Non so se ve ne siete resi conto. Un giorno dovremo spiegare ai nostri figli che, se non troveranno spazio, una collocazione giusta nel loro pezzo di mondo, sarà colpa dei loro mamma e papà; che se volessero conquistarselo, lo spazio, uno qualsiasi, non propriamente quello che più si addice a loro ma comunque uno spazio, uno qualsiasi, uno che li renda uguali, almeno simili, non dico assai, quanto meno accettati, nonostante il mondo intorno giri proprio al contrario di come gira al loro interno, al loro senso, sì, se proprio lo desiderassero questo spazio e non riuscissero a trovarlo, la colpa sarà dei loro mamma e papà; che se porgendo l'orecchio al passato non saranno capaci di riconoscerne i suoni e gli odori del futuro, la colpa sarà dei loro mamma e papà; che se crederanno di essere nel torto, malsani, malati, insicuri, persi, sbagliati, abbandonati, non capiti, violenti, repressi, sbandati, infelici, insoddisfatti o semplicemente impreparati a cogliere il buono, a distinguerlo dal marcio, la colpa sarà dei loro mamma e papà che, non rendendosi conto che sarebbero diventati un giorno mamma e papà, hanno agito da figli senza balia, ai quali nessuno ha mai detto che si sarebbero sentiti nel torto, malsani, malati, insicuri, persi, sbagliati abbandonati, non capiti, violenti, repressi, sbandati, infelici, insoddisfatti, o semplicemente impreparati a cogliere il buono, a distinguerlo dal marcio. Sembra che io sia arrabbiato? No. Fatalista? Nemmeno. C'è una coscienza, una forza, una lotta continua. Una consapevolezza. Alla mia età, alla nostra età, non è più possibile sbagliare, senza che si infulenzi inevitabilmente gli inciampi futuri: questa sfida mi entusiasma, anche se mette un po' di malinconia. Colpa del tempo, dicono, delle pause, o di quando, guardandoti allo specchio, cerchi di capire cos'è che è cambiato sulla tua faccia, per far finda di non vedere quella chiazzetta bianca in mezzo ai capelli. Tornare a giocare coi Power Rangers, il camper delle Micro Machines, le biglie, le figurine, le sorprese nelle buste di patatine che inevitabilmente sapevano di plastica, giocare insieme a miacugina con le bambole e rimanere freudianamente perplessi di fronte al pube di Ken, farmi intossicare dalle Crystal Balls, azzeccare sull'anta del mobile della stanzetta l'adesivo del formaggino Susanna, subire le cazziate di miamadre per aver rovinato il mobile buono, giocare a nascondino e scoprire lì, in quei momenti, di quanto fossi un rattuso pervertito, vomitare l'anima dopo la prima sbronza, ritrovarla in mezzo alle canzoni, ai libri, trovartela tra le tue braccia, al mattino, al risveglio, in mezzo a una promessa e alla voglia di sorprese belle. Brucio, mi ustiono, vivo, esisto, credo, ho fede e fiducia: osservo e racconto. Nuotare controcorrente o far parte del flusso: è una scelta, ma anche questione di carattere, di pelle, di resistenza, anzi di sopportazione, di insofferenza cronica, per non arrendersi all'infinito oceano che è apparentemente un mare di possibilità, ma nei fatti un democratico niente. Saggezza, dilettantismo, idealismo impastocchiato e un po' confuso, orgoglio, non lo so. Però, di certo, tanta consapevolezza. Troppa? Non direi. Perché infondo, tutti noi vorremmo essere un po' come Carletto Mazzone quando corse contro i tifosi dell'Atalanta, rei di aver offeso, coi loro cori, durante tutto il match, i genitori defunti dell'allenatore. "Se facciamo 3 a 3 vengo sotto la curva", promise. E così fece. Ad accontentarlo, a soli tre minuti dal triplice fischio dell'arbitro, la provvidenza, una punizione, il divin codino, il suo miracoloso destro, Roberto Baggio. Non appena la palla entrò in rete, Carletto non ci pensò due volte, gli venne d'istinto, scattò come un ingranaggio a molla. Un dirigente aveva pure provato a fermarlo, ma lui, controcorrente, un fiume in piena contro il costume, l'ipocrisia del perbenismo, l'argine, la censura, si divincola e va a sfogare tutta la sua rabbia contro i soliti fessi, i soliti violenti che - non so se ci avete fatto caso - continuano a governare le cose del mondo. In quella corsa, in quei piedi, c'è tutta la filosofia di una generazione che si sta facendo anziana senza aver avuto ancora modo di essere adulti: però si è lì, con i nervi tesi e un vaffanculo in gola. Sì, perché a 28 anni ho forse capito cosa vorrei essere da grande. Non dico per me, ma almeno per l'idea - romantica, retorica, come un racconto di Nicholas Sparks, ma comunque comprensibilmente fantastica - di non dover aver paura di volere un figlio. Per fare il papà, per giocare con lui, per insegnargli a leggere, per provare a non essere la colpa dei suoi silenzi, dei suoi screzi del cuore, delle sue inquietudini. Per fare come hanno fatto i miei genitori. Sì a 28 anni vorrei essere la Corsa di Carletto Mazzone alla fine di Brescia - Atalanta.
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March 2019
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