Una volta il pollice in su significava uscire illeso dall'arena. Tu guardavi in alto e se al capuzziello di turno giravano dritte, allora eri salvo. Almeno fino al successivo morituri te salutant. Tornavi a casa, ti toglievi l'elmo - o come diavolo si chiama lui -, lo posavi sul tavolo e poi ti preparavi a una grande mangiata di amatriciana, ancora tutto zozzo di sangue, piscio di leone e terra. Che poi, se accendevi la tivù, dopo una giornata di merda, nonostante la tua bella amatriciana a consolarti, scoprivi che la città era stata sotto assedio dei barbari, tifosi del tuo avversario nell'arena. Quello che hai ammazzato per avere salva la vita. E che vuoi farci? Tutto ha un compromesso. Oggi, il pollicione in su ha un altro significato. Si chiama like ed è diventata l'unità di misura per indicare il grado di bellezza di ogni cosa che Iddio ha creato. Più ne hai e più sei bravo, carismatico, intelligente e potenzialmente candidabile alle prossime primarie del M5s. Vale per tutti, soprattutto per i cantautori emergenti la cui consisitenza della forma e dei contenuti è – o deve essere - diversamente proporzionale al numero dei like che si prefiggono di avere. Attenzione. Sì, è retorica e anche un luogo comune. Forse. Credo. Ma, in generale, i like sono come le ciliegie, uno tira l'altro, nel senso che il primo è seguito da altri cento mipiace, purché ci sia un buon consenso massificato che, come ho fatto sottointendere poc'anzi, va comunque pilotato. Fin qui, nulla di nuovo credo. Lo ha scritto anche Tony Maiello e se lo ha scritto lui c'è da fidarsene. È un figlio dei talent, no? Che poi devo stare attento a quel che scrivo che sennò rischio di inimicarmi qualcuno. - ma chi cazzo lo legge il tuo blog di merda? E pure c'hai ragione tu, però una cosa devo dirla: non riesco proprio a fare il leccaculo. Nulla contro di loro, sia chiaro. Anzi, li stimo per la capacità che hanno di preservare la specie e di aizzarsi socialmente di volta in volta, di culo in culo. Io non ci riesco, ed infatti navigo tra i rimasugli del sottosuolo civile. Loro riescono dove tu nemmeni immagini e per questo c'è solo da ammirarli. E li ammiro anche per la capacità con cui lavorano alla luce del sole, fregandosene dell'opinione altrui e dell'alito smascherante che sa di merda. Copulano e si riproduno sin dalle scuole superiori, imparando ad accordare la propria opinione a quella del docente di turno. Lavoratori indefessi, il più delle volte – ma non sempre, sia chiaro – vivono di ignobili espedienti ( occhiolini, sorrisini, caffé, condivisione di link e pareri) per sopperire a una mediocrità evidente a chiunque, perfino a loro. Nulla di male ad essere dei mediocri, eh. Uno fa quello che può e, infatti, è proprio perché sono consapevoli di essere dei mediocri, che i leccaculo sviluppano questo astuto meccanismo di autoconservazione che, a volte, permette loro di arrivare finanche alle più alte sfere del potere mondiale. Ma sono pochi quelli che riescono effettivamente a scalare la montagna del successo, giustificando così l'ignobile e chilometrica dispersione di innocenti papille gustative sugli altrui deretani. Tutto sto schifo e non diventi nemmeno il nuovo presidente del consiglio? (Mentre scrivo non ricordo se un concetto simile lo ha scritto De Silva, in merito agli stronzi. Non lo so, può darsi, ma d'altronde siamo quel che mangiamo, siamo quel che leggiamo). Loro quasi mai vanno in branchi, poiché sono costretti a farsela con chi è migliore di loro. Ovvio. Perché seguire/frequentare uno privo di talento e competenze proprio come loro? E in ogni caso, se si muovono in gruppo, lo fanno solo fino a quando non trovano la possibilità di staccarsi e poi scamazzarti e/o scammazzarsi a vicenda. Perchè è fondamentalmente questo il motivo per cui vivono. Arrivare. Scalare. Superare. Infinocchiare. Stordire. Umiliare. Governare. Senza mai sporcarsi la camicia. E infatti, il leccaculo standard ha e avrà sempre qualcuno davanti che conta più di