Allora, andiamo cuonci cuonci1.
Entrate in macchina, mettetevi comodi, aggiustatevi lo specchietto retrovisore, mettete a posto pure quelli laterali che i motorini qui sbucano a destra e sinistra manco fossero caccia bombardieri in tempi di pace – capite a me -, controllate che ci sia benzina che c'è un po' da camminare; e poi, fatecimi pensare, cosa manca? Ah, sì, la cintura di sicurezza, poi accendete il motore, abbassate la frizione, mettete la prima e partite. Prendete l'asse mediano, che facciamo prima. In certi orari, il traffico è insopportabile come un prurito alle palle durante un esame all'università. Uscita: Cugliano. Ovviamente. Ad accompagnarci, a mò di tom tom, Marco Aragno. Chi cerchiamo? Marco Cicala. Bisognerà però avere pazienza, perché Marco non è un tipo che si fa vedere spesso in giro, e comunque mai lo troveresi nei ritrovi più chic della Cugliano bene. Anzi, se può, se ne resta barricato in casa tra videogiochi, classici russi e videoporno. E tra l'uno e l'altro, è probabile che stia a scassarselo in mano. Quindi, vi conviene sempre bussare alla sua cameretta, prima di entrare, se non volete trovarvi di fronte a scene imbarazzanti. Perchè lui è così: lontano dai riflettori, lontano dai red carpet della movida cuglianese, lontano dalla gente giusta, a cui conta soltanto che locale frequenti, cosa indossi, con chi te la fai, chi ti fai. Una cosa che ti segna nella crescita perché, credetemi, in posti come Cugliano, essere fuori dal giro migliore, significa un po' vivere in solitudine. Più di qualsiasi altro posto. (Me lo ricordo manco fosse ieri. I compagni di classe, quando non c'era la professoressa o durante l'ora di Storia dell'Arte - che era un po' la stessa cosa -, si mettavano in cerchio a raccontare dove come e quanto avevano speso per una camicia su cui era cucito un personaggio della Disney. Polo orrende che acquistavano valore solo perché al petto, mostrati con orgoglio come scudetti vinti sul campo, vi erano cuciti dei loghi a forma di bassotti e coccodrilli. Poi venne il tempo delle magliete rosa attillate con un quarto di pettorale messo in mostra da uno scollo a Vu. Poi venne il tempo delle hogan. Poi venne il tempo delle nike silver col baffo d'oro. Poi venne il tempo dei cappottini Fay). L'adolescenza è un periodo di merda, diciamocelo. Un macigno sulla schiena. Un periodo lunghissimo, interminabile, dove non basta la scuola a far di te un rammollito, un inetto, un incapace, un 'è intelligente ma si impegna poco', categoria dalla quale è fenomenologicamente impossibile uscirne, una volta cadutoci dentro. Potrai impegnarti quanto vuoi e mostrati alla classe irrimediabilmente incapace a risolvere una qualsiasi equazione di secondo grado - perché avresti bisogno di ripetizioni, di un aiuto specifico o perché sei semplicemente ciuccio -, per la professoressa sarai sempre un 'è intelligente ma si impegna poco'. A tutto questo, a peggiorare le cose, ci si metteva la società con la sua moda, i suoi parametri, i suoi difetti, gadjet annessi, ovviamente. (Si badi, sto parlando al passato ma, fondamentalmente, da adulto le cose non è che siano cambiate poi molto. Sei solo più consapevole delle cose. A volte ti adegui, a volte mandi tutti a fare inculo, a volte ti rassegni). E se l'adolescenza è un periodo di merda per chiunque, figuriamoci se sei un tipo bruttino ed estramemente introverso, come il nostro Cicala, per esempio. In realtà, lui, il nostro Marco, avrebbe anche le energie per combattere la società in cui è stato obbligato ad esistere - ideali, obiettivi, intelligenza, lo studio - tuttavia gravitano attorno a lui forze ben più opprimenti: ad esempio, la famiglia che lo vorrebbe tale e quale a suo cugino Marco Cicala, lo scomodissimo e omonimo alter ego. Più bello, più ricco e, per questo pure più capace con le femmine, Marco - il nostro Marco -, per zittire