Il rumore della pioggia lo innervosiva. Più del solito. E non perché gli ricordasse che non poteva uscire, assolutamente no. Anzi, sarebbe stato meglio, ché se può, il sabato, preferisce starsene in casa, col pigiama fino a tardi. E in più, se piove, come quel giorno, ha una scusa in più per non uscire. Lo innervosiva perchè così era fatto lui: banale. Meteopatico nella maniera più scontata possibile. Piove e sta scazzato. C'è il sole? Bene, la situazione va nu pucurillo meglio. Spesso ci pensava: “fossi donna e stessi in quei mesi lì, lo capirei di più. Avrei almeno qualche motivo per giustificare 'sto carattere che mi ritrovo”. Non dar retta fratellì, meglio confessare di avere una psiche fatta con la merda. Le donne hanno pure i loro bei guai. Emotivo, Sì. Suscettibile, Già. Ipocondriaco, Anche. Permaloso, Può darsi. Dipendeva dai casi. Quel giorno, guardava fuori e pioveva pioveva pioveva e gli veniva in mente quella canzone di Gigi D'Alessio che aveva imparato alle scuole medie. “Chiove, stu cielo fa paura”. Gli succede sempre. Diciamo spesso. No no no. Sempre. Dalla regia mi comunicano che gli capitava sempre. Ogni volta che piove, come quel giorno, gli entra in testa, come un loop continuo infinito eterno, e si espande nel suo cervello come una bestemmia detta un po' ad alta voce, in una chiesa vuota, in mezzo alla navata che, se pure hai cercato di smorzarla tra i denti, si sente che è una bellezza. Ecco come gli funziona il cervello. In mezzo al traffico, in un punto lontano del cielo, vede partire un lampo, poi sente il tuono, inizia una pesante scaricata d'acqua, ed ecco che le labbra vanno da sole, come un tic, forse un ictus, la gola si imposta da sola e... “Chiove che t'agg fatt 'e maaaal”. Come quel giorno, che stava leggendo un libro, nel massimo della più grande scazzatura emotiva della settimana e non riusciva a buttare giù un rigo senza che, nella testa, tutto si muovesse al ritmo di quella canzone di merda. “ E 'o stesso temporale sta facenne dind 'o core”! Lunedì avrebbe iniziato il corso di formazione al call center. Chissà quanto sarebbe durato. Il tempo di capire quanti contratti avrebbe chiuso. Scelta dell'azienda. Funziona così, si sa. - Pronto, salve, sono Claudio, e anche se non ve ne frega un cazzo, se non vi fate 'sta sfaccimma di promozione mi metto a cantarvi tutta la discografia di Gigi D'Alessio! Oddio, visto come vanno le cose, la vita, i gusti, la società e il cattivo esempio, potrebbe ritrovarsi a telefono qualche responsabile marketing dell'Uliveto, il quale, avvezzo alla vita, ai gusti, alla società e al cattivo esempio, potrebbe proporgli di fare da testimonial alla campagna per la raccolta fondi volta a voler apparare i guai che hanno combinato loro - e altre aziende a loro concorrenti - con tutte le bottiglie di plastica differenziate nella terra dei fuochi. Claudio accese la tivù per non pensarci. Davano l'ennesimo programma di cucina. Un pezzo di carne, ancora sporco di sangue, arrotolato. In mezzo, del formaggio, un po' di basilico, della salvia e altri aromi così. “Un manicaretto”, lo ha definito il cuoco. Un manicaretto. Carne, sangue, vita, morte, grida. Il palato. Un manicaretto. Cambiò canale. Fuori ancora pioveva. Dentro, dentro la tivù dico, c'erano delle ex glorie dello spettacolo in mezzo a nuove leve dello spettacolo intente ad imitare altre glorie più gloriose dello spettacolo, imitando, replicando, un format imitato replicato in ogni stato ben fornito di antenne, ripetitori e cervelli da riempire. Il programma sarebbe stato carino se non fosse che avrebbe voluto sentirsi donna per giustificare il fatto che, quel giorno, aveva le palle che gli giravano. Aspe', no. C'è qualcosa che non va in questa frase. “Chiove, stu cielo fa rummmore...” Riprese il libro. Dickens. Letteralmente “Cazzanti” o, con buona dose di spicciola e becera fantasia “Produttori di cazzo”. Il libro si intitola “Grandi Speranze”. Giancarlo Magalli ha postato una foto. In una mano “Grandi Speranze”, nell'altra Giancarlo Magalli. Scorreva, scorreva, scorreva. Scorreva la home. Frasi, post, fotografie, la home intasata di cazzate, di suoi post, Zuckerberg che vuole cambiare facebook, come prova, in Spagna e in Irlanda, poi, se va bene, lo espanderà in tutta Europa, in tutto il mondo, dovunque ci siano dei cervelli da riempire, ancora Magalli, poi Morandi con Baglioni, foto di Annarè, comm'aggio fatt 'a sta luntano a te, Imitazioni, imitatori, imitanti, imitati, Chiove stu cielo fa paura, il Call Center, il Call Center, il Call Center, un video dei The Jackal, Magalli e il suo gatto, post sulle dichiarazioni di Marino, Marino che fa dichiarazioni post, foto di cantanti aspiranti in locali aspiranti cantanti, la rabbia, aaaaaa, “Che t'aggio fatte 'e male, me sento nu creaturo”, un abbraccio, una canzone, Troisi, Troisi, Troisi salva sempre, Napoli, foto di rotonde allagate, foto di tombini saltati, foto di strade imitanti strade allagate lo scorso inverno. Riprese il libro. Lesse due righi. Li lesse di nuovo. E ancora. E ancora. E ancora. E ancora. Magalli. Troisi. Foto di cantanti aspiranti in locali aspiranti cantanti. Magalli. Una manifestazione pacifica di pace. Morti. Feriti. Troisi. Troisi. Troisi. Datemi Troisi. L'inverno. L'autunno. Il call center. Il call Center. Il Call Center. Il ciclo. Così è il ciclo delle cose. Le mie cose. Poi posò il libro sul divano, tanto non gli veniva di leggere ugualmente. Guardò la finestra e si mise a contare le gocce che, lente, scendevano sul vetro. Aveva smesso di piovere. Sorrise. Aveva capito il senso della frase, qualsiasi cosa avesse voluto dire.
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