Testa china. Come quando ero piccolo. Il corridoio è diverso però. E' più stretto di quando c'era la mamma ad accompagnarmi. Mi diceva sempre non preoccuparti. Ed io le credevo. L'ho sempre creduta. Perchè non dovrei? Io però un po' di paura ce l'avevo. Il corriodio si riempiva di troppi suoni. Rimbombava e strideva ad ogni singolo passo. E poi era lunghissimo. Sembrava non finisse mai. Ma io continuavo ad andare dritto. Dietro c'era mia madre, ed io, a capo chino, continuavo a riempire il corridoio con le mie Bull Boys. Ve le ricordate? Quelle belle che si illuminavano. Le mie non erano proprio le bull boys, quelle costavano troppo. Però le mie erano belle lo stesso, e dopotutto si illuminavano uguale. Mica sapevo cosa fossero le marche. Mio padre non c'era mai. Era sempre a lavoro. A capo chino, dritto, come in una processione. Però poi un bambino mi disse che le mie si illuminavano meno, che quindi le mie bull boys erano diverse, meno scarpe delle sue, pezzotte. Forse quel giorno capii da che parte della società stavo. O forse no. In fondo, ero un bambino, cosa potevo saperne io della società. Però non me ne importai. Le mie si illuminavano uguale, e poi erano rosse. Le sue, sì, erano indubbiamente belle, però non erano rosse. E poi capii che avrei incontrato spesso, nei miei corridoi lunghi e larghi, persone sempre disponibili a ricordarti da che parte stai. Ridono, scherzo, puntano il dito e, se possono, saltellano sulla tua tomba. Io guardavo le mie scarpe rosse e proprio non capivo. Si illuminavano uguale. Mi giravo, e mia madre era sempre lì. Papà non c'era. Era a lavoro. Alzo la testa, vedo cartelloni e manifesti, iconografie di incubi e sveglie caricate male. Il corridoio è stretto, mi calza addosso troppo male. È vero che sono ingrassato, ma è pure colpa della testa. Riempie il corridoio di sovrastrutture e idee. Il pavimento è vuoto e leggero. Sono io ad avere le scarpe troppo pesanti. Sono un vecchio di ventisette anni. Sulla destra c'è il piccolo auditoro, il teatro. Ho sempre avuto paura di dimenticarmi le battute, di essere fuori parte. Io ne avevo una piccola piccola. Poche parole che, in tutta la durata della recita, si sarebbero ripetute quattro cinque volte. Il corridoio ora è largo, larghissimo. E anche molto lungo. Ci metto tempo ad arrivare dall'altra parte del ricordo. A ogni mio intervento, le persone in platea ridevano. Ci rimanevo male. Ero un bambino e mio padre non c'era. La mamma riprendeva tutto con una vecchia telecamera a cassetta. Papà era a lavoro. Eppure, erano proprio quelle le mie battute. Tutto giusto. Non dimenticai nemmeno una parola. Stavo facendo bene la mia parte, ma non lo capivo. Avrei voluto piangere, ma mi trattenni. Papà non c'era. Non c'era mai. Era sempre a lavoro. Ed io avevo le bull boys strane, diverse, rosse e che si illuminavano uguale. Sono in processione. Ho la testa china e penso. Voglio bene a mio padre. E voglio bene a mia madre. E mi piacciono le mie scarpe verdi. Sono un bambino di ventisette anni. Il corridoio è stretto, io sono in processione e la testa la tengo alta. Qualcuno mi saluta e io ricambio. Devo ricambiare. È strano, stretto, corto, questo corridoio. Funzioni, riti, saluti, consigli, amen. In platea, qualche persona del pubblico rideva. Ci rimanevo male. Ero un bambino. