La ciclicità della vita è un fatto che - se stai lì a pensarci troppo - può fotterti proprio il cervello. Immagina di svegliarti tutti i giorni alle 6 del mattino; prendere alle 8 una metro che fa sempre ritardo; accatastarti in mezzo agli altri, che non puoi permetterti di aspettare quella successiva; schiacciato come esseri umani schiacciati dentro vagoni trainati da metro in ritardo; correre e arrivare tutto sudato, esaurito e già stanco, a lavoro, dove tutti ti sorridono per convenienza ma, se potessero, ti tradirebbero condannandoti a una vita di stenti fatta di sveglie alle 6 del mattino, metropolitane intasate e in ritardo, che ti sputano a lavoro tutto sudato e già stanco, dove tutti ti sorridono per convenienza ma, se potessero, .... Inimmaginabile, vero? Pure Kundera ha provato a darci un suo punto di vista, cercando di rivisitare il concetto dell'eterno ritorno di Nietzsche. Non è possibile – o almeno farebbe impazzire tutti quanti un'idea simile – concepire un'esistenza, in cui ogni singolo evento viene privato della sua importanza solo perché, in più punti lontani tra loro nello spazio e nel tempo, questo si ripeterà di nuovo. In un ipotetico ritorno degli stessi accadimenti, l'uomo darebbe eterna dimostrazione della sua idiozia, e cioè che non è in grado di imparare mai la lezione. Non è ammissibile, sarebbe insostenibile: nell'eternità, un evento è tale solo se succede una sola e irripetibile volta; e nello spazio smisurato dell'eternità, di quest'unica sola e irripetibile volta, non fregherà un cazzo a nessuno: all'uomo bi-millenario cosa potrà mai importare di un'altra Rivoluzione Francese o di un altro Matteo Renzi? Nulla. Nulla. Nulla. Così come non gli fregherebbe di una sola Rivoluzione o do un solo Matteo. Eppure, come la metti e come la togli, è incredibile come – nonostante tutto – delle cose decidano di ripetersi di continuo, ogni volta, sempre, in un loop scassacazzo che non decelera nemmeno per andare a fare una pisciata. Anzi, ci va pure, ma con la mano sinistra sta concentratio a pubblicare un post su facebook, tramite un personale smartphone galaxy modello ∞. Anche quest'anno, come tutti gli anni, pare si sia confermata la ciclica usanza di criticare Halloween e chi decide di truccarsi per passare una serata diversa, senza dover essere scambiato per forza per un trans di piazza Garibaldi. A dire il vero, la settimana è stata talmente piena di avvenimenti singolari che hanno distolto l'attenzione dei più: Marino che si dimette anzi no; Rossi prende a calci Gabriel Garcia Marquez; l'oms (acronimo di Original Marino Secundus) dichiara – guarda un po' tu che novità – che la carne è cangerogena; tuttavia sono pronto a scommettere che, allo scoccare della mezzanotte, si moltiplicheranno link, frasi e compagnia cantando anti Halloween, ai limiti della xenofobia. Ora, non voglio mettermi a tessere opinioni apologetiche a difesa di Halloween; fondamentalmente, masturbarsi è una pratica ancora più interessante della suddetta, tuttavia mi sollazzava l'idea di esporre le mie comunque insignificanti opinioni in risposta a soprattutto due tipologie di anti-halloweeniani: a) i religiosi: è la festa del demonio, noi amiamo gesù. Partendo dal presupposto che io ho una fede tutta mia che mal coincide con i dogmi delle religioni tutte, ma voi davvero siete convinti che Dio si offenda se vi vestite da troie col costume da zombie ( le famose zombie perete) o vi mettiate dei denti finti per somigliare a Dracula, e non abbia altri cazzi per la testa, tipo la pace del mondo e altre domande esistenziali di questo tipo, oppure trovare una scusa cristiana per far fuori gente