Io non sono d'accordo con loro. Parto da questo. Non sono d'accordo con loro e non voglio nemmeno lottare affinché possano esprimere la loro idea. Fanculo Voltaire, anche se non è di Voltaire. Perché? Ma dai, stai ancora a chiedertelo? Cioè, ma ci rendiamo conto che è assurda la loro pretesa di volere avere certi diritti? Vogliono indottrinarceli fin da piccoli, i nostri figli. Già, i figli di ciascuno di noi. Pure i tuoi che - come me - ancora non ne hai. Anzi, già lo fanno. Oh, non te ne rendi conto? Già lo fanno. Proprio loro che di figli non ne hanno e mai potranno averli. Non potrebbero averli. Già, a meno che non vadano contro loro stessi, contro la natura, contro l'onnipresente, onnisciente, onnisessuale, asessuato, amorevole Dio. Dovrebbero contravvenire alle regole della nostra santissima amata religione Cattolica. Fare dei figli, loro, ma scherziamo? Loro non possono. Già, non ne fanno. No no no. E poi, che ne sanno loro di famiglia? Solo perché ne hanno fatto parte, presumono di sapere com'è che se ne fa una? Come a dire, "ho guidato un'automobile, ora vi dico com'è che si costruisce". Oppure "ho vissuto negli anni della modernità e quindi, se dovessi capitare nel 1492 quasi 1500, di certo saprei come si costruisce una lampadina" (cit.) Impensabile, presuntuosi, schifosi, vergognosi, osceni. E vorrebbero poi tenerli a sé, insegnare loro come si ama, perché si ama, quando si ama, dove si ama. Loro? Che se solo si fanno una sega Lucifero fa partire "Un giorno all'improvviso" versione mefistofelica. Vogliono farci il lavaggio del cervello, vogliono convincerci dell'assurdo. Ma ci rendiamo conto? Mi fanno ribrezzo, tutti dello stesso sesso, rinchiusi nella loro setta dell'amore per un uomo. Vogliono governare il paese con le loro pretese d'amore universale, ipocrita pretesa d'amore universale. Sono una Lobby, una lobby ti dico. Governano il mondo, guidano l'opinione pubblica, con veri e propri comizi politici ogni santissima domenica in ogni parte del mondo. Ma non lo vedi? Oh, dico a te, non lo vedi? Questi preti sono una vergogna. Una vergogna ti dico, scandalosi perfino.
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Ero in un bar. Non ricordo granché, a parte lui. Aveva degli occhiali curiosi, tondi, sottili, da intellettuale. Forse lo era. Ed era magro, sì, tanto magro da pensare fosse malato e infatti lo pensai. Non sono sicuro lo fosse e ad ogni modo non di quella malattia che ti consuma le ossa, le carne, le frattaglie. No, di quelle malattie che ti entra nella testa e ti devasta l'anima. Bello lo era, ne sono certo, sebbene non sappia dirvi che tipo di bellezza possedesse, ma emanava una luce tutta sua di affascinante malinconia. Lo guardavi e di lui avresti potuto dire con certezza una cosa: "Poveretto, non sa ridere". Aveva la faccia di chi, senza che nessuno glielo avesse chiesto mai, si porta addosso le ansie di tutta l'umanità, oltre a quelle sue, che pure sono un fardello niente male sul cucuzzolo del cranio. E ripeto, non è che qualcuno glielo avesse chiesto mai sul serio: nessuno sapeva nemmeno chi fosse, se esistesse sul serio, se ci fosse davvero qualcuno dietro quei suoi occhiali curiosi, tondi, sottili e da intellettuale malinconico. C'era la tivù accesa. La solita partita di calcio, era un mercoledì. La Coppa nazionale, forse. Maglie bianche, maglie azzurre, un campo verde. Questo mi pare di ricordare, nulla di più. Può darsi fossi già ubriaco. Non so. Ricordo soltanto di aver bevuto quattro cinque birre. Prima di conoscere Katty, con quattro cinque birre avrei fatto un semplice aperitivo, poi lei mi addomesticò, mi insegnò anche a ballare e, per fare spazio alla vita, dimenticai com'è che si beve. Quella sera, già dopo un paio di birre, l'inibizione se n'era andata a fanculo e avrei potuto ballarvi un tango in mezzo alla sala. L'avrei fatto, se non fosse arrivato lui, con i suoi occhiali malinconici e il suo aspetto tondo da intellettuale. Si sedette al mio fianco, cupo in volto, con un angolo del viso arrabbiato, duro, crudele. Sì, lui emanava una luce di affascinante malinconia, ma da un angolo del suo viso era evidente fosse anche arrabbiato, duro e crudele. Anche lui avrà perso la sua Katty, pensai. Anche lui avrà dimenticato come si beve. Fu forse per questo che ebbi la sensazione che non sapesse ridere. Si sedette al mio fianco, mi salutò, poggiandomi la mano sulla spalla, poi mi chiese come sta?. Dissi bene, ma capì che gli avevo detto una bugia. Come potevo stare? Avevo perso la mia Katty, i suoi seni, le sue gambe, il suo rispetto. E poi fuori era un casino: la gente sbraitava, sputava, bestemmiava, inveiva contro altra gente. E poi si faceva saltare in aria, così, come se niente fosse. E poi sperimentava nuove armi di distruzione di massa nell'oceano. Buum, tutto in aria acqua, pesci, vita, morte. La bomba. Tutti lo sanno. Qualcuno