lui, e alle spalle il vuoto. Dicevo dei pollicioni. Internet è un'arena: tutti contro tutti. Col cazzo che la musica è condivisione. Sulla carta, forse, ma non nella realtà. Va be', dai, durante la lotta, qualche alleanza la si riesce pure a fare, ma dall'alto il boss pretende e ottiene le botte, sennò non si diverte, lui. È una lotta continua, più che altro una partita in cui sai che a centrocampo ti manca chi dà le geometria, hai Inler e Montesanto, e quindi sei costretto a fare i lanci lunghi sperando che qualcuno la spizzi di testa per lanciare dritto in porta l'attaccante nano. Quindi butti un po' di sabbia negli occhi, fai perdere le tue tracce, e poi fai dello spamming la tua ragione di vita. Attenzione, voglio essere chiaro: io sono il re dello spamming, e se da un lato è vero che è una cosa esasperante, anche un po' maleducata, come quelli che ti fermano per strada e vogliono venderti i calzini a tutti i costi, dall'altro, devo confessarvi che io sono un loro fan. Suonando per strada, ho avuto modo di incontrarli spesso e di seguire la loro tecnica: ogni rappresentate-venditore dovrebbe prendere lezioni da loro, credo. Non sono tutti maleducati e anzi alcuni inventano, in estemporanea, dei modi così divertenti che ti viene per forza da comprarti tre paia di calzini di Hello Kiatty - sì, con la A. Altri giocano sulla pietà, includendo nella trattativa ipotetici figli malati da mantenere, ma questa è un'altra storia. Il punto è che bisogna conquistarsi il like ad oltranza, perché non contano le ore passate a studiare, a scrivere, a suonare, a lavorare in studio, a registrare un disco, mettendoci tutto se stessi, quando la contemporaneità si basa sui followers, gli share e il book fotografico. Lo vediamo tutti, credo. Ad ogni foto, con in mano una chitarra, un piatto di maccheroni, e alle spalle un panorama, c'è, a mò di didascalia, una citazione presa random - nel migliore dei casi - da un libro o - nel peggiore - da google. Perché? per accaparrarsi un consenso, anche se il consenso non è di tipo musicale. E credetemi, non ci trovo nulla di male. Non li biasimo. Lo so perché lo fanno, e lo so, perché l'ho fatto anche io. Non biasimateci. Ha un senso tutto ciò. E' il divenire di questo mondo zozzo che vuole la carne, il sangue, l'inciucio, l'aneddoto, la banalità e l'isola dei famosi. Voi credete che le parole, ancor di più le vocali, non facciano la differenza? Ebbene: dal "sociale" degli anni 60-70, il cantautore di oggi deve affrontare il "social". Deve interagire col suo pubblico del cyber-luogo, nel cyber-tempo, altrimenti è fuori luogo e fuori tempo. Banale, ma importante capirlo. Riflettiamoci. Qualcuno dirà che non è così: studiare è ugualmente importante. E son d'accordo, o almeno voglio crederci, e allora non rompete i coglioni a chi fa un po' di spam che, nell'era della pubblicità sparata d'ovunque, in tv, in radio, per strada, su facebook, su youtube – che per vederti uno sfaccimma di video passano le ore prima che tu possa cliccare SALTA IL VIDEO -, sulle maglie di calcio, sulla pelle tatuata dei giocatori di calcio, indotta, sedotta, inconscia, conscia, subdola, nascosta, evidenziata, palese, endovena, sottocutanea, orale, rettale, che vuoi che sia un tizio che, per far capire che esiste, ti gira un cazzo di link? Niente. La gente a volte è così schizzinosa che, dio, come la schifo. Come quando scendi per strada, chiedi un'informazione, e non ti rispondono nemmeno al buongiorno. Se ti do fastidio, cancelli, e non fai nemmeno polemica. Che cazzo ti ho a fare tra i contatti? Mi sei umanamente, socialmente, antropologicamente, diafasicamente, diastraticamente e diatopicamente, sistematicamente inutile. Poi, certo, il like rubato, quello, è un altro discorso. Il concorso a premi, a squadra, a finale, a carte, al circoletto dietro casa, tutto ormai va in base al numero dei like che riesci ad accumulare sotto ad una foto, nemmeno più ad una canzone. Ci avete fatto caso? Magari tu ti sei sforzato