come Salvini e, soprattutto, chiedersi di che mi sono fatto mentre li creavo? Ad ogni modo, non c'è nessun richiamo al demonio, ma solo interpretazioni ad minchiam. Lo sappiamo tutti che Halloween ha sì origini pagane, ma tanto quante ne ha il cattolicesimo. Halloween significa letteralmente "La notte prima di Ognissanti" e non ha niente a che fare col culto di Satana. Il 31 Ottobre - nella cultura celtica (Samhain) - è semplicemente l'ultimo giorno d'estate, dopo il quale subentra il periodo del freddo e delle tenebre: l'inverno. Qui nasce il culto dell'oscuro, dei morti e blàblàblà, culto che, tra le altre cose, il popolo napoletano conosce bene. ( Le rape, poi diventate zucche, trasformate in lanternine, servivano come simbolo in memoria delle anime bloccate nel Purgatorio: vi ricorda qualcosa? ). Ci si traveste per scherzo, per restare attaccati all'infanzia e soprattutto per quel senso, anche questo molto più napoletano di qualsiasi altra cultura, di scherno verso la morte. Per quanto riguarda la pratica del trick or treat, dolcetto o scherzetto, questa risale al Medioevo: di porta in porta, nel giorno di Ognissanti, la gente povera elemosinava cibo in cambio di una preghiera da dedicare ai morti nel giorno del 2 Novembre. D'altronde, negli anni, la festa ha perso molti legami 'esoterici' e/o religiosi, trasformandosi nella solita solfa a carattere consumistico: addobbi, cappellini, canzoncine, dolci. Guarda un po' tu, come il Natale! b) non è una festa nostra. È una festa 'mmericana. Disse il popolo più culturalmente asettico del mondo. (ironia) Che cazzo, vi siete visti un po' intorno? A parte il fatto che siamo nel 2015 e la mescolanza di costumi e tradizioni dovrebbe essere un fatto assodato da tempo, ma - ripeto - vi siete guardati un po' intorno? Kebbabari ovunque, Pub irlandesi come se non ci fosse un domani, Ristoranti Cinesi, Giapponesi, Indiani a manetta. E poi, come vi ho detto, Halloween non è un culto 'mmericano: di origina celtica, è passato tra le mani dei romani che l'hanno fatto proprio, facendone quel che cazzo pareva loro; poi, in seguito, è arrivato negli States con i padri pellegrini. Qui, soprattutto dall'Ottocento in avanti, ha progressivamente perso i significati originari, diventando una vera e propria festa di costume. Ritornato nel vecchio continente, con la radio, la televisione e blàblà, la Seconda Guerra Mondiale eboom boom boom, si è diffuso incredibilmente come la pizza, Il blu dipinto di blu e la mano de dios ( a proposito: auguri Marado'). Ma poi, voglio dire io, vi vestite con magliette made in Taiwan; commentate le vostre insindacabili e illuminanti considerazioni esistenziali tramite dispositivi made in Korea; allo stadio esultate ai gol di uno slovacco, per uno sport nato in Inghilterra; guidate automobili tedesche; sulla pizza ci mettete würstel e patatine; a Piazza Bellini vi scendete che è una bellezza litri e litri di birra tedesca, irlandese, inglese, danese, bevanda, ad ogni modo, nata in Mesopotamia; per dolce il babbà; e quando tornate a casa, un bel bidè. Quindi, pensateci bene prima di dire che Halloween non è parte della tradizione. Cancellandola dal vostro calendario delle feste, poi, pensate a tutte quelle volte in cui potreste non sentire più vostra nonna chiamarla "la festa di Aulin", o altri suoi derivati. Pensateci bene. Buon Halloween.