ce l'ha e se la tiene nascosta nella cantina di casa, in mezzo al vino. Un giorno, qualcuno, anziché darsi alla vita, pigerà un tasto, uno solo, semplice, rosso, con su scritto pigiami per favore, e metterà fine a tutto questo scempio. Come potevo stare? "Due terzi dei miei concittadini leggono questa razza di giornali, leggono mattina e sera queste parole, vengono lavorati ogni giorno, esortati, aizzati, resi cattivi e malcontenti, e la fine di tutto ciò sarà di nuovo la guerra, la guerra futura che sarà probabilmente più orrenda di quella passata. Tutto ciò è semplice, limpido, tutti potrebbero capire e arrivare in un'ora di riflessione al medesimo risultato. Ma nessuno vuol riflettere, nessuno vuol evitare la prossima guerra, nessuno vuol risparmiare a sé e ai propri figli il prossimo macello di milioni d'individui. Rifletterci un'ora, chiedersi un momento fino a qual punto ognuno è partecipe e colpevole del disordine e della cattiveria del mondo: vedi, nessuno vuol farlo. E così si andrà avanti e la prossima guerra è preparata giorno per giorno con ardore da molte migliaia di uomini. Da quando lo so mi son sentito tagliare le gambe e mi sono disperato e non ho più "patria”, non ho più ideali perché tutto questo non è che uno scenario per quei signori che preparano la prossima carneficina. Non ha scopo pensare pensieri umani e dirli e scriverli, non ha scopo rimuginare in testa pensieri di bontà: per due o tre persone che lo fanno ci sono in compenso ogni giorno migliaia di giornali e di riviste e discorsi e sedute pubbliche e segrete che vogliono il contrario e lo ottengono".** Glielo dissi come se avessi avuto addosso, impressa nella memoria e nelle frattaglie, la rabbia di tutto un secolo, e come se, in quel momento, di fronte a lui, avessi avuto bisogno di tirarla via da lì. Mi ero liberato, scavato dentro. Così rimasi leggero, vuoto in petto. Lui mi guardò, sorrise come se avesse capito le mie parole o come se si fosse accorto di aver ritrovato, in quel bar umido, una parte di sé, l'ultima, quella più latente. Poi mi offrì una birra, ché se si vuole riempire il vuoto con l'alcol c'è bisogno di riprendere il ritmo e dimenticare Katty, i suoi seni, le sue gambe il suo rispetto. Non me lo disse esplicitamente, me lo fece capire. Poi mi disse: "Sa qual è il suo problema? Lei non sa più ridere". Sorrisi: forse aveva ragione. Mi voltai per dirglielo, ma non trovai più nessuno al mio fianco. C'era un bottiglia di birra mezza vuota. Mi guardai intorno, nessuno mi osservava, me la presi. Ero in un bar. Non ricordo granché, a parte lui. E una partita di calcio, di mercoledì, coppa nazionale, credo. Maglie bianche, maglie azzurre, un campo verde. Questo mi pare, nulla di più. ** Parole di Herman Hesse, scritte nel 1927 in "Il lupo della Steppa". Ninna nanna ninna oh, piccolina mia, che sei dolce e sei piccina, indifesa che basterebbe un dito per ferirti, soffocarti, ammazzarti, toglierti dalla faccia questo bel sorrisino che hai, lo sai che ti voglio bene, che ti adoro e sei la vita mia? Ecco, e allora non averne a male se ti dico certe cose: è per il tuo bene, per il tuo futuro, voglio tu non abbia preoccupazioni e delusioni. Lo dico per te, eh, sia chiaro piccolina mia, a me e al tuo papà non entra nulla, non abbiamo altro profitto se non la tua felicità. Non è mica perché rifletto su di te le mie frustrazioni, i miei fallimenti, le mie angoscie*. No, assolutamente: è solo per il tuo bene. Ninna nanna ninna oh, piccolina mia, che sei dolce e sei piccina, di ostacoli ne avrai tanti, e quanti più ne supererai, più ce ne saranno di nuovi, quindi, converrai con me che è meglio accontentarsi di quel che si ha, senza andare oltre, senza desiderare altro. A che serve addentrarsi nei boschi se il rischio è di non uscirne più? A che serve lottare per qualcosa, quando tutto ciò che hai è a una mollica di pane davanti ai tuoi occhi, piccina mia, che sei dolce e sei carina. Ninna nanna ninna oh, no no no, non fare così, fa la buona piccolina, no non piangere così, non è il momento giusto, non è ora che vale la pena. Ora hai solo da sorridere, hai un tetto e da mangiare, cos'è che vuoi di più? Verrà il tempo, e non è molto lontano, in cui hai voglia delle lacrime che verserai, hai voglia di tutte quelle volte in cui verrai a a dirmi che mamma tua aveva ragione. Potrai centellinarle, le lacrime, già, ad una ad una, e saranno tante e tanto grosse, che per contenerle non basterebbe il recipiente più grande che la tua fantasia possa immaginare, bambina mia. Piangerai, potrai farlo, ma mi raccomando in silenzio, mia dolce cerasella. Piangi perché t'hanno rubato il palloncino? piangi perché t'hanno dato un pugno sul tuo visino bello? Piangi perché si son presi la merendina? Shhh, non lo dire alla maestra, che ti metti solo in altri guai, torna a casa, vieni da me che basta un mio abbraccio e passa