L'hanno già fatta in tanti una lettera pubblica al presidente della Repubblica. Gaber l'ha fatta cantando. Un mio carissimo amico la fece al Papa, dal suo blog. Ebbene, nell'era del social-omologazione, perché non farla pure io. Cosa voglio chiedergli? Scusa, leggi qua sotto, no? Egregio Presidente Sergio Mattarella, innanzitutto LE chiedo scusa se la formula del saluto non è proprio il massimo. Non scrivo una lettera dalle scuole medie, quindi, mi perdoni se la struttura non è quella canonica. Ma, per come stiamo combinati, oggi come oggi, badare ancora alla forma, significa appigliarsi volutamente alle futilità, e noi, cioè, LEI, non è tipo da appigliarsi al futile. Andiamo al sodo. LE scrivo questa lettera perché, fondamentalmente, non ho niente da fare. Potrei uscire per trovarmi un lavoro, signor Presidente, e qualcuno LE darebbe pure ragione ma, vede, sono andato a cercarmelo ieri, e l'altro ieri, e pure tre giorni fa e, oggi, sono di festa, perché me la merito pure una bella giornata di nullafacenza, dopo tutto questo vagabondare, o no? Anche perché la benzina costa. Quindi, le scrivo questa lettera ma, in realtà, non so bene cosa chiederle perché, fondamentalmente, ho la sensazione che a lei non importi che un ragazzo, da un paese in provincia di Napoli, possa chiederLE qualcosa. Perchè poi dovrebbe? Potrei mettermi qui a raccontarle dei problemi che abbiamo (dei roghi tossici, della criminalità organizzata, dei giovani che provano a fare del bene nel proprio territorio ma che poi vengono minacciati dalla Camorra e quindi sono costretti a rinunciare, visto l'assenza dello stato, visto la SUA assenza, della scuola che scuola più non è, del lavoro che manca, della sanità e tutta un'altra serie di cose simili che ascolto e conosco ormai da anni e che ormai è diventato solo un blàblà multiforme per le piazze e per le birre alle due di notte, comprate con i soldi della pensione del nonno e riempite con una fontana di bestemmie), ma ho la sensazione che LEI, egregio Presidente, di tutte queste cose, ne è già al corrente. Voglio dire, LEI è il presidente della Repubblica Italiana, e vuoi che il Presidente della Repubblica Italiana non sappia che la Repubblica Italiana, di cui Lei è Presidente, stia un poco poco 'nguaiatella1? Ma sì, è così, Lei sa tutto, Lei conosce. E so pure - perché me ne rendo conto, perché glielo leggo negli occhi che è una brava persona – che LEI vorrebbe aiutarci, ma proprio non può. Sì sì, è così, deve essere così. E quindi, mi scusi se Le sto recando disturbo, se ho provato a farLe venire un po' di senso di colpa. È che avevo bisogno di parlare con qualcuno. Mamma mi ha sempre detto di farmela con chi è meglio di me e, poi, che bisogna sempre chiedere aiuto. Se Dio non mi ascolta, se il mio cane non può rispondermi ( anche perché un cane non ce l'ho), se intorno nessuno sente, nessuno vede e nessuno parla, ecco che mi rivolgo a Lei, almeno per dar sfogo a questo herpes. Però, forse, certe cose è meglio che me le tenga per me. Vede, è difficile parlare pubblicamente delle proprie esigenze. Faccio musica, Presidente, scrivo libri, Presidente, e nel frattempo suono pure per strada per accocchiare2 qualcosa di soldi. Ho studiato e ho intenzione di studiare ancora perché, vede, la Sua generazione di uomini e politici e corrotti, ci ha convinto che studiare è l'unico modo per migliorarsi e, vede, io ne ho fatto un baluardo talmente imprescindibile nella mia coscienza, che non potrei fare altrimenti. Pure se c'è da pelare le patate e lavare i sanitari, Presidente. Perchè, in fondo, è vero il fatto che, se uno nasce tondo, non è che può infilarsi le camicie slim. E no, Presidé, mi entrano strette già dalle spalle. A proposito, Presidé, dove compra le camicie Lei? No, perchè con questa moda dilagante dell'uomo secco secco, non so proprio più dove andare. Ad ogni modo, questo è il paese in cui ci sono pochi diritti, e quei pochi diritti che ci sono li stiamo piano piano