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Marty Mc Fly è (ri)tornato. Con ombrello, k-way e comunque mezzo bagnato, sta sbirciando tra i paradossali squarci spazio temporali del nostro 21 Ottobre 2015. Ha parcheggiato la DeLorean nel primo spazio disponibile, senza badare a strisce e divieti, che se gli fanno la multa, può sempre digitare un'altra data sul display della sua macchina del tempo e scapparsene via, verso altre strade. Aveva tirato fuori il suo hoverboard dallo zainetto e si era messo alla ricerca di qualcosa, di qualcuno che gli confermasse in che giorno, mese e anno era arrivato. Con calma, però, perché lui sa bene cos'è il tempo, che è inutile affannarsi. Il tempo corre, supera gli spazi, trema, ma non può far paura più di tanto. Non a lui, almeno. Almeno fino a quando, il tempo, non gli si è parato davanti a lui sottoforma di muro d'acqua. Tra lui e il resto dell'esistenza ci sono trent'anni. Trent'anni di stragi, trent'anni di attentati. Trent'anni di guai. Aveva deciso di andarsene quando ha saputo della morte di un giovane giornalista napoletano. No, non è vero. Nemmeno sapeva chi cazzo fosse Giancarlo Siani. Tra i due, di mezzo, c'è l'oceano e milioni di specie marine. Soprattutto Delfini, animali intelligenti, pronti ad abbandonare il pianeta, a mangiarsi tutto il pesce e a lasciarci da soli, nella cacca di balena, in qualsiasi momento. Si era messo in macchina col vecchio Doc e la sua Jennifer per correre a correggere certi eventi che avevano preso una brutta piega e che avrebbero messo nei guai il loro futuro figlio. Ora non sa dove siano finiti, Doc e Jennifer intendo, ma ora - come vi dicevo - si ritrova da solo al centro di una piazza, circondata da cantieri aperti per metà, con in mano un ombrello, con indosso un k-way e comunque zuppo da capo a piedi. Decide di chiudersi in un bar, che ha paura che un lampo possa colpire l'orologio del Municipio. Chiede del bagno, si asciuga alla meglio, torna indietro e ordina una Pepsy Free. Il tizio alla cassa non capisce cosa voglia, crede non voglia pagare però, quando Mc Fly gli mostra i soldi, gli viene institivamente da piangere per la commozione. Sul bancone ci lascia 1200 lire. Marty trova un giornale su di un tavolino, lo prende, guarda la data e sì, oggi è proprio 21 Ottobre 2015. Doc, al secolo Emmet Brown, non aveva avuto il tempo di spiegargli bene in che guai si sarebbe cacciato il figlio tuttavia, leggendo gli articoli, le dichiarazioni di certi politici, un'intera pagina dedicata al Trofeo Berlusconi, la gravità di certi eventi, un po' stava schiarendosi le idee. "Dove andiamo noi, non ci servono strade". Evidentemente qui ti hanno preso alla lettera, Doc. Intorno al bar, è tutto allagato, la vastità del niente scorre distesa su lastroni troppo vecchi, per non lasciarsi andare alla pioggia molto più insistente nel resistere, nel continuare. Si era immaginato un futuro diverso, Mc Fly, un orgasmo di automobili volanti fluttuanti, macchine del tempo che avrebbero mandato in soffitto la sua DoLorean, un'umanità ai massimi livelli etici e civili e invece, in primo piano, su di un televisore al plasma del bar, un 16/9 di labbra siliconate della Santanchè. " Se fossi di un'altra epoca, che numero a caso direbbe?" "... 42". Risposte universali, risposte senza tempo, risposte che non hanno spazio. Si gira, qualcuno lo riconosce, lo saluta. "Hello, Mr Calvin Klein". E' un americano alto, giovane, dalla muscolatura forte. Lo invita a battersi a braccio di ferro. Mc Fly ricambia il saluto ma rifiuta l'invito. L'americano sorride. "Mr Klein, You are a chicken". Mc Calvin Fly torna indietro, gli sorride, ringrazia, ma non accetta la sfida. Non si attraversano infiniti buchi spazio temporali senza imparare manco un cazzo dalla storia. Si mette di nuovo a guardare fuori. Pensa, vede i cantieri, guarda la televisione, inizia ad adattarsi, gli spiegano cos'è un tweet, dopo avergli raccontato