tutti ( famiglia, compagni di sangue e cacazzi) ed uscire finalmente dal suo stato di bradipismo sociale, decide di seguirlo come un vate, il suo Gatsby cuglianese, una specie di buddha con le hogan al piede. Butta via gli occhiali, mette in un cassetto i suoi Kafka e si nasconde sotto un cumulo di vestiti nuovi, nel più camaleontico dei camouflage. Basta? Può bastare per farsi accettare dagli altri? Per la risposta, vi rimando alla lettura del romanzo. Quello che voglio dirvi è che Aragno riesce a delineare bene le caratteristiche, i personaggi e le maschere del mondo in cui il nostro protagonista si ritroverà a racimolare capate e figure di merda colossali: è il pianeta della dissoluzione, del vuoto cosmico, del niente assoluto, delle superficialità, dell'apparire per essere, del divertimento omologato. Avete presente "La Grande Bellezza" di Sorrentino? Bene. Il mondo raccontato da Marco Aragno, se possibile, è ancora più grottesco, più dissoluto, più vuoto, più niente, più superficiale, più apparenza versus essenza, più omologante. Ed è tutto così vero, ed è tutto così reale. La fotografia è fatta, l'immagina è di quelle a 360°, sullo sfondo c'è la nostra Cugliano. Ci siete? Ci siete arrivati? Bene. Mi raccomando a dove parcheggiate che i vigili di Cugliano non fanno sconti. Ora, se vivete a Nord di Napoli, è facile associare Cugliano con Giugliano, basta poco, vuoi per la somiglianza fonetica, vuoi per il consiglio in prefazione di Antonio Menna, vuoi per l'evidente coincidenza di situazioni che vi fanno esclamare: "Uà, tale e quale"! Il fatto è che, Aragno, camuffando la città (così come si camuffa il nostro Cicala), con una scelta - a mio avviso -, felice, dà alla fantasia collettiva un nuovo spazio nella toponomastica letteraria, una nuova Disneyland, in cui tutto è però parossisticamente al rovescio: che voi siate di Giugliano, Villaricca, Marano, Caivano, Melito, Mugnano, Frattaminore, Frattamaggiore, Frattametàmetà, Frattaunpo', Frattachefacciolascio, Pomigliano, San Giorgio a Cremano, non importa, vi basterà dire "sono di Cugliano" e avrete in un fiato dato l'esempio di una cittadina tutto cemento, dormitori e locali complici del fatuo divertificio. A riempire questa Sprinfield made in Naples, Aragno disegna tutto un zoo di orsi e camaleonti. Più camaleonti che orsi, ad essere chiari. O meglio, per essere ancora più chiari, la popolazione è zoocraticamente composta da orsi che fanno gli orsi perché sono orsi e orsi travestiti da camelonti che fingono di essere orsi, in un loop di paradossi comportamentali no stop. Orsi che fanno i camaleonti per essere Orsi che fanno i camaleonti per essere Orsi che fanno i camaleonti... i camaleonti... i camaleonti... Camaleorsi... Camaleonti alla moda, camaleonti alternativi, finti alternativi, camaleonti intellettuali, camaleonti volgari di proposito perché fa trand, figo, intellettuale, moderno, sticazzi. Camelorsi, camelorsi ovunque. "Absolute" di Marco Aragno è un bel testo, fatto di idee nuove e altre ben riscritte. Se devo trovarci un neo, ho trovato, a mio gusto, il tempo e i modi dei dialoghi e di alcuni slang non sempre precisi e verosimili. Ma sapete benissimo che i dialoghi sono la cosa più complicata da scrivere e, ad ogni modo, non nuocciono alla qualità del libro. Qualcuno direbbe che "Absolute" ha un suo quid, ma farebbe troppo intellettualoide e, con le mie elucubranti anilisi al testo, mi sento già troppo fuori dai miei soliti schemi; io vi dico che "Absolute" è un romanzo a misura d'Orso. Ecco. Bene. Ho detto la mia. Ora torno a miei camaleorsici schemi. Andate a fanculo, anzi no. Andate a cacare. E portatevi il libro di Marco Aragno. 1Piano.
0 Comments
Leave a Reply. |
RaccomandazioniQui leggerai racconti, idee, sfoghi, calembour, pasticci, riflessioni, soliloqui, turpiloqui e recensioni. Clicca per la Pagina
Archivio
March 2019
|