scamazzando. E questo è pure il paese in cui le rivoluzioni si sono modernizzate, eggià. Ormai si fanno comodamente a casa, al di qua di una tastiera, con una lattina di the alla pesca, mentre i brogli si fanno ancora, alla maniera tradizionale, nei seggi elettorali, in parlamento, a cena in un bel ristorante con le cameriere escort. Alla vecchia maniera, insomma. Poi, se un paese, distante chilometri e chilometri di oceano, dà dei diritti che noi nemmeno immaginiamo, qui si festeggia come se fossero tutti pronti per andarci in quel paese. Come se non ci fosse qualcuno a prenderli ad anfibi in faccia. Egregio Mattarella, come se lo spiega lei? Io penso che è un po' come guardare un film porno, masturbarsi in eterno ma senza trovare mai l'orgasmo, in un'infinita posticipazione dell'eiaculazione. E per quanto tu possa sforzarti di immaginare di essere proprio tu quello che si fa la tizia su youporn, fondamentalmente, no, mi dispiace, ma non lo sei. Oh, ma mi scusi, Presidente, Lei ha una certa età e, probabilmente, questi discorsi Le staranno dando un po' fastidio. Sono abituato a quell'altro, al Cavaliere. Forse, lui, la metafora l'avrebbe colta a volo. A volte, mi manca. Ma no, no, torniamo a noi, mio Emerito Presidente. Comunue, io sto scrivendo, Presidè, sono arrivato a tre cartelle, ma mi sono fatto già una mia idea, senza che nemmeno lei mi risponda, Presidè. Cioè, parliamoci chiaro, se fossi in Lei, manderei tutti a fare in culo e me ne andrei proprio su una bella isola deserta, con le donnine mezze nude a sciosciarmi le foglie di albero di cocco in faccia. Cioè, perché dovrebbe importarsene di tutto quello che ci capita intorno? Ormai è vecchio, ha pochi anni ancora di vita, e vorrà pure godersela, credo. Si mette a perdere il tempo dietro ai problemi d'Italia? Si mette a perdere il tempo dietro a questa mia lettera? Si mette a perdere il tempo per me? Macchè. Insomma, io Le sto scrivendo questa cosa, e già mi sento scoraggiato, perché, in fondo, a Lei non frega niente di me, e a me non frega nemmeno poi così tanto di Lei. O meglio, potrei mai dirle che il paese di cui Lei è Presidente della Repubblica, fa schifo, ma schifo schifo schifo? Non si fa, è cattiva educazione. È come andare a casa di qualcuno e criticarne le pareti, la disposizione dei mobili, la cucina dell'Ikea, la libreria con pochi libri, l'ordine, i sanitari sporchi, il balcone claustrofobico, le finestre chiuse. No, non si fa. Da piccolo, i miei genitori, mi hanno insegnato ad essere educato sempre, pure quando il cibo alle feste dei miei compagni di classe faceva pena e rimanevo a digiuno, perché le patatine erano sereticcie3 e la cocacola era sfiatata. E fa niente se poi, di questa casa, io e Lei, siamo coinquilini. E fa niente se poi, tra me e Lei, chi fa da padrone di casa, in questo stupido e retorico gioco delle parti, è Lei, mio Presidente. Eppure, davvero mi farebbe piacere prendere un caffè con Lei, a metterci a parlare di libri, di musica, Le racconterei che ci sono delle associazioni che coprono le Vostre mancanze, sì, Presidè, pure le Sue, e che magari si fanno il culo così e poi sono pure costrette a nascondersi, a chiudere, a tirare i remi in barca, perché qualcuno li minaccia, sì Presidé, li minaccia. Ma ho già accennato a questa cosa poco sopra, Presidé, ma il fatto è che non ho proprio nulla da dirle. Più che altro, venga qua, venga a vedere com'è che stanno le cose quaggiù, venga a farsi due tre settimane, venga a viverci, e non come faceva quell'altro che ci veniva solo per prendersi il caffè al Gambrinus e a farsi le fotografie da Sorbillo. E nemmeno come ha fatto il Papa, sgommando sulla bella Papamobile, come un supereroe della MarvelDisney. Si immagini: io e Lei seduti ad un bar di Villaricca, a chiacchierare del più e del meno, del fatto che Douglas Adams è stato un fottuto genio e che le canzoni di Jovanotti fanno cagare quasi tutte. Nel mio sogno, Presideé, Lei si oppone dicendo che fanno cagare proprio tutte. Sarebbe bello, Presidè. Però, oh, il caffè lo offro io. Mica mi perdo per così poco. Sono pur sempre un signore. In fede Francesco Amoruso 1Appena appena rovinata. 2Metter su 3Secche, raffermo, vecchio.