tutto. Hai capito, figlia mia? Dormi, bimba mia, ninna nanna ninna oh, dormi bene, resta al caldo, non muoverti che sudi, poi ti ammali, fai il visino brutto e chi ti prende per marito? A te conviene adesso che stai a sentire il segreto che ti salverà, il tocco magico, la fatagione: nella vita devi dare poco, il giusto garantito per trovar marito, fatti amare, fatti accontentare e così, se ti va bene, troverai le tue ambizioni nella tua lavastoviglie. Fa la ninna, fa la buona, tesoro della tua mamma, sorridi più che puoi, non fa niente se papà non ti comprerà ciò che vuoi e il desiderio ti roderà l'anima, la carne, l'equilibrio. E se saremo poi costretti a toglierti da scuola, allontanarti dai tuoi amici, non prendertela con noi. Non è mica colpa nostra se è troppo cara e non potremo più permettercela. Studiare poi non serve a niente, peggiora solo tutto quanto, ti apre solo ad orizzonti occupati già da altri e in cui tu comunque non potrai mai arrivare. E comunque non rammaricartene, tanto, non solo la scuola è inutile al giorno d'oggi, ma pure gli amici, lo scoprirai, sono buoni solo quando puoi scansarteli. I buoni della storia siamo solo noi, la tua mamma e il tuo papà, che ti vogliono tanto bene e non riflettono, su di te, le loro frustrazioni, i loro fallimenti, le loro angoscie**. Fuori il mondo è cattivo, è fatto di tanti omaccioni neri, brutti, bugiardi e violenti. Per questo, bimba mia, ninna nanna ninna oh, che sei dolce e piccolina, non chiedermi dei libri, di ascoltare, di cantare, di raccontare fiabe. Tanto, che te ne fai di storie, favole e verità se l'unica che devi stare a sentire è quella di mamma tua? Tanto fuori c'è la crisi e quindi è giusto che tu metta in cantina i tuoi sogni. Tanto fuori c'è il governo e decide lui per te, quindi dormi, bimba mia, ninna nanna ninna oh, fa la brava, e vola in alto, tuttavia, bada bene, solo nei tuoi sogni; vola in alto, vola forte, ma solo mentre tieni chiusi gli occhi, e quando li riapri lascia stare gli aeroplani, non parlarmi di aquiloni o che vuoi studiare chissà quante e quali altre lingue. Ogni cosa, anche l'essenziale, sarà a te preclusa, se vai oltre l'essenziale. E poi a che serve tutto ciò, se poi il massimo che puoi permetterti ed avere è il tuo quartiere, coi suoi limiti, i suoi ostacoli, i suoi omaccioni neri, brutti, bugiardi e violenti? Fuori c'è la terra fradicia, troppo pesante per solcarla. Fuori c'è la pioggia, la tempesta, imprevista e imprevedibile. Fuori c'è da farsi troppo male, e a tipi come noi non conviene. Siamo troppo sognatori e anche se non ce lo diciamo, sappiamo bene fin dove vogliamo arrivare. Sappiamo bene quante volte ci arrampichiamo, quante volte cadiamo e ci rialziamo, ma non sappiamo mai, o forse lo scordiamo, quanto fa male farsi male. Per questo te lo dico, per questo stai a sentire. Oh bimba mia, ninna nanna ninna oh, che sei dolce e sei piccina, coi tuoi occhioni grandi e sorridenti, lo so bene che non mi ascolti, fai finta che mi senti, e che quindi non dai peso a questo sfogo e hai pietà di me. Lo so che tu sei proprio tale quale alla tua mamma, e che anzi, proprio perché sei tale e quale a me, farai a modo tuo, andrai per conto tuo e costruirai da sola le tue frustrazioni, i tuoi fallimenti, e tue angosce***, e chissà, forse la tua felicità. * chissà perché gli idioti mettono la "i" ad libitum e ad capocchiam. ** chissà perché gli idioti commettono gli stessi errori ad libiditum e ad capocchiam. *** che volete che vi scria? Sì, senza "i", perché gli idioti sono pure brave persone che, prima o poi, capiscono dov'è l'errore. da un'idea nata parlando con l'amico e cantautore Alfredo Colella, col quale è in atto una - spero - bella collaborazione. Sapete tutti ciò che è successo no? In un momento di rabbia, Sarri, durante il match Napoli Inter, valido per l'accesso alle semifinali di Coppa Italia, ha dato del frocio a Mancini. Senza voler fare filosofia a lungo sull'argomento, il discorso è secondo me semplice. Potrei iniziare il post dicendo ATTENZIONE HO TANTI AMICI OMOSESSUALI, QUINDI BLABLABLA. Queste sono le premesse che fanno gli omofobi, quindi a me non interessa farne. E non non mi interessa nemmeno fare discorso apologetico a difesa di Sarri, tanto meno un panegirico, che non ne ha bisogno. Mi interessa l'evolversi dell'epiteto, le circostanze, le condizioni, e la diffusione nella letteratura di un termine che oggi non ha più nulla a che fare con la sessualità in senso stretto. Se do del frocio al mio migliore amico, per esempio, per essere papeli papeli, non sto giudicando le sue preferenze sessuali ma, magari, un suo atteggiamento poco mascolino che prescinde dalla sessualità. Difendersi 10 uomini dietro la linea della palla e giocare di rimessa è un atteggiamento difensivista, è vero, ma se sei una grande squadra, è anche un po' da froci, per esempio. Colpire l'avversario