a comporre la canzone più bella che i bimbominkia fan di Mengoni – a proposito, Guerriero, o come si chiama, fa cagare - abbiano mai avuto la possibilità di poter ascoltare e questi concorsi che fanno? Ti dicono che per vincere il festival, il contest, la kermesse, la selezione, il turno, la partita, la guerra, devi invitare i tuoi amici a mettere mi piace ad una foto. Una foto. A un contest fotografico che fai? Mi fai partire il televoto con tanto di Antonella Clerici che mi fa la lotteria italia in diretta? Comunque, io li boicotto ed evito di parteciparvi, anche se mi dicono che è l'unica strada oggi per farsi conoscere. Il fatto è che se proprio devo spammare, anzicché elaborare tutta una serie di riti propiziatori, divinatori, intimidatori per far mettere un semplice mi piace ad una foto, a sto punto, spammo qualcosa di mio, sperando di trovare qualcuno che abbia voglia di ascoltare o leggere davvero quello che gli invio ( e ho fatto pure la rima). Un'altra categoria è quella dell'utente che va in ricerca del tizio pieno di amici e/o fan su facebook per farsi aiutare nello spam. Cosa farebbe in cambio di un aiuto, solo dio lo sa. I laikkaculo, li chiamano. Scusate la freddura, ma a mezzanotte passata mi escono così. Infatti sono stanco e mo vado a dormire che domani mi aspetta un'altra giornata nell'arena. Ave youtube, cantauturi te salutant! p.s. BECCATEVI QUESTO SPAM.
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Milleottocentosessanta.
Milleottocentossessanta per dodici anni. Milleottocentossessanta per dodici anni fanno centocinquantacinque. Centocinquantacinque l'anno. Milleottocentosessanta. Se penso a come ci sono arrivato, un po' mi viene da ridere, un po' mi viene da piangere. All'epoca mi arrangiavo con quello che mi capitava. Ho lavorato in un bar per seicento euro al mese. Aprivamo alle sei di mattina e chiudevamo a notte inoltrata. Se andava bene, per le 2 ero a casa. Un massacro. Poi ho capito che così ci rimettevo la pelle ed io, a casa dai miei bambini, ci volevo tornare. E così ho fatto l'imbianchino, il fattorino, il cameriere. Traslochi occasionali tanti, tutto per pochi soldi. Una volta mi è stato proposto di fare il palo. Una rapina a un centrocommerciale. Dissi di no. A 18 anni mi iscrissi a lettere. Volevo fare l'insegnante e nei ritagli di tempo lo scrittore. Pensa un po'. Ci misi poco per capire che mi sarei schiantato addosso a un muro di illusioni, ma ci sono andato addosso lo stesso ed ora mi sto ancora riprendendo dall'impatto. Non dico niente. Resto in silenzio. Metto la testa sul cuscino, aspetto l'abbraccio di mia moglie che nel sonno mi cerca, mi accarezza, e così metto in muto il dolore. Non lo spengo. Non si spegne. Come quando abbassi il volume dello stereo. La canzone continua ad andare, poi ne passano altre mille, quasi tutte uguali, ma mica si ferma. No. È solo in muto. Intanto, consegnavo CV. - Le accettiamo solo tramite internet. Facevo sì con la testa, tornavo a casa ed eseguivo come un automa. Dopo qualche giorno mi arrivava la risposta. - Le accettiamo solo a mano. Li riempivo di continuo con esperienze lavorative che non avrei mai fatto. Inventavo. Mi sforzavo di pensare che era come scrivere un romanzo. Ogni riferimento a fatti e persone è puramente casuale. Bastava non scriverlo. Numero di telefono: 334 87891125 indirizzo e mail: [email protected] Conoscenza dell'inglese: ottima. Can you repeat slowly? Ulteriori informazioni: Ho bisogno di lavorare, non litigo mai con nessuno e se avete bisogno di qualcuno pronto a prostrarsi ad ogni evenienza, disponibile al signorsì in ogni caso, avete trovato l'uomo perfetto per la vostra azienda. Mai avuto risposte. Nemmeno per un colloquio, ma evitavo di abbattermi. Non ero felice, ma mi arrangiavo ad esserlo. Poi ci fu quel referendum. Fecero leva sulla rabbia, sull'indignazione. Fuori divenne un inferno. Al primo attentanto ne seguirono altri dieci. E all'indignazione seguì la paura. Ci fu il coprifuoco. Non ci