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Sono razzista e me ne vanto. Già. Non l’ho detta mica io questa cosa qua, eh, ma mio cugino. Ora vi spiego com'è che stanno le cose. Allora, c’è un lato della mia famiglia che ritengo sia lombrosiamente devastata dal gene della scemità. Tu gli parli di musica, di letteratura o, che ne so, di Decomposizione della specie umana con la diffusione dello sperma di Salvini per mezzo delle ovaie della Isoardi, corso che a breve sarà istituito dalla Federico II, presso la facoltà di Sociologia, e loro rimangono fermi a contemplare il vuoto, come a dei babbasoni. Ma pure se provi a dar loro delle piccole semplici indicazione, tipo dove si trova la pasticceria in cui avete comprato le sfogliatelle per il compleanno di zia Maria, sì, anche per queste cose così, pure non riescono a darti segni d'intesa da esseri almeno pensanti. Il più delle volte, hai la sensazione che non abbiano capito niente. Il più delle volte, non hanno capito niente. Restano muti e, al massimo, ti rispondono con una specie di grugniti mono-consonantici, strani versi gutturali con cui si capiscono solo tra di loro, e, coi quali, forse forse, ti prendono pure per il culo. Pensa. Però mio cugino è un tipo intelligente, rispetto al Dna che gli scorre in corpo. Nel senso che, se gli spieghi il motivo per cui Gigi D’Alessio non può essere considerato un artista, annuisce con cognizione e ti dà pure ragione. Insomma, eravamo seduti al bar e disse questa cosa. Sono razzista e me ne vanto. Per poco non mi andava il caffè di traverso, tanto che c'ero rimasto male. Essendo il cugino meglio riuscito, me lo tengo stretto e cerco, giorno dopo giorno, di inculcargli qualche cosa di buono. Negli anni, gli ho passato un sacco di dischi e gli ho regalato una marea di libri, con l'idea che, una volta ascoltati o letti, ci si vedesse per parlarne insieme. Mio cugino è un po’ un club del libro, e vado fiero di ogni suo miglioramento. Ah, dimenticavo di dirvelo, mio cugino ha undici anni meno di me. Che cosa vado facendo in giro con un ragazzino di 16 anni, vi chiederete? Faccio in modo che non si perda, in attesa che un giorno, da un momento all'altro, possa impazzirgli il Dna. Una volta mi disse di aver letto tutto in una notte Il vecchio e il mare, e che, anche se aveva preso una brutta nota sul registro, perché si era addormentato in classe, non faceva niente; ne era valsa la pena. Ad ogni modo, capirete che mi venne un colpo quando, tra una leccata e l’altra al suo gelato, tutto azzeccatosi in faccia, sulle mani e sulla maglietta, mi disse Sono razzista e me ne vanto. Cioè, l’avesse detto suo padre, un uomo enormemente ottuso, non ne sarei rimasto sorpreso. Ma da lui, il mio fiore all’occhiello, fu un vero e proprio tradimento. Mi vennero subito in mente tutte le volte in cui avevo provato ad inculcargli certi concetti. Una mattina, lo presi a paccheri in testa perché aveva osato contraddirmi: Però il fascismo ha fatto un sacco di cose b… Buuummm… una carocchia in testa gli diedi. Si mise a piangere, giustamente. Riuscii a calmarlo promettendogli che gli avrei regalato qualsiasi libro avesse voluto dalla mia libreria, poi gli dissi ad un orecchio: “È così che fanno le dittature. Quando c’è una voce forte che, senza paura, si oppone all’ideologia di potere, utilizza la violenza senza se e senza ma…”. Fece sì con la testa, come ad aver capito, mi sorrise e poi mi ricordò della promessa. Prese una copia de Il vecchio e il mare. Quando gli feci notare che già ce l’aveva, mi rispose: “ La tua è più vecchia, mi piace di più”. Personalmente, a dirvela proprio tutta, avrei approfittato della promessa in maniera diversa: avrei preso qualsiasi altra cosa, ma mai un libro già