del trillo. Senza dimenticare di passare per le Spice Girls, Justin Bieber, Baby one more time, Saddam Hussein, Bin Laden, Cutolo, l'Euro, il plutonio, il pinzimonio, gli smartphone, Salvini, Leonardo Di Caprio che non è cazzo di vincere un cazzo di Oscar, i reality, il Parkinson. Annuisce. It's ok. Ma che ci faccio qui? Dove sei Doc? Dove sei? Riportarmi qui la mia Jennifer, voglio tornarmene a casa, voglio tornare e nel mio futuro. Mio figlio? Che vuole mio figlio da me? Qui è complicato, non è la mia epoca, non posso farci niente, non riescono loro a sopportare i loro tempi, narcotizzandoli con chili e chili di botulino, come potrei io salvare mio figlio. Deve cavarsela da solo. Si arrangi. Che ognuno resti nel proprio futuro. A suo modo. Io non posso farci niente. E poi, io, nel 1985, ad avere un figlio, nemmeno ci penso. Grande Giove! Se Doc fosse qui, lui sì che avrebbe la soluzione. Non pensi in maniera quadridimensionale, direbbe. Già. Resta in silenzio, ascolta i tuoni, i commenti dei clienti che entrano nel bar, bestemmiando. Mc Fly vorrebbe giocare ai videogiochi, ma ci sono solo strane macchinette per il poker. Si porta il walkman alle orecchie, vuole ascoltare della buona musica che suona alla vecchia maniera. "Go, Go, Johnny Go Go". Ai miei figli, (non so se) piacerà. Allora, andiamo cuonci cuonci1.
Entrate in macchina, mettetevi comodi, aggiustatevi lo specchietto retrovisore, mettete a posto pure quelli laterali che i motorini qui sbucano a destra e sinistra manco fossero caccia bombardieri in tempi di pace – capite a me -, controllate che ci sia benzina che c'è un po' da camminare; e poi, fatecimi pensare, cosa manca? Ah, sì, la cintura di sicurezza, poi accendete il motore, abbassate la frizione, mettete la prima e partite. Prendete l'asse mediano, che facciamo prima. In certi orari, il traffico è insopportabile come un prurito alle palle durante un esame all'università. Uscita: Cugliano. Ovviamente. Ad accompagnarci, a mò di tom tom, Marco Aragno. Chi cerchiamo? Marco Cicala. Bisognerà però avere pazienza, perché Marco non è un tipo che si fa vedere spesso in giro, e comunque mai lo troveresi nei ritrovi più chic della Cugliano bene. Anzi, se può, se ne resta barricato in casa tra videogiochi, classici russi e videoporno. E tra l'uno e l'altro, è probabile che stia a scassarselo in mano. Quindi, vi conviene sempre bussare alla sua cameretta, prima di entrare, se non volete trovarvi di fronte a scene imbarazzanti. Perchè lui è così: lontano dai riflettori, lontano dai red carpet della movida cuglianese, lontano dalla gente giusta, a cui conta soltanto che locale frequenti, cosa indossi, con chi te la fai, chi ti fai. Una cosa che ti segna nella crescita perché, credetemi, in posti come Cugliano, essere fuori dal giro migliore, significa un po' vivere in solitudine. Più di qualsiasi altro posto. (Me lo ricordo manco fosse ieri. I compagni di classe, quando non c'era la professoressa o durante l'ora di Storia dell'Arte - che era un po' la stessa cosa -, si mettavano in cerchio a raccontare dove come e quanto avevano speso per una camicia su cui era cucito un personaggio della Disney. Polo orrende che acquistavano valore solo perché al petto, mostrati con orgoglio come scudetti vinti sul campo, vi erano cuciti dei loghi a forma di bassotti e coccodrilli. Poi venne il tempo delle magliete rosa attillate con un quarto di pettorale messo in mostra da uno scollo a Vu. Poi venne il tempo delle hogan. Poi venne il tempo delle nike silver col baffo d'oro. Poi venne il tempo dei cappottini Fay). L'adolescenza è un periodo di merda, diciamocelo. Un macigno sulla schiena. Un