si guardava in faccia se non per diffidenza. La paura avrebbe condizionato il voto. Lo sapevamo noi e lo sapevano loro. Il giorno delle votazioni fece caldo. Non ricordo di aver sudato mai così tanto. Io votai a sfavore, ma mi resi subito conto che avrebbero vinto loro. Lo capii dalla violenza con cui si diedero da fare le prime ronde di cittadini. Dai colpi di pistola sempre più frequenti. Dalle grida che, nel quartiere, di notte, quando stai facendo pace con la frustrazione di una giornata e i tuoi pensieri, si trasformavano in rabbia, in paura, in dolore, in aiuto. Da come cambiavano faccia rabbia, paura, dolore, aiuto. Vinsero loro. La sera, ascoltai il telegiornale senza fiato. Il presidente sorrideva. Era contento. Un cambiamento epocale nella storia della nostra nazione, disse. Un dovuto allineamento agli altri paesi. Ce lo impongono i tempi. Non mangiai nemmeno. È da quando ero piccolo, da quando vidi quel film, che sono contro. Rimasi impressionato da come la morte gli aveva cancellato le pupille. Fu questa la cosa che mi scosse più di tutto. E poi non era colpevole. Capito? Innocente. Poi lessi l'Étranger di Camus. Sono sempre stato contro. Ho votato contro. Ma la legge avrebbe dato possibilità a privati di gestire le carceri, le strutture, i medici, la sepoltura, tutto. Nuovi posti di lavoro, nuove assunzioni. Avrei potuto far parte del tutto. Fu mia moglie a convincermi. Io non volevo. Io non potevo. Io ho votato contro. Un lavoro come un altro, uno stipendio sicuro, contributi versati, faresti solo il tuo dovere, disse. E poi pensaci, potremmo permetterci una vacanza finalmente. Una cucina nuova. La bici per Francesco. L'iscrizione a nuoto per Maria. Anche mia suocera acconsentì. Mio fratello mi odiò per sempre. Nemmeno ebbi il coraggio di chiedergli perdono. Di mio padre non seppi mai il parere. Andò via prima del previsto, forse per le metastasi, io credo per lo schifo. Mia madre pianse quando lo venne a sapere, ma continuò ad amarmi lo stesso. Per lei non è mai successo niente. Per lei ero suo figlio. In ogni caso. Stampai l'ennesimo CV. Non ci misi speranza, per volontà questa volta, non per rassegnazione. C'era un piccolo test. Mi sforzai a sbagliarlo. Mi assunsero. In seguito, scoprii che mia moglie era andata a letto col responsabile delle risorse umane. Lo fece per noi. Per farmi assumere. Per l'iscirizone a nuoto di Maria. Per la bici di Francesco. Per la casa a Diamante. La perdonai. Con la cucina, mi permise di comprare un televisiore 3D. Come in una fabbrica, avrei fatto parte della catena di un ingranaggio. Ho fatto parte dell'ingranaggio. Milleottocentosessanta. Milleottocentossessanta in dodici anni. Milleottocentossessanta in dodici anni fanno centocinquantacinque. Centocinquantacinque l'anno. Milleottocentosessanta condannati a morte. Dopo dodici anni ho avuto aumento e promozione. Ma ho chiesto di andarmene in pensione molto presto. Il prima possibile. Sono vecchio. Sono invecchiato prima. Ho bisogno di tempo. Di più tempo. Ho bisogno di conferssarmi. Oggi, domani, dopodomani. È per questo che sono qui da lei. Milleottocentossessanta. Mi dia la benedizione. Mi dica che devo fare. Milleottocentossessanta padrenostro al giorno possono bastare? La prego. Mi dica qualcosa. Mi aiuti. Sono solo in muto. Ho votato contro! Nell'ultimo periodo mi sto dedicando molto alla lettura di autori indipendenti. Il termine indipendente è spesso inflazionato, usato a cazzo e confuso con emergente. Il più delle volte, però, accorpa tutta una serie di definizioni più o meno accertate dal dizionario dei sinonimi e contrari uzbeko. In pratica, un indipendente è uno che o ha una piccola casa editrice che gli garantisce editing, stampa, promozione o un povero cristo che da solo si stampa il libro, si trova l'editor e caca il cazzo agli amici su fb con tremileduecento tag su locandine promozionali di eventi fatti a pochi giorni di distanza l'uno dall'altro e, fondamentalmente, a pochi metri l'uno dall'altro: la prima presentazione in assoluto è d'uopo organizzarla nella biblioteca comunale del proprio paese, per invitare sindaco e assessore e dare così una parvenza istituzionalissima alla cosa. Un'altra presentazione, il nostro autore indipendente, la terrà a casa di zia Chicchina che non è potuta andare alla biblioteca, causa vene varicose. La zia inviterà tutte le sue amiche che, in vita loro, hanno letto solo sprazzi di Bibbia consigliati dal magnifico rettore della loro parrocchia e che, in generale, dei libri se ne fottono poco, ma hanno il borsellino pieno pieno di spicci e bontà cristiana, e tanto basta per sperare di piazzarne almeno una di copia. Fa molto rappresentante Avon, ma è così se vi pare. Per il secondo tipo di artista indipendente, finite le zie, i cugini e gli amici, il libro può dichiararsi definitivamente esaurito. Vendute tutte le cento copie, l'autore si riterrà assolutamente soddisfatto del successone. L'articolo sul giornale del paese, poi, sarà motivo di vanto tra amici e invidiosi. Cento battute di celebrità esposte sul camino costruito appositamente per piazzarvelo con tanto di cornice. Ad ogni modo, sia nel primo sia nel secondo caso, non è detto che il libro sia meritevole di considerazione. Che tu abbia una casa editrice, difatti, non fa di te un autore bravo. Non è detto. Come per i big, del resto. Potrebbe capitare che l'autore indipendente sia una femmina e le peggiori sono quelle col fare da sinistra radical chic, tutta diritti uguaglianze e cappotto da quattro stipendi di papà. Questa si atteggia solitamente a grande scrittrice convinta di essere dotata di fascino e sensualità nelle sue calze color carne e le scarpe aperte, per mettere in bella mostra piedicure e alluce smaltato di rosso, in stile Valeria Marini. Ma può capitare anche che il libro sia bello e che vi dia un senso di tristezza il fatto che, oltre Zia Chicchina che ha la cataratta, a leggerlo saranno poche altre persone. Ed è per questo che, quando mi capita di dover fare un regalo, invece di comprare la compilation di Tiziano Ferro, regalo libri di sconosciuti. Il festeggiato aprirà il pacco con la faccia schifata, è vero, ma può darsi pure che dopo ti ringrazierà. Dicevo, di recente ho letto un po' di libri indipendenti al punto che ho pensato di aprire questa specie di rubrica di uomini indipendenti sì, ma soprattutto coraggiosi. Simpaticamente e originalmente, la chiamerò IndieMen che in napoletano suona pure come indimen ? ( per gli italofoni è più o meno addirittura?) Se clicchi qui, qui e qui, leggerai già cose scritte su Amleto de Silva e Luca Fiorentino, in arte Aunasgheps). A volte, indipendente significa soprattutto essere bravi e poco famosi. Altre volte significa pure voler essere a tutti i costi poco famosi, che se piaci a tutti, va a finire che devi farti domande e darti risposte, ma non tutti sono degni di essere ospiti di Marzullo. Qui ve ne consiglio altri cinque, sperando di fare buon servigio all'umana specie, premettendo che non sono né uno scrittore, né un artista, né un blogger, né niente. Sono solo un lettore. Buongiorno e Addio (Abbiabbé). Qui potrei sembrare di parte per più di un motivo: l'autore, Francesco Mennillo, è un amico e in più ho scritto la prefazione. Però, credetemi, sono il tipo di persona a cui non piace dire che una cosa è bella se in realtà fa schifo. Né avrei mai potuto fare una prefazione a qualcosa che non mi piace. Buongiorno e Addio è un'insieme di racconti ben mescolati tra loro, dove i personaggi ritornano durante la lettura, dandoti la sensazione di essere di fronte a un romanzo. L'usus scribendi di Francesco è descrivere la realtà senza aggiugere orpelli di alcun tipo, come un'immagine fotografata e poi spiattellata sul web così com'è, senza filtri photoshoppevoli e con tanto di brufolone schiattato sulla fronte. Proprio di recente, gli ho detto che è come se facesse della realtà una gigantesca selfie dove nella foto non c'è soltanto lui, ma tutto un team di