è una cosa più sottile. Apri il tuo regalo, uno di quelli che ti piacerà ma che, quando stai per scartarlo, ovviamente, non lo sai mica: prima c'è la gioia, poi la curiosità, poi sfili il fiocco ed ecco un'altra gioia, una di seconda specie, tiri via la carta ed ecco la sorpresa e, in fine il sorriso, la felicità. Però, a ben sentire, piano piano, silenziosamente, dietro a tutto, dietro alla gioia, alla curiosità, alla sopresa, alla felicità c'è sempre quel velo di tristezza. Non te lo sai spiegare, non tutti sanno coglierlo, ma è lì". Dio, non è che Baricco l'abbia spiegata proprio così, ma accontenttevi di ciò che vi ho scritto: credo che il senso sia tutto lì, ma potrei aver capito male. Ad ogni modo, quello che però ho imparato negli anni - vivendo, scrivendo, cantando e anche soprattutto leggendo - è che non è una tristezza negativa; è come il colesterelo: di quello grasso, devi assolutamente averne paura, ma di quello magro, beh, devi assolutamente tenertelo caro caro. Prendo un libro di poesie, mi siedo sul divano, ne leggo un paio, ci penso un po' su, lo richiudo, mi alzo, mi avvicino alla libreria, lo poso, bado ad averlo rimesso al suo giusto posto e mi allontano nuovamente dalla libreria. Stringo di spalle la mia compagna, le do un bacio, capisce c'è qualcosa che non va, o almeno credo, perché mi sorride, mi prende le mani e improvvisa un balletto canticchiando un motivetto natalizio. Non è insoddisfazione, nemmeno infelicità. C'è qualcosa di più sottile: è un bordino ruvido, nemmeno tanto scuro, ai lati del regalo. Come in un finale di Carver, è tutto come in un finale di Carver o Hemingway. Beh, quella gente lì. Riprendo la chitarra e no, mi scivola dalle mani. Guardo il telefono: è mia ia madre, un messaggio su whatsapp. C'è stato un attentato a Berlino. Me lo ha scritto come se fossi lì, a pochi passi dalle grida, spalla e spalla col dolore. Ad Aleppo hanno costruito un albero di silenzi. Di quelli di prima specie. Sotto, ai piedi dell'albero, un pugno di vuoti: nel nostro occidente, i nostri bambini, coi Lego, imparano a costruire; altrove, fanno i conti con la distruzione. Pensavo a quanto fosse curioso. Guardo il giradischi, uno che ho comprato qualche mese fa su Amazon coi soldi di un live. Ci puoi sentire anche gli mp3, tanto che fa schifo. Però funziona. Metto un disco - intendo proprio un Cd, non un vinile, ché si può ascoltare anche quelli - e rimango con gli occhi chiusi per un paio di minuti. Non credo di aver pensato a qualcosa di speciale. Non penso mai a nulla di speciale, però penso. Per ore potrei stare a parlare dicendo poche cose di davvero interessante però, quando mi chiudo nei miei cinque minuti di silenzio, quelli di terza e quarta specie, potrei starci delle ore. Ma non lo faccio mai: mi sale l'ipocondria. Oppure c'è qualcuno che s'impegna a volermi interrompere. Credo che ognuno di noi, se potesse entrare nella testa dell'altro, durante questi famosi cinque minuti di silenzio, quelli di terza e quarta specie, avrebbe più fiducia e più stima dell'altro. No, scusate la bugia, non è vero. Scopriremmo soltanto che è meglio, molto meglio, stare lì a parlarsi, costruendo finzioni, riparandoci a nostro modo. Poi mi ricordo di una cosa. Che sono stato troppo a pensare. Quei cinque minuti sono diventati dieci. Torno in cucina dal mio palmo di felicità, la stringo di nuovo, questa volta sono io a sorriderle. Ci siamo capiti. Mi ha capito. Ho capito. - Buon Natale!
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Maldestro, al secolo Antonio Prestieri, l'ho conoscito - da lontano, seduto in una platea o al di qua di un browser - prima come autore di teatro, come attore nel mentre e, in fine, come cantautore.
Teatro Tasso, era il duemila mmm bah, che importa, di certo sono passati un bel po' di anni, ricordo solo che avevo un forte raffreddore, fuori faceva troppo freddo per le mie narici arrossate e che, nonostante tutto ciò e decine di migliaia di pelucchi di fazzoletti maltrattati sparsi nella mia barba, mi divertii un sacco. Uno spettacolo scritto da lui, se non erro. Ricopriva la parte di un femminello che si ammala di AIDS. Divertente, comico, anche un po' tragico, bravo. O almeno, a me, piacque assai. Poi, eccolo con la chitarra in mano a cantautoreggiare. Meno divertente, un tantinello tragicomico senza guastare, forte, bravo. Il disco è più o meno così, se si esclude una bella vena romantica, leggermente malinconica, che non dispiace assolutamente. Con qualche mia riservuccia per lo stile ma le Belle Canzoni ( con la B e la C maiuscola) ci sono. Maldestro è bravo perché ha talento, si vede, è tutto lì, soprattutto nei suoi testi, e la sua presenza a Sanremo ridarà finalmente la possibilità, a un napoletano, di presentarsi con quella che molti critici amano definire, anche se non tutti hanno capito bene cosa significhi, ''una canzone d'autore''. Una fetta di Napoli che potrà - evviva! - provare a ''concorrere'' ( in termini di spazio, sia chiaro ) con le melodie a fronda di limone di D'Alessio e col rap di Clementino che - si spera - quest'anno lascerà a casa il vento, i bastimenti e le valigie di cartone. Qualche anno fa, a portare un po' di napoletanità senza che i versi si ungessero per forza di soli, pizze, caffé, pescivendoli, camorre, immigrazioni e com'è bello il lungomareliberato anche se si spara nei vicoli di Forcella, prima d'inciampare nell'obbligo (?) di produrre qualcosa in dialetto, ci aveva provato anche Giovanni Block ( un altro che, negli anni, ha vinto tutti i premi più importanti destinati ai cantautori: non che siano importanti i premi, non almeno nel gioco delle qualità, intendo. Se uno è bravo è bravo, a prescindere dai riconoscimenti - e in giro, qualcuno bravo ma che non vince nemmeno la bolletta alla domenica pure c'è - ma, sapete com'è, dal momento che ci sono, i premi, una volta vinti, non arrivare al grande pubblico suona un po' come una bestemmia ). La canzone era bella. Forse per questo gli furono preferiti altri. Quindi, sempre secondo me ( eh, sia chiaro) la presenza di Maldestro potrebbe essere una bella novità per la regione, per la provincia, per la napoletanità: essere di questa terra, amarla - per carità, chi dice niente, chi dice il contrario - senza però portarne - per forza - onori ed oneri. Anche se... Già, nel titolo ci ho messo un però. Sia chiaro, Maldestro a me piace, tuttavia ho la sensazione che, come al solito, la canzone sanremese non sia mai quella migliore dell'artista, e anche se forse è pure giusto così, la cosa mi dà da sempre un po' di orticaria. Come riempire una valigia di abiti che non hai mai messo in vita tua ma che, siccome ti hanno invitato a questo ricevimento e non puoi mancare ( altrimenti rischi il licenziamento, o che un treno ti prenda in pieno volto e non sei Anna Karenina, o il rimpasto con al Governo Gentiloni, o la Boschi ancora lì ma senza il seno in bella mostra, o eccetera eccetera) non puoi far altro che provare a cucirteli addosso, alla meglio. Chiariamo, "Canzone per Federica" ha delle belle frasi ( Sarà il tuo libero arbitrio a incasinarti l’umore) ma anche una bella dose di vecchie perifrasi già sentite di concetti già cantati e letti ( Sarà che ogni caduta è l’inizio di un altro volo) chiuse in versi dalle rime un pochetto telecomandate; una metrica moderna, semplice ( e questo può non essere assolutamente un problema), leggermente poppizzata ( come la parentesi di cui sopra). Detto questo, però, senza farci troppe seghe mentali, la canzone c'è, funziona pure, interessante anche quel "Sarà che" posto in anafora ad ogni strofa, molto simile ad una domanda retorica, tesa su di un filo a precipizio tra dubbio e mezze certezze, ma lascia - almeno a me - il senso di una possibilità squisitamente artistica (non semplicemente musicale) sprecata. Il senso dell' accontentarsi. Il senso del il ragazzo è bravo ma non si è impegnato. Come avere il talento di Cristiano Ronaldo e presentarsi a calciare il rigore decisivo con gli scarpini stretti e scemi di Pellé: resti figo, pieno di soldi e femmine, bravo, con un talento grande così, magari lo segni pure il rigore ma... Insomma, resto contento per la cosa in sé, per Maldestro e per l'artista che è, un po' meno per la canzone. Ma sarà un problema tutto mio, ne sono certo. In attesa di fare il tifo per lui, a prescindere, perché Maldestro è forte davvero ( e per quelli forti non si può non fare il tifo), godiamoci questa ventata di napoletanità sanremese liberatasi - almeno per un po' - della zavorra di appartenere a una terra tanto bella quanto pesante. |
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March 2019
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