letto, ma era solo un ragazzino, e poi, se gli piaceva la mia più vecchia edizione, de gustibus non disputandum est. A parte questo, anche se a sedici anni ancora non sa mangiarsi un gelato senza zozziarsi sano sano, si è sempre dimostrato un ragazzino piuttosto sveglio, considerando la famiglia. Com'è che ora si mette a dire 'ste porcate? Non mi misi a prenderlo a schiaffi, sta volta. Quello fu solo un modus educandi circoscritto a quella precisa situazione. Del tipo, ti piace il fascismo? Eccotene le conseguenze. Vuoi il mio posto? Prenditi pure tutto l'handicap. Iniziai a spiegargli i motivi per cui certe persone scappano dai paesi in cui vivono, le difficoltà, l’importanza dell’accoglienza, la necessità di restare umani, l’imbroglio politico e mediatico che sposta altrove, dove si vuole, le vere problematiche del paese, di cui non si parla mai in tv (perché non conviene), le bugie che raccontano, la xenofobia (che cresce senza freno in tutta Europa), il dolore, la sofferenza, l’etica della reciprocità, il fatto che l’uomo può subire qualsiasi tipo di angheria, persecuzioni, campi di concentramento, discriminazione, esserne vittima o spettatore, ma non impara mai. E gli ho raccontato storie, esempi, aneddoti, di associazioni, movimenti politici, di quanti guai ha combinato e continua a combinare l’Europa in Africa e in Palestina e in Asia. Del casino che hanno generato, fondendo in un'unica nazione, a capa di cazzo, identità culturali diversissime tra loro, ponendo le basi a numerose crisi intestine. Una mattina, dei piccoli ingegneri del Risiko si so' messi col righello e hanno diviso le nazioni come fossero puzzle di un disegno. Quale fosse 'sto disegno, ancora non si è capito proprio bene bene, o quasi. Guarda, guarda la cartina, gli dissi, indicandogli i confini dell'Egitto, della Libia, per mostrargli giusto un esempio. Poi, gli ho spiegato la cosa in maniera diversa, una specie di paradosso, stupido forse, sicuramente banale, forse già fatto, ma utilissimo: “ Immagina: Sei sposato da anni e credi che il tuo rapporto coniugale sia indistruttibile, ok? Bene. Poi arrivo io e ti convinco che in realtà, per tenerlo stabile, c'è bisogno che tu divida tua moglie con me, per un perfetto menage a trois. Per mesi, anni, decenni, io te e tua moglie andiamo avanti insieme. Il più delle volte, quando tu non ci sei, ne approfitto per scoparmela da solo, e nelle posizioni più impensabili, insegnandole cose che non aveva mai fatto con te. (Sì, non preoccupatevi: mio cugino sarà pure più piccolo, ma è più scetato di me, in queste cose) Poi, un bel giorno, ti confesso che era tutta una presa in giro e che, in realtà, ho solo compromesso il tuo equilibrio coniugale. Così, me ne vado e ti lascio nella merda più totale. Senza soldi, perché negli anni, tu hai lavorato ed io, a mò di parassita scansafatiche, ho approfittato della tua ospitalità, dissipando anche i pochi risparmi che avevi messo da parte, prima del mio arrivo. Con un figlio in arrivo, che non sai se è il tuo. Con tua moglie che non si accontenta più di te. Con una guerra tra le due famiglie, perché ti incolpano di aver permesso che il diavolo ti entrasse in case. Disoccupato, perché il tuo datore di lavoro, pensando di potersene giovare anche lui del rapporto a tre, ha seguito il tuo stesso esempio. Così, si è ritrovato anche lui senza soldi, e per di più costretto a dover licenziare tutti i dipendenti e a chiudere l'unica fabbrica della città. Con a carico una moglie sconsolata ed un figlio che non sa se è suo. La tua unica chance è quella di venire a chiedermi una mano, visto che, in un recente passato, non solo ho approfittato della tua ospitalità, e quindi sono in debito con te, ma ho pure tanto da farmi perdonare, considerando che ti ho distrutto la vita. Ci sei? Ok, Bene. Io che faccio? Logico! Ti nego tutto, aiuto e accoglienza e, in più, sollevo su di te l'ira repressa dei vicini, degli amici e di tutta la famiglia, i quali da me si aspettano tanto, visto che ho promesso loro un pezzettino di tua moglie. Ti sbatto la porta in faccia, ti offendo, ti spingo via e ti lascio morire fuori al giardino. Capito? Bene. Ora, tu sei l'immigrato, tua moglie rappresenta la tua identità, mentre io sono il paese che, prima ti ha invaso, e poi si rifiuta di aiutarti. Capito?”