di spalle, è sì da vigliacchi, ma anche un po' da froci. Andare dalla mamma e fare "Unguè Unguè mamma mamma Pasquale mi ha dato del frocio", è infantile, ma anche un po' da froci. Anche lasciarsi cadere in aria di rigore al primo leggero contatto è da froci, eh. Cosa ci azzecca tutto ciò con l'omosessualità? Nulla, appunto. Assolutamente nulla. Perché credo che la parolaccia in questione abbia ormai perso il suo significato, ovvero, conservando il suo segno e la sua natura turpiloquiale, è ormai stata privata della sua natura omofoba, nel senso stretto del termine. Per farvi capire, ci sono omosessuali per niente froci ed eterosessuali che eccome se lo sono. Un omosessuale che non sia permaloso, questa cosa la tiene bene in mente, la sa. Poi, ovvio, il contesto fa la sua parte, la persona pure. Cioè, una cosa è il frocio di Giovanardi, un altro è quello di Pinco Pallino che scherza col cugino, per esempio. Perché? Va be', se non vi è chiaro, potete pure fermare qua la vostra lettura. Dicevo il contesto. Il campo da calcio non è per nulla il ballo delle debuttanti e/o un incontro tra gentleman, e se capita a qualcuno di andare fuori di senno, non possiamo mica aspettarci uno scambio d'opinioni tra accademici dell'Arcadia - che pure ci andavano giù pesanti se dovevano pigliarsi a male parole -, su questo siamo tutti d'accordo, no? E poi, che senso hanno le scuse, il mortificarsi, nonostante tutto, se poi se ne fa comunque un caso mediatico? Può essere mai che Mancini, in trentanni di calcio, questa sia la prima parolaccia che sente dire in campo? Non ne ha mai detta una? Ci sono calciatori ai quali si potrebbero conferire lauree ad honoris causa per il numero di bestemmie che riescono a pronunciare e ad inventare nel giro di un fallo laterale. Hanno pure provato a limitarla la cosa: in teoria, chi viene beccato a dire una bestemmia, durante una cazzimmosissima inquadratura televisiva, dovrebbe ricevere una squalifica. In teoria. Ora, siete proprio sicuro che nessuno bestemmi? Mettere la mano davanti alla bocca, e bestemmiare i meglio morti all'arbitro o al terzino che non ha fatto bene una diagonale, non vale. Non è che se faccio un omocidio, ma non mi faccio vedere, il morto non è morto. E' vero, bisognerebbe limitarsi, educare i bambini ma dai, siamo concreti, siamo terreni, siamo sinceri, in un momento di rabbia, a nessuno scappa una parolaccia? Quand'ero piccolo, i miei mi punivano sempre se ne dicevo qualcuna, eppure ne conosco comunque tante e quando mi incazzo escono fuori che è una bellezza. Però so riconoscere, grazie a mia madre e mio padre, la differenza che c'è tra il bene e il male, so riconoscere l'ipocrisia e il perbenismo, ma questo è un altro paio di maniche. Dicevo le parolacce. Sono dovunque, nel substrato della nostra mente e spuntano all'improvviso quasi a voler purificarci l'anima. La letteratura è piena zeppa e di parolacce e di sconcerie e di bestemmie. E meno male. Potrei citarvi Catullo, Leopardi, Pasolini. Ma risulterei pedante e non è il caso. Certamente, Materazzi, nel 2006, non si è preso una capocciata da Zidane nello sterno perché ha giudicato poco brillante l'ultimo libro di Ken Follet. Ci si scusa, si paga l'ammenda, si riceve la squalifica e basta. Finito qui. Stop. E invece no, hanno trovato l'argomento su cui dibattere i prossimi mesi fino al giorno in cui la Juventus vincerà lo scudetto grazie al suo Dybala che è più forte di Higuain, Pelé e Maradona Messi insieme. Ora le cose sono due: o Mancini è davvero omosessuale e quindi si è offeso veramente, perché ha ritenuto l'epiteto rivoltogli carico di vera omofoba violenza, oppure ha trovato un pretesto per destabilizzare l'ambiente. Nel primo caso, l'interlocutrice di Mancini non doveva essere mamma Rai, ma sua moglie. E comunque, a maggior ragione giustificate le scuse di Sarri. Uomo di campo, ma anche di letteratura, Sarri, da buon toscanaccio, ha la bestemmia e la parolaccia facile, è vero, ma è dotato anche di grande sensibilità, tant'è che in T.V. è apparso visibilmente scosso, dispiaciuto e imbarazzato. Ingenuo, ha cercato di sdrammatizzare: "Non lo so che gli ho detto, può darsi pure gli abbia dato del democristiano". E niente, Mamma Rai, democristiana come non mai, ha continuato a puntare il dito. Se avesse saputo che a Mancini fosse piaciuto sul serio il metti e togli con Kondogbia e Murillo, certamente non si sarebbe mai espresso in quella maniera. Sarcasmo becero da bar a parte, se siamo tutti d'accordo che non c'è nulla di male ad essere omosessuali, ad amare col cuore e col sesso chi cazzo ci pare in questa vita che è già una merda così com'è, figuriamoci a dover sopportare i razzisti e gli omofobi, di cosa parliamo? Perché Mancini si sente offeso? Per la parolaccia? Allora, dovremmo fare una causa all'intenzione e dichiarare, senza alcun dubbio, che Sarri, in un momento di rabbia, di forte tensione adrenalinica, abbia voluto fare un voluto attacco a chi propugna diritti paritari per tutti, omosessuali compresi e che quindi, in quello stesso frangente, con una parolaccia, sia stato volutamente politicamente socialmente eticamente religiosamente omofobo. A noi non interessa che sia omofoba la chiesa e le nostre istituzioni o che ci sia ancora una discriminazione tra nord e sud. No, a noi frega che sia eticamente perfetto un allenatore di calcio, e che lo sia sempre, anche quando gli scapperebbe un maremma maiala, e invece gli esce uno sta zitto frocio. Uno che ama e legge Bukowski certo non parla con la Treccani in bocca. Sarà pure un brutto bruttissimo intercalare, ma a parlare di omofobia ci vuole coraggio. Del resto, lo stesso Bukowski utilizzava il termine frocio, non nel senso di gay, ma di mammoletta, smidollato, poco virile. E come già vi ho scritto, essere froci o virili trascende il concetto del genere, del sesso, del transgenere e vattelapesca. Ci sono omosessuali virili ed eterosessuali che non lo sono per niente. Nel secondo caso, cioè nel caso in cui quello di Mancini sia stato solo un pretesto per destabilizzare un'ambiente fradicio di gaiezza, allora - per la regoletta di cui sopra - è davvero frocio. A Napoli, si dice anche nacchennello, un tipo inciucisso, e cioè che ama l'inciucio cattivo, lo spettegolezzo. Deriva dal francese "Il n'a-qu'un-œil", ovvero "egli non ha che un occhio". Nell'800 circa, i play boy dell'epoca indossavano il cappello di paglia, un bastone piccolo e flessibile, degli spezzati chiari e un monocolo, abbigliamento con il quale cercavano di distinguersi dalla massa, riuscendo però ad assumere soltanto un atteggiamento snob, da damerini, e verso i quali, a quanto pare, sembra che le dame dell'epoca non nutrissero grandi attrazioni fisiche proprio per questo eccessivo 'bon ton". Sia chiaro, il linguaggio va moderato proprio per non dare un cattivo esempio ai bambini che non sempre sanno distinguere il bene dal male (non ci riescono i grandi!) - e, a questo punto, una (moderata) squalifica potrebbe anche essere giusta, soprattutto se serve a sensibilizzare comunque un mondo, come quello del calcio, e a maggior ragione in Italia, che sull'argomento, siamo rimasti a Diocleziano - ma attenzione: si rischia di fare i perbenisti-censori-democristiani-crociffissori e di epurare semplicemente il termine, non l'omofobia insita nell'ambiente, dove molti atleti non possono dichiarare apertamente la propria omosessualità. Ad ogni modo, se l'arbitro - che di parolacce ne ha sentite tante e tante ancora ne sentirà - niente ha scritto sul referto, e la squalifica verrà fuori dalla nacchennellagine del mister nerazzurro, allora, cosa volete che vi dica. Ditelo voi, ja. Se avete ben studiato, Mancini è ...
" Allora, facciamo così, io ti faccio fare una serata in un evento con altri quattro artisti, ti offro una birra, se va bene anche il panino, così se la cosa funziona, alla prossima ti do uno spazio tutto tuo e se mi porti gente ti pago 2,80 euro lordi a cliente che mi dice di essere venuto per te, ogni dieci persone scatta un bonus, oh, però sia chiaro, mi devono consumare, altrimenti, per ogni cliente venuto per te che non mi consuma scatta un malus di dieci euro ciascuno ...
Gianluca faceva sì con la testa, sorridendo, ma in realtà dentro teneva tutta una serie di bestemmie che avrebbero potuto schiattargli il fegato se avessero voluto ma che, chissà come mai, fortunatamente si tennero buone buone dietro ai denti sorridenti, evitando gli partisse un embolo fulminante, tatta'. Gli erano venuti in mente tutti i sacrifici che aveva fatto e faceva per pagarsi le lezioni di canto, ma subito cambiò pensieri. Non era quello il problema. Non voleva mettersi a pensare ai soldi, alle prove, al tempo, alle cazziate, alle corde spezzate, la voce stonata per la troppa rabbia, la poca rabbia. Era inutile farlo, è una storia vecchia. E poi, per certe cose, certi sacrifici valgono anche la pena, una certa pena. [...] poi capisci, ho bisogno che i clienti siano contenti, ho fatto pure la rima, ah ah ah, ecco, canzoni allegre divertenti. Ne ho fatta un'altra he he he. Io in questa serata ho mescolato un po' i generi. Ho messo atmosfere diverse, sai, per sfruttare l'entrata di un pubblico vario. Cioè un po' di tammurriata, qualche canzuncella napoletana, un po' di pop italiano, il cantautorato, quelle cose lì, tipo De Gregori, Dalla, un po' di tutto insomma. Mi capisci? Non posso rischiare, poi alla fine il dj set ci sta bene...