periodo lunghissimo, interminabile, dove non basta la scuola a far di te un rammollito, un inetto, un incapace, un 'è intelligente ma si impegna poco', categoria dalla quale è fenomenologicamente impossibile uscirne, una volta cadutoci dentro. Potrai impegnarti quanto vuoi e mostrati alla classe irrimediabilmente incapace a risolvere una qualsiasi equazione di secondo grado - perché avresti bisogno di ripetizioni, di un aiuto specifico o perché sei semplicemente ciuccio -, per la professoressa sarai sempre un 'è intelligente ma si impegna poco'. A tutto questo, a peggiorare le cose, ci si metteva la società con la sua moda, i suoi parametri, i suoi difetti, gadjet annessi, ovviamente. (Si badi, sto parlando al passato ma, fondamentalmente, da adulto le cose non è che siano cambiate poi molto. Sei solo più consapevole delle cose. A volte ti adegui, a volte mandi tutti a fare inculo, a volte ti rassegni). E se l'adolescenza è un periodo di merda per chiunque, figuriamoci se sei un tipo bruttino ed estramemente introverso, come il nostro Cicala, per esempio. In realtà, lui, il nostro Marco, avrebbe anche le energie per combattere la società in cui è stato obbligato ad esistere - ideali, obiettivi, intelligenza, lo studio - tuttavia gravitano attorno a lui forze ben più opprimenti: ad esempio, la famiglia che lo vorrebbe tale e quale a suo cugino Marco Cicala, lo scomodissimo e omonimo alter ego. Più bello, più ricco e, per questo pure più capace con le femmine, Marco - il nostro Marco -, per zittire tutti ( famiglia, compagni di sangue e cacazzi) ed uscire finalmente dal suo stato di bradipismo sociale, decide di seguirlo come un vate, il suo Gatsby cuglianese, una specie di buddha con le hogan al piede. Butta via gli occhiali, mette in un cassetto i suoi Kafka e si nasconde sotto un cumulo di vestiti nuovi, nel più camaleontico dei camouflage. Basta? Può bastare per farsi accettare dagli altri? Per la risposta, vi rimando alla lettura del romanzo. Quello che voglio dirvi è che Aragno riesce a delineare bene le caratteristiche, i personaggi e le maschere del mondo in cui il nostro protagonista si ritroverà a racimolare capate e figure di merda colossali: è il pianeta della dissoluzione, del vuoto cosmico, del niente assoluto, delle superficialità, dell'apparire per essere, del divertimento omologato. Avete presente "La Grande Bellezza" di Sorrentino? Bene. Il mondo raccontato da Marco Aragno, se possibile, è ancora più grottesco, più dissoluto, più vuoto, più niente, più superficiale, più apparenza versus essenza, più omologante. Ed è tutto così vero, ed è tutto così reale. La fotografia è fatta, l'immagina è di quelle a 360°, sullo sfondo c'è la nostra Cugliano. Ci siete? Ci siete arrivati? Bene. Mi raccomando a dove parcheggiate che i vigili di Cugliano non fanno sconti. Ora, se vivete a Nord di Napoli, è facile associare Cugliano con Giugliano, basta poco, vuoi per la somiglianza fonetica, vuoi per il consiglio in prefazione di Antonio Menna, vuoi per l'evidente coincidenza di situazioni che vi fanno esclamare: "Uà, tale e quale"! Il fatto è che, Aragno, camuffando la città (così come si camuffa il nostro Cicala), con una scelta - a mio avviso -, felice, dà alla fantasia collettiva un nuovo spazio nella toponomastica letteraria, una nuova Disneyland, in cui tutto è però parossisticamente al rovescio: che voi siate di Giugliano, Villaricca, Marano, Caivano, Melito, Mugnano, Frattaminore, Frattamaggiore, Frattametàmetà, Frattaunpo', Frattachefacciolascio, Pomigliano, San Giorgio a Cremano, non importa, vi basterà dire "sono di Cugliano" e avrete in un fiato dato l'esempio di