stronzi, puttane e filosofi coinvolti nell'ecosistema dei raporti sociali. Un esempio è il disparo. Di solito è l'amico che nelle uscite è l'unico senza fidanzata, ma il più delle volte, il disparo è quello che, proprio quando sei riuscito a rimanere un po' da solo con la tua fidanzata per fare un po' di porcherie, rompe i coglioni bussandoti al citofono e chiedendoti posso salire?, nonostante tu gli abbia fatto intendere non fosse il caso. ' A paura d' 'a morte, Maria Imperatore, Lista delle cose da fare prima di morire, Parole, Sergio e le noci, Dondola sono i miei preferiti. Ma se clicchi qui ti puoi leggere tutta la prefazione e capisci meglio dove voglio andare ad apparare. Un altro bel libro è Fermi (Albatros), di Teresa Pirozzi. Leggi i diciotto racconti e ti chiedi Dov'era nascosta? Te ne innamorerai, ne sono certo, perché il cinismo, la sensibilità e l'ironia con cui l'autrice affronta la realtà fa capire che nella scrittura c'è riscatto, e la cosa ti fa stare bene, anche quando cadi tra le intercapedini più tristi. L'indifferenza quotidiana del mondo si risolve con un delitto, un respiro affannato, un grido: la sensibilità di una bambina che non riesce a trovare una sua dimensione, nemmeno in casa, esplode con violenza sulla carta. Gite fuori porta, un uomo d'altri tempi, Tutto è tranquillo, Roba vecchia da buttare, I concorrenti dei quiz televisivi, Fuori, L'attesa sembrano essere ambientati in un'era senza tempo e senza spazio, eppure ci sei dentro, con le tue pareti di cristallo e le insicurezze pronte a spaccarsi da un momento all'altro. Poco più di un anno fa, la Marotta&Cafiero ha lanciato il romanzo Magari in un'altra vita, di Pino Ciccarelli, già musicista con i contro cazzi che ha suonato con i più grandi artisti italiani. La magia è nelle parole, perché Pino sa bene quando inserirsi in prima persona con un solo e poi farsi da parte per lasciare spazio allo spettacolo della storia e ai suoi interpreti. Attraverso i protagonisti, Giuliano e Riccardo, l'autore rievoca l'epoca degli anni '70 del quartiere marianella. È inutile specificarvi che in quel periodo non ero nemmeno tra i pensieri di quello spematozoo che s'incuneò poi tra le tube di falloppio di mammà, tuttavia leggendo Magari in un'altra vita, quasi ne sento la mancanza, quasi mi sembra di ri-viverli, come quando vedi un film di Totò e non ti sembra vero che il bianco&nero non è una scelta stilistica. Ci siamo capiti, no? Leggi e ti è tutto vicino e credo che questo sia il più grande successo per uno scrittore: farti stare dentro alla storia. A ogni capitolo, l'autore consiglia l'ascolto di un brano a mò di colonna sonora, simbolo di un legame indissolubile tra musica scrittura e ricordo. Io ritorno domani, di Flavio Girardelli, è uscito pochi mesi fa con Youcanprint. Lui ha uno stile di scrittura lontano dai miei gusti, non posso negarlo, tuttavia la storia cattura e ti lascia senza fiato nel finale. Il romanzo è ambientato un po' tra le montagne trentine un po' in una calabria sperduta, vecchia maniera. Tra ricordi, flash back e scampagnate bucoliche sembra tutto un idillio della vita e del buon vivere tra le alture italiche, tuttavia ad un certo punto l'autore si scatena dandoti un paio di cazzotti allo stomaco ed uno alla tempia. Detta così pare una cosa negativa e invece sono semplicemente i sintomi di uno stato d'animo che cambia a ritmo della trama. La cosa che mi dispiace è che non posso anticiparvi niente perchè è proprio in un preciso momento che la storia raggiunge dei picchi incredibili. Quando pubblicai il mio primo romanzo, m'appiccicai con quelli della casa editrice che, nella sinossi, mi sputtanarono praticamente il finale e io vorrei evitare di fare la stessa così qui. Vi dico che merita di essere letto. Basta? In questo periodo, poi, sto leggendo la raccolta di poesia di Aldo Granese, La mia corona, edita da EdizioniNuovaPrhomos. Non posso dirvi molto che sto a metà e in generale con la poesia ho un brutto rapporto. Non