[...] No, però, la testa non riusciva proprio a non pensare a quello che, negli anni, era stato costretto a sentire ogni volta. Tipo come le solite risposte di certi "direttori artistici" di locali, radio ed eventi ai quali gli era capitato di proporsi e che gli avevano fatto ripetutamente il terzo grado, senza però mai concludere un cazzo di niente. E senza nemmeno ascoltare le canzoni. "Che musica fai, chi sei, chi non sei, chi ti ha prodotto, chi ti promuove, cosa hai fatto, sì ma chi sei, mi dispiace ho le date piene". Che poi tutta questa gente che si mette a fare i dischi. Chi ve lo fa fare i debiti, le sudate, i pianti, le notti insonni? Per cosa? Già, Gianluca sapeva la risposta, anche tu la sai, ma fa sempre bene ripeterselo. [...] poi avevo pensato, mentre suonate, io metto il barman di fianco a voi che fa le acrobazie, tieni presente? quella la gente è contenta, si diverte, si può fare dai, allora d'accordo? che poi fissiamo la data tua, oh, ti ho detto, io lo dico per essere chiaro, alla fine così ci impegniamo tutti e due a portare un po' di casino, per farci conoscere, 2,80 euro a cliente che consuma è onesto no?, poi c'è il bonus, ogni 10 clienti scatta il 5 euro in più, non dimenticarti di questa cosa. Poi magari tu li intrattieni sai, una battuta, magari un po' di karaoke, li fai cantare, loro si divertono e tornano un'altra volta e noi replichiamo, dai dai, si può fare, sei un ragazzo sveglio, secondo me sì sì [...] Gianluca non aveva amici giornalisti, addetti stampa o cose simili e, considerando tutto questo, gli stava andando bene pure il disco. E, incredibilmente, non grazie ad amici e parenti che, insieme, non avrebbero riempito una Cinquecento. Insomma, era contento, però restava il fatto che aveva pochi spazi per suonare: "non è un genere adatto" oppure "non abbiamo il pubblico per te". Cazzate. Soltanto cazzate. Ma Gianluca si era organizzato. Perché ci sono persone che dopo certe mazzate tremende non si rialzerebbero, si arrenderebbero, se non fosse che le voglie, i sogni, fanno un po' il cazzo che gli pare. Perché ci sono persone che dopo certe mazzate tremende non si rialzerebbero, si arrenderebbero, se non fosse che la testa è dura, troppo. Con la bocca distrutta, piegati in due, vomiterebbero pure il midollo osseo, perché sono deboli, femminucce, implorerebbero perdono piagnucolando, si lascerebbero andare, getterebbero la spugna, ma c'è qualcosa, una forza, che proprio non vuole farli smettere. E non è orgoglio eh, sia chiaro: è che proprio non ce la si fa. Come si dice? La carne è debole, ma l'anima si sfonda di film su Rocky Balboa. E allora, queste tipo di persone, pure con la bocca distrutta, le gambe sporche di sangue, dopo una fetente mazziata, stanno lì a salire scale su scale su scale, manco faticassero per un'impresa di pulizie. È un fottuto problema questo, ma ci si convive. Gianluca si era organizzato, vi dicevo. Certo, ne era consapevole fosse un palliativo, ma comunque un modus expremendi necessario, per non dire basta definitivamente. Perché ci sono persone che, messe contro a un muro, con la bocca distrutta, nonostante vorrebbero vomitare pure il midollo osseo e si arrenderebbero se non fosse che la testa fa il cazzo che gli pare, trovano sempre una soluzione per resistere. Gianluca si era messo a suonare per strada. Aveva deciso di essere l'artista che voleva. Libero. Come voleva, quando e perché. Non veniva snobbato da certi locali organizzatori blablablà, perché semplicemente aveva smesso di contattarli. Tanto sarebbe stato uguale. Faceva quello che voleva e le persone si fermavano, ascoltavano, apprezzavano, domandavano. Si divertiva, ed era contento. "[...] poi noi facciamo ogni tanto una pausa, cioè inizi tipo le 7 come aperitivo, poi fai una pausetta intorno alle 8 e riparti fino alle dieci e mezza che dopo mettiamo un po' di dj set, capisci a me, il drink, la uagliuncella, e ti spari la posa pure tu[...] ". E pensa che gli avevano detto che era un locale diverso, fatto da ragazzi diversi, che avrebbero apprezzato la sua musica e lo avevano pure convinto a mandare email e contro email con video, link, siti contatti. "Avranno cambiato nuovamente gestione forse. Questo locale non è mai stato fortunato. Chiude e riapre spesso senza mai accocchiare nulla di buono. Ma chi se ne fotte", pensò Gianluca. "Io mo me ne vado da qua dentro così come sono entrato. Voglio solo capire dove vuole arrivare". "[...] ah, ma alla fine, che canzoni fai? Ah mmm no no, noi inediti non ne facciamo. Scusami se ti ho fatto perdere tempo, ciao."
Le cose belle devono essere raccontate, devono passare di bocca in bocca.
Mettetevela bene in testa, questa cosa, che è importante. Ce lo insegna la storia. Praticamente, le più belle favole ci sono state tramandate con il passa parola. Cioè, vi rendete conto che, senza l'entusiasmo del raccontare, la curiosità dell'ascoltare, l'ardore nell'emulare, non avremmo avuto l'Iliade, l'Odissea, il Decamerone, Lo cunto de li cunti, Le mille e una notte, per esempio? C'è sempre da imparare dalla storia. Chi lo dice questo? Ce lo dice la storia. Ebbene, questa mattina io ho finalmente conosciuto lo spettacolo di Maurizio Capuano, Animae in San Lorenzo, che si tiene tra il chiostro e la Napoli sotterrata del complesso monumentale della Basilica di San Lorenzo Maggiore. Maria Rosaria Piscitelli, amica e giornalista, mi aveva praticamente stolcherato, parlandomi di questo spettacolo, mattina, pomeriggio, sera, notte, sempre. - E' bellissimo, devi andarci. Anche lei, come me, quando conosce qualcosa che la entusiasma deve categoricamente presentarla a tutti. E bene fa. Ve l'ho detto, ve lo dico da sempre. Si può raccontare. Si deve raccontare. E d'altronde, Maurizio Capuano è un artista bravissimo, oltre che un amico con cui ho avuto il piacere di dividere il palco e la scena qualche volta in questa vita. Quindi, fesso io che ancora non c'ero stato. Innanzitutto, va spiegato cos'è Animae in San Lorenzo: una meravigliosa visita guidata sui generis alla scoperta di Napoli sotterrata. [Che cos'è Napoli Sotterrata: in termini magici, un luogo fantastico, dove i secoli si sono uniti, fusi, staccati, riuniti, accavallati gli uni sopra gli altri per darci la possibilità di arrecreare letteralmente le meningi e l'anima; in termini concreti, a circa dieci metri sotto la Basilica di San Lorenzo Maggiore, è possibile ritornare indietro nel tempo, ai tempi del Foro di Neapolis, dove tra, Cardini e Decumani, era fiorente uno dei centri mercantili più intensi dell'antichità.] I ragazzi di Naviganti InVersi, compagnia teatrale e associazione culturale, hanno messo su un vero e proprio spettacolo teatrale, ridando vita alle anime di importanti personaggi storici del passato: Masaniello, Cosimo Fanzago, Boccaccio, Fiammetta, Gianbattista della Porta, Nerone, Poppea, Fedro, Augusto e Giovenale varcano i confini spazio temporali dell'esistenza, della morte e tornano a giocare con i vivi, tra satira e parodie, per condurci - scherzando ridendo riflettendo - verso una rilassante riscoperta non solo del sottosuolo napoletano, ma soprattutto della bellezza dimenticata. E così la metafora, il parallelismo, è dietro l'angolo. Percorso fisico, spirituale, mentale. E così - ad esempio -, in un vecchio mercato del pesce di una Napoli tra il I secolo a.C e il V d. C, puoi incontrare Giovenale, Fedro, l'imperatore Augusto e Nerone mentre discutono di storia, di letteratura, di omosessualità, di immigrazione, o di come "hanno scopiazzato", ad perpetua rei memoriam, le favole ad Esopo. Temi di tempi passati, temi dei tempi nostri. Cambiano le strutture, Cardini e Decumani puoi chiamarli Via dei Tribunali e San Gregorio Armeno, cambiano le abitudini, ma i problemi dell'uomo restano quasi sempre gli stessi. "Viva il Re di Spagna, abbasso il mal governo. Il Re di Spagna non c'è più, ma a quanto pare, il mal governo gode ancora di ottima salute", recita Masaniello. E basta, dovete andarci, esserci, sentirlo. Non posso sempre anticiparvi tutto io. Fate come ho fatto io, dopo che Maria Rosaria mi ha letteralmente positivamente tempestato di "Ehi, devi andare a vedere Animae in San Lorenzo". Ascoltate, vedete, raccontate. Perché, a parte tutta la retorica che si possa fare, l'arte-conoscenza davvero trionfa sempre. Su tutto.È passato, presente e futuro. "L'arte rende liberi, non la violenza", come dice Maurizio Capuano, avatar dello spirito di Cosimo Fanzago. E non è un caso se, Capuano & Friends abbiano mandato in tilt le recensioni su TripAdvisor e abbiano attirato, soprattutto nelle ultime settimane, migliaia di turisti provenienti da tutto il mondo. Uno spettacolo unico che, come dicevo nel titolo, ti mette un po' in pace con la tua terra, che troppo spesso fa di tutto per farsi odiare ma che - è giusto ricordarselo - è fatta anche e soprattutto di questo: di storia sì, ma anche di giovani, di presente, di capuzzelle belle, libere, appassionate, ai quali, non solo faccio l'ennesimo applauso, ma porgo i miei più sinceri ringraziamenti perché mi sono divertito, ma soprattutto emozionato. P.s. Per visitare il sito e vedere lo spettacolo il costo di ingresso è di soli 10 €. L'unica pecca è questa: che su 10 € solo 1€ va alla compagnia che, per la bellezza, la cura nei dettagli, la dedizione, la bravura eccetera eccetera meriterebbe un tantinello in più. P.s. 2 Gli attori e i personaggi: Romina Stranzullo ( sostituta di Ursula Muscetta): Fiammetta e Poppea; Gianni Galepro: Giambattista della Porta e Augusto; Emanuele Iovino: Masaniello e Fedro; Aurelio De Matteis: Boccaccio e Giovenale. Animae in San Lorenzo Posted by Naviganti InVersi on Giovedì 17 dicembre 2015 C'era una volta. La fiaba, anzi no, una favola, anzi un po' l'una e un po' l'altra di Casaperpochi.6/1/2016 C'era una volta una fiaba, anzi no, una favola, anzi un po' l'una e un po' l'altra. In questa fiaba, anzi no, una favola, anzi un po' l'una e un po' l'altra, c'erano orchi, principi, orsi, lupi, conigli, piecori, cavolfiori transformer, carote rosse e broccoli marroni parlanti. Il posto