. Stetti buono dieci minuti a raccontargli tutto il fattarello, e alla fine della storia, nonostante sembrasse aver capito, ripetè: -Sì, ma non toglie che sono razzista e me ne vanto. Stavo per rispondergli, cercando di trovare gli argomenti più giusti per approfindire ancora di più la cosa, quando fu lui a zittirmi. - Ma scus frà, cioè, capiscimi. Non so' i neri i problemi, ma gli scemi. Come fai a non essere razzista verso gli scemi? Cioè la storiella che mi hai raccontato è vecchia, frà. Cioè, capisci. Il sud ha subito la stessa cosa, o no? Quando po' stanne chilli quatto strunz che dicono lavali col fuoco e compagnia bella. Cioè, in classe c'ho un amico nero. Cioè, non c'è differenza. Anzi frà, cioè, è pure meglio di me. A scuola è un genio ed è gentile con tutti, pure se lo sfottone ' o terroriste. Quello è buono come al pane. E poi il padre lavora dalla mattina alla sera. Si fa un culo così, tutti i giorni. Come mio padre, come tuo padre. Cioè, frà. Lo sai, cioè, qua basta poco e diventi uno malamente. Bianco e nero, l'uomo se può far schifo, fa schifo a prescindere dal colore della pelle. L'amico mio, invece, è uno che parla come a te. E' intelligente e ascolta bella musica. E po' Salvini parla quando e come vuole dentro la televisione, e la gente gli dà corda, perché così fa comodo o perché so' sciem. Cioè, frà, come fai a non essere razzista verso sta gente? Lo so, tu dirai: ma quello proprio perché è scemo, non lo devi pensare. Però io non ce la faccio, e va a finire che parla uno scemo, parla un altro scemo, va a finire che rimaniamo sommersi dagli scemi. Hai sentito a Umbero Eco l'altro giorno? Troppi scemi, ed io non ne posso più. No, frà, a modo mio, ma fammi resta' razzista... Cioè, 'o fatte 'e Voltaire, cioè, Non condivido la tua idea, ma darei la vita perché tu la possa esprimere, cioè, frà, è bella come frase, quelle cose ad effetto che va bene solo 'ncopp a Facebook, ma a finale è 'na strunzata. Frà, cioè, è bella, addosso a un'ideologia è perfetta, ma io non pozzo da' 'a vita pe' nu strunz comme a Salvini. Cioè, frà, no. Stavota no... Damme pure nu buffe, ma famme fa 'o razzista cu sta ggente. E basta. Basta. Volevo cercare notizie sulle ultime elezioni, ma mi sono bloccato sul doodle commemorativo di Google, e il perchè ve lo dico subito, o quasi. In questi quindici giorni è accaduto di tutto:
Ebbene, oggi 15 Giugno 2015 è l'800° anniversario della Magna Charta. Me lo ha ricordato Google, ve l'ho detto. Non è che me lo sarei ricordato altrimenti, anzi. Mi sarebbe passato per il cazzo. O meglio, non avrei detto e fatto nulla, visto che, senza Google, non mi sarebbe proprio passato per l'anticamera del cervello, quindi, per costruzione e per logica, non avrei potuto nemmeno farmela passare per il cazzo. Però, visto e considerando che sto fatto ormai è uscito fuori, è bello festeggiare insieme. In pratica, dopo la morte di Riccardo Cuor di Leone, il fratello, Giovanni Senza Terra, quello che si ciuccia il pollice in Robin Hood della Disney, si mise a tassare i suoi baroni per accocchiare qualcosa di soldi e mandare i soldati a morire per lui in Francia, per recuperare qualche pezzetto di terra e per difenderne altri. Alla fine, Giovanni Senza Terra ( soprannome datogli da gente cattiva assai, perché gli ricordava ogni due e tre che, essendo il quintogenito, inaspettato e indesiderato, il padre nemmeno l'aveva messo nel testamento) perse malamente la guerra e si trovò a dover rimpiangersi Filippo e pure il panaro. Per chi non conoscesse il detto, significa che il caro Giovanni si ritrovò a perdere su tutti i fronti, e quindi: Filippo sono le terre francesi, Panaro è il consenso dei baroni che, cacatisi il cazzo della situazione, gli rifiutarono la fedeltà. E così, fu sotto pressione di quest'ultimi che Giuvanniello si trovò costretto a concedere questa Magna Charta Libertatum, per molti una specie di archetipo della Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino, per molti altri soltanto un patto tra clero e borghesia medievale per tutelarsi a fronte di un uomo avido ed incapace. Ma stiamo parlando del 1215. E comunque, hai detto niente. Immaginati che figata il 1200: non hai l'auto per andare in giro a distrarti o per bestemmiare ogni volta che devi mettere benzina; non puoi farti una scopata tranquilla senza preoccuparti di prenderti qualche malattia del cazzo, e comunque le più fighe sono del re, ma se pure fossi il re, devi andare in giro con il fabbro per colpa di 'ste cazzo di cinture di castità; non puoi andartene a spasso per le vallate sperdute a farti selfie e poi pubblicarle su facebook, twitter e instagram con qualche frase filosofica, che la libertà di espressione ancora viene condannata col rogo; non hai i centri sociali che, come ti metti ad occupare qualcosa, vengono a condannarti a morte 'ndo stai stai, pure fino fuori al Kestè, ammesso e concesso che con l'armatura addosso riescano a non ruciuliare per tutto Mezzocannone; tua nonna ti fa lo scroto alla scaloppina, che è ancora impaurita per i racconti della bisnonna sull'anno mille, la fine del mondo e il millennium bug. Certo, sei barone, quindi qualche privilegio ce l'hai: puoi far impiccare la nonna, per esempio, ché per la versione e-book della Divina Commedia ci vuole tempo, dunque l'assassinio non è così un peccato per tutti. E poi che te ne fotte dei centri sociali? Come minimo hai un podere e un manipolo di contadini ridotti a serva della gleba o a corveè, in pratica dei piccoli jovonatti che lavorano per te per senza niente. Tu sei un barone, cazzo, e a parte leccare il culo ogni tanto al re, per il resto della giornata puoi pure restartene in panciolle, sdraiato, a sputare acini d'uva e ossa di cacciagione dove ti pare, tanto mica devi pulire tu. Sei un Barone, porco cazzo, e tra qualche anno vincerai la Coppa del Mondo, e ancora una volta senza fare un cazzo. ( Scusate!) Però, a pensarci bene, senza Sky, senza né Playstation né Xbox, senza la Coppa Campioni, ché ci vorranno altri settecento anni e rotti prima che il Nottingham ne vinca una, senza una sola femmina con le cosce e le ascelle depilate, è chiaro che, quando il Re si mette a fare il gallo sulla munnezza, tassando questo e tassando quello, ti inizia un po' a prudere il mazzo e ti viene voglia di far crollare tutto œ. Chi cazzo la vuole sta guerra in Francia? Noi la terra ce l'abbiamo, sei tu che non ti sei stipato una cosarella di soldi quando eri creaturo. Sei tu quello senza terra! Tornatene da dove sei venuto! St'immigrati di merda, arrivano, salgono sui nostri treni e s'atteggiano a padroni del mondo. Mo glielo facciamo vedere noi: incatastiamo il re in un bel guaio! Gli facciamo perdere qualche guerra in Francia, grazie a qualche infiltrato, poi con qualche prestito a usura gli vendiamo, con un po' di sovrapprezzo, le armi che fanno gratuitamente, ma in cambio di esperienza, i nostri fabbri. Poi, se al cavallo gli mettiamo gli zoccoli taroccati comprati al mercatino di Antignano, quello cade una volta sì e una volta no, e così al re gli facciamo perdere qualche altra guerra; gli concediamo qualche altro piccolo prestito ché, quando torna, per estinguere debiti e controdebiti, è costretto a firmare e controfirmare tutte le nostre volontà. Questo 800 anni fa. E comunque ha dato vita alla Magna Charta. Ti rendi conto? La cosa che mi dà sollievo è che dopo 800 anni, le cose sono migliorate. Almeno, il nostro presidente del consiglio non l'abbiamo mica votato noi. Pensa che privilegio: saresti potuto passare alla storia come un perfetto idiota. P.s. A proposito, come sono andate le votazioni? Testa china. Come quando ero piccolo. Il corridoio è diverso però. E' più stretto di quando c'era la mamma ad accompagnarmi. Mi diceva sempre non preoccuparti. Ed io le credevo. L'ho sempre creduta. Perchè non dovrei? Io però un po' di paura ce l'avevo. Il corriodio si riempiva di troppi suoni. Rimbombava e strideva ad ogni singolo passo. E poi era lunghissimo. Sembrava non finisse mai. Ma io continuavo ad andare dritto. Dietro c'era mia madre, ed io, a capo chino, continuavo a riempire il corridoio con le mie Bull Boys. Ve le ricordate? Quelle belle che si illuminavano. Le mie non erano proprio le bull boys, quelle costavano troppo. Però le mie erano belle lo stesso, e dopotutto si illuminavano uguale. Mica sapevo cosa fossero le marche. Mio padre non c'era mai. Era sempre a lavoro. A capo chino, dritto, come in una processione. Però poi un bambino mi disse che le mie si illuminavano meno, che quindi le mie bull boys erano diverse, meno scarpe delle sue, pezzotte. Forse quel giorno capii da che parte della società stavo. O forse no. In fondo, ero un bambino, cosa potevo saperne io della società. Però non me ne importai. Le mie si illuminavano uguale, e poi erano rosse. Le sue, sì, erano indubbiamente belle, però non erano rosse. E poi capii che avrei incontrato spesso, nei miei corridoi lunghi e larghi, persone sempre disponibili a ricordarti da che parte stai. Ridono, scherzo, puntano il dito e, se possono, saltellano sulla tua tomba. Io guardavo le mie scarpe rosse e proprio non capivo. Si illuminavano uguale. Mi giravo, e mia madre era sempre lì. Papà non c'era. Era a lavoro. Alzo la testa, vedo cartelloni e manifesti, iconografie di incubi e sveglie caricate male. Il corridoio è stretto, mi calza addosso troppo male. È vero che sono ingrassato, ma è pure colpa della testa. Riempie il corridoio di sovrastrutture e idee. Il pavimento è vuoto e leggero. Sono io ad avere le scarpe troppo pesanti. Sono un vecchio di ventisette anni. Sulla destra c'è il piccolo auditoro, il teatro. Ho sempre avuto paura di dimenticarmi le battute, di essere fuori parte. Io ne avevo una piccola piccola. Poche parole che, in tutta la durata della recita, si sarebbero ripetute quattro cinque volte. Il corridoio ora è largo, larghissimo. E anche molto lungo. Ci metto tempo ad arrivare dall'altra parte del ricordo. A ogni mio intervento, le persone in platea ridevano. Ci rimanevo male. Ero un bambino e mio padre non c'era. La mamma riprendeva tutto con una vecchia telecamera a cassetta. Papà era a lavoro. Eppure, erano proprio quelle le mie battute. Tutto giusto. Non dimenticai nemmeno una parola. Stavo facendo bene la mia parte, ma non lo capivo. Avrei voluto piangere, ma mi trattenni. Papà non c'era. Non c'era mai. Era sempre a lavoro. Ed io avevo le bull boys strane, diverse, rosse e che si illuminavano uguale. Sono in processione. Ho la testa china e penso. Voglio bene a mio padre. E voglio bene a mia madre. E mi piacciono le mie scarpe verdi. Sono un bambino di ventisette anni. Il corridoio è stretto, io sono in processione e la testa la tengo alta. Qualcuno mi saluta e io ricambio. Devo ricambiare. È strano, stretto, corto, questo corridoio. Funzioni, riti, saluti, consigli, amen. In platea, qualche persona del pubblico rideva. Ci rimanevo male. Ero un bambino. Non capivo che la mia parte stava proprio nel farli ridere. Mamma era in mezzo al pubblico. Papà non c'era a dirmi "Bravo, li hai fatti ridere". Puzza di sigaro, segatura e sorrisi, qui intorno, ma io sono in processione e sono un bambino di ventisette anni. Devoto, arrivo alla fine del corriodoio, una navata lunga tutta una processione. Ho fatto presto. Dovevo togliermi urgentemente da dosso l'intonaco e i ricordi delle pareti. Torno a casa. Papà è lì. La mamma è con lui. È domenica. Sono un vecchio di ventisette anni con dentro un bambino con le scarpe colorate. |
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