ne capisco molto, però posso dirvi che i sonetti che ho letto finora sono molto belli, evocativi e pieni di significato. Di Aldo, tra le altre cose, ho ascoltato "L'arpa dai fili di ferro", un concept album che mette in risalto voce, testi e una cultura sterminata che di questi tempi è un po' come cercare un perizoma in duecentochili di chiappe. Mi si perdoni la metafora, ma è la prima che mi è venuta. Il libro che NON vi consiglio di leggere è di Gianni Scudieri per la Tullio Pironti: Io e il rock. Mi dispiace dover parlar male del lavoro di qualcun altro, tuttavia non posso farne a meno. Chi mi conosce sa bene due cose:
Potrei risparmiarmela, è vero. Perché tirarmi queste inutili tarantelle?, ma devo pur salvarvi in qualche modo. La prefazione è a cura di Edoardo Bennato e la mia domanda è perché? Se è vero che un grande cantautore non deve per forza essere un grande critico letterario e/o avere buon gusto in fatto dei letture, e se è vero pure che spesso l'amicizia fa fare grandi errori nella vita, è vero pure che a tutto c'è un limite. D'altronde, non è nemmeno tanto indie uno che riesce a promuovere la propria opera alla Rai ed è introdotto da Bennato. Il libro doveva essere una specie di percorso storico del rock romanzato e alla fine sono diventate centoquarantuno pagine in cui l'autore, tramite la voce del protagonista, al secolo Francesco Normanno, si autoelogia di continuo, tra continui cambi d'umore e considerazioni sulla vita pressocché inutili. Però, c'è anche da dire che parlare di sé in terza persona e abboffarsi di complimenti è qualcosa che in pochi hanno il coraggio di fare e Gianni Scudieri lo ha trovato tutto. Il protagonista cambia e scambia tremila donne, chiaramente una più bella dell'altra, cornificando fidanzate, moglie e cani. Lui ha letto e ascoltato le cose migliori. Cita senza ritegno Proust, con la fastidiosissima mania pavoneggiante dello scrittore acculturato. Per Francesco Normanno il meglio del meglio è accaduto negli '70, il resto è merda, compresi i giovani e gli artisti che non saranno più come quelli di una volta. A un certo punto però si ricrede e si fa paladino dei più deboli: forse è colpa delle politiche moderne se i giovani non trovano spazio. Poi dice di stimare Mario Monti, l'allora presidente del consiglio. Pensato male, scritto peggio, cito testualmente: “Anche se non lo manifestava apertamente, era piuttosto contrario all'ondata miratoria che aveva attraversato l'Italia e l'Europa negli ultimi anni; razzista non lo era, però aveva cominciato a credere nell'identità nazionale, nel concetto che i bianchi debbano stare nel mondo occidentale, i gialli in asia e i neri in Africa! Francesco Normanno questo non lo diceva ma lo pensava, come lo pensa la stragrande maggioranza della gente la cui ipocrisia, però, non permette di manifestarlo apertamente”. Oltre che brutto è pure scemo. Non solo si dichiara non razzista per poi esserlo, ma in poche righe ti vuole convincere pure che, sotto sotto, anche se non vuoi ammetterlo, lo sei pure te che leggi. E questa cagata razzista la potete leggere già alle primissime pagine. E continuando le cose non migliorano. Poi ha un amore dichiarato per i punti esclamativi: li infila ad ogni frase ad capocchiam, manco fossero in saldo insieme al prosciutto rovagnati. Vi starete chiedendo perchè non l'hai buttato subito via se faceva così schifo? Beh, perché sono autolesionista e, soprattutto, non mi va di giudicare un lavoro dalle prime pagine. Bisogna andare fino in fondo per capire quanto fa davvero cagare, così come non si può interrompere la lettura di uno che ti piace solo perché le prime venti sono scritte come Dio comanda. Detto questo, vi auguro e consiglio di seguire gli artisti indipendenti, dalla musica alla letteratura, altrimenti un giorno, quando la nostra cultura sarà sterminata dagli alieni, rimarranno in giro solo dischi di laura pausini e libri di federico moccia. |
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