una cittadina tutto cemento, dormitori e locali complici del fatuo divertificio. A riempire questa Sprinfield made in Naples, Aragno disegna tutto un zoo di orsi e camaleonti. Più camaleonti che orsi, ad essere chiari. O meglio, per essere ancora più chiari, la popolazione è zoocraticamente composta da orsi che fanno gli orsi perché sono orsi e orsi travestiti da camelonti che fingono di essere orsi, in un loop di paradossi comportamentali no stop. Orsi che fanno i camaleonti per essere Orsi che fanno i camaleonti per essere Orsi che fanno i camaleonti... i camaleonti... i camaleonti... Camaleorsi... Camaleonti alla moda, camaleonti alternativi, finti alternativi, camaleonti intellettuali, camaleonti volgari di proposito perché fa trand, figo, intellettuale, moderno, sticazzi. Camelorsi, camelorsi ovunque. "Absolute" di Marco Aragno è un bel testo, fatto di idee nuove e altre ben riscritte. Se devo trovarci un neo, ho trovato, a mio gusto, il tempo e i modi dei dialoghi e di alcuni slang non sempre precisi e verosimili. Ma sapete benissimo che i dialoghi sono la cosa più complicata da scrivere e, ad ogni modo, non nuocciono alla qualità del libro. Qualcuno direbbe che "Absolute" ha un suo quid, ma farebbe troppo intellettualoide e, con le mie elucubranti anilisi al testo, mi sento già troppo fuori dai miei soliti schemi; io vi dico che "Absolute" è un romanzo a misura d'Orso. Ecco. Bene. Ho detto la mia. Ora torno a miei camaleorsici schemi. Andate a fanculo, anzi no. Andate a cacare. E portatevi il libro di Marco Aragno. 1Piano. Il rumore della pioggia lo innervosiva. Più del solito. E non perché gli ricordasse che non poteva uscire, assolutamente no. Anzi, sarebbe stato meglio, ché se può, il sabato, preferisce starsene in casa, col pigiama fino a tardi. E in più, se piove, come quel giorno, ha una scusa in più per non uscire. Lo innervosiva perchè così era fatto lui: banale. Meteopatico nella maniera più scontata possibile. Piove e sta scazzato. C'è il sole? Bene, la situazione va nu pucurillo meglio. Spesso ci pensava: “fossi donna e stessi in quei mesi lì, lo capirei di più. Avrei almeno qualche motivo per giustificare 'sto carattere che mi ritrovo”. Non dar retta fratellì, meglio confessare di avere una psiche fatta con la merda. Le donne hanno pure i loro bei guai. Emotivo, Sì. Suscettibile, Già. Ipocondriaco, Anche. Permaloso, Può darsi. Dipendeva dai casi. Quel giorno, guardava fuori e pioveva pioveva pioveva e gli veniva in mente quella canzone di Gigi D'Alessio che aveva imparato alle scuole medie. “Chiove, stu cielo fa paura”. Gli succede sempre. Diciamo spesso. No no no. Sempre. Dalla regia mi comunicano che gli capitava sempre. Ogni volta che piove, come quel giorno, gli entra in testa, come un loop continuo infinito eterno, e si espande nel suo cervello come una bestemmia detta un po' ad alta voce, in una chiesa vuota, in mezzo alla navata che, se pure hai cercato di smorzarla tra i denti, si sente che è una bellezza. Ecco come gli funziona il cervello. In mezzo al traffico, in un punto lontano del cielo, vede partire un lampo, poi sente il tuono, inizia una pesante scaricata d'acqua, ed ecco che le labbra vanno da sole, come un tic, forse un ictus, la gola si imposta da sola e... “Chiove che t'agg fatt 'e maaaal”. Come quel giorno, che stava leggendo un libro, nel massimo della più grande scazzatura emotiva della settimana e non riusciva a buttare giù un rigo senza che, nella testa, tutto si muovesse al ritmo di quella canzone di merda. “ E 'o stesso temporale sta facenne dind 'o core”! Lunedì avrebbe iniziato il corso di formazione al call center. Chissà quanto