in cui tutto ciò fioriva, pasceva e schiattava si chiamava Casaperpochi, una contrada del sottobosco a Nord di un Regno che dicevano fosse magico, ma quasi nessuno ci ha creduto mai. Dicevo, c'era una volta una fiaba, anzi no una favola, ma per fare prima la chiameremo fiabola, perché è un po' l'una e un po' l'altra. In questa fiabola, viveva una bambina che proprio non ne voleva sapere di crescere. La bambina si chiamava Fiammina, ma tutti preferivano chiamarla col nomignolo Petrosinella, sia perché Flammina era un nome troppo brutto per pronunciarlo ogni dì, ma anche perché aveva l'abitudine di stare sempre in mezzo ad ogni discussione, come il petrosino in ogni minestra. Per esempio: le donne parlavano del principe e delle sue corteggiatrici? ecco che Petrosinella si intrufolava nella discussione, dicendo la sua. I grandi discutevano del sistema tattico più idoneo tramite cui il battaglione azzurro avrebbe potuto sconfiggere i nemici dalle granate vesti? Ebbene, Petrosinella aveva da ridire sullo schieramento, i condottieri scesi in campo e sulla tenuta del manto erboso. Insomma, era una scassambrella di prima categoria. Avevano provato a non farla interferire, chiudendo portoni, porte e portoncini, ma lei, piccola piccola, riusciva sempre a passare attraverso ogni intercapedine, ogni fessura, ogni bucherello, spesso a cavallo di topi neri neri come la pece. Il padre, un brav'uomo ma un pochino fesso, un po' per risolvere la situazione dei topi, senza uccidere anche la figlia che, spesso, si divertiva in mezzo a loro, un po' perché era preoccupato del fatto che non crescesse neanche di un pollice, un po' per interrompere le sue intromissioni ad libitum nelle discussioni dei grandi, iniziò a tirarla per i capelli e per i piedi sperando che si allungasse. Questo sistema gliel'aveva insegnato una vecchiaccia che, al mercato ortofrutticolo di Casafinita, se ne andava in giro, chissà perché, col culo da fuori, a raccontare metodi omeopatici e affini per curare le defezioni del corpo e dell'anima. La vecchia era brutta come uno scarafaggio, come il cesso pubblico in cui ci ha appena cacato un elefante incantato e infestato dalla dissenteria, brutta come un brufolo incallitosi nel naso accatarrato, brutta come la bocca verde di un orco unto e bisunto, brutta come la zozzimma delle orecchie di un porco. Eppure, il padre ebbe il coraggio di tenere alto lo sguardo, di guardala in faccia e, ascoltandola, annuendo, si convinse che, quella da lei consigliata, fosse l'unica soluzione umanamente possibile. Ci fu chi provò a dissuaderlo, ma si sa, l'ignoranza è una bestia più brutta di qualsiasi orco malefico puzzolente scorreggione che vota Forza Oscura, alle elezioni per la salita al trono del Re Pesciolone. Ad ogni modo, messa su un torchio, il padre fesso iniziò a girare la manovella. La bambina iniziò a gridare come una vacca sgozzata lentamente con un temperino svizzero, e le ossa cominciarono a scricchiolare, i tendini a sfilacciarsi, i capelli a strapparsi. Petrosinella gridava bestemmie, lanciava preghiere, spruzzava lacrime amare, chiedeva, quasi ululando, perché il padre le facesse un torto così grande, cosa avesse fatto di male. Lei che era sempre stata una brava bambina, che aveva sempre aiutato in casa, proprio lei, che aveva sempre mangiato poco per mettere da parte il cibo e far crescere, con le mollichelle, la sorella malata di un'amica che viveva in una fattoria abbandonata di Casaperpochi. Il padre non poté sentire la storia commovente raccontata da Petrosinella, a causa del rumore del torchio e, anzi, continuava lentamente a girare la manovella, pensando che la moglie, buon anima, pace all'anima sua, morta sotto un albero parlante che si addormentò proprio su di lei, sarebbe stata contenta di lui e del suo arguto ingegno. Dopo un po', la bambina non riuscì più a sostenere le grida e l'anima sua, per dimenticare il suono abominevole del torchio e del dolore, andò a farsi un giro fuori dalle sue carnicciuole belle. Il padre, accortosi finalmente, di cosa aveva combinato, imprecò contro la vecchiaccia del mercato, e iniziò a piangere, disperandosi per ciò che aveva fatto alla sua Petrosinella. Fortunatamente, per caso, o per provvidenza, lì intorno si trovarono a passare tre vecchiette che avevano sentito tutta la storia gridata dalla sventurata Petrosinella e, commosse che quasi quasi gli occhi scappavano via dalle loro vetrinelle belle, tanto erano state oleate dalla tristezza, con una fatagione, un sortilegio, un tocco di furbizia, fecero rientrare l'anima scostumatella nel corpo della figlia che riprese colore e, sorridendo, corse verso il padre, abbracciandoselo tutto. Così, felici e contenti, se ne tornarono alla vita di tutti i giorni, dimostrando che è vero quel detto che dice: dio dà il pane a chi non ha i denti.
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