sarebbe durato. Il tempo di capire quanti contratti avrebbe chiuso. Scelta dell'azienda. Funziona così, si sa. - Pronto, salve, sono Claudio, e anche se non ve ne frega un cazzo, se non vi fate 'sta sfaccimma di promozione mi metto a cantarvi tutta la discografia di Gigi D'Alessio! Oddio, visto come vanno le cose, la vita, i gusti, la società e il cattivo esempio, potrebbe ritrovarsi a telefono qualche responsabile marketing dell'Uliveto, il quale, avvezzo alla vita, ai gusti, alla società e al cattivo esempio, potrebbe proporgli di fare da testimonial alla campagna per la raccolta fondi volta a voler apparare i guai che hanno combinato loro - e altre aziende a loro concorrenti - con tutte le bottiglie di plastica differenziate nella terra dei fuochi. Claudio accese la tivù per non pensarci. Davano l'ennesimo programma di cucina. Un pezzo di carne, ancora sporco di sangue, arrotolato. In mezzo, del formaggio, un po' di basilico, della salvia e altri aromi così. “Un manicaretto”, lo ha definito il cuoco. Un manicaretto. Carne, sangue, vita, morte, grida. Il palato. Un manicaretto. Cambiò canale. Fuori ancora pioveva. Dentro, dentro la tivù dico, c'erano delle ex glorie dello spettacolo in mezzo a nuove leve dello spettacolo intente ad imitare altre glorie più gloriose dello spettacolo, imitando, replicando, un format imitato replicato in ogni stato ben fornito di antenne, ripetitori e cervelli da riempire. Il programma sarebbe stato carino se non fosse che avrebbe voluto sentirsi donna per giustificare il fatto che, quel giorno, aveva le palle che gli giravano. Aspe', no. C'è qualcosa che non va in questa frase. “Chiove, stu cielo fa rummmore...” Riprese il libro. Dickens. Letteralmente “Cazzanti” o, con buona dose di spicciola e becera fantasia “Produttori di cazzo”. Il libro si intitola “Grandi Speranze”. Giancarlo Magalli ha postato una foto. In una mano “Grandi Speranze”, nell'altra Giancarlo Magalli. Scorreva, scorreva, scorreva. Scorreva la home. Frasi, post, fotografie, la home intasata di cazzate, di suoi post, Zuckerberg che vuole cambiare facebook, come prova, in Spagna e in Irlanda, poi, se va bene, lo espanderà in tutta Europa, in tutto il mondo, dovunque ci siano dei cervelli da riempire, ancora Magalli, poi Morandi con Baglioni, foto di Annarè, comm'aggio fatt 'a sta luntano a te, Imitazioni, imitatori, imitanti, imitati, Chiove stu cielo fa paura, il Call Center, il Call Center, il Call Center, un video dei The Jackal, Magalli e il suo gatto, post sulle dichiarazioni di Marino, Marino che fa dichiarazioni post, foto di cantanti aspiranti in locali aspiranti cantanti, la rabbia, aaaaaa, “Che t'aggio fatte 'e male, me sento nu creaturo”, un abbraccio, una canzone, Troisi, Troisi, Troisi salva sempre, Napoli, foto di rotonde allagate, foto di tombini saltati, foto di strade imitanti strade allagate lo scorso inverno. Riprese il libro. Lesse due righi. Li lesse di nuovo. E ancora. E ancora. E ancora. E ancora. Magalli. Troisi. Foto di cantanti aspiranti in locali aspiranti cantanti. Magalli. Una manifestazione pacifica di pace. Morti. Feriti. Troisi. Troisi. Troisi. Datemi Troisi. L'inverno. L'autunno. Il call center. Il call Center. Il Call Center. Il ciclo. Così è il ciclo delle cose. Le mie cose. Poi posò il libro sul divano, tanto non gli veniva di leggere ugualmente. Guardò la finestra e si mise a contare le gocce che, lente, scendevano sul vetro. Aveva smesso di piovere. Sorrise. Aveva capito il senso della frase, qualsiasi cosa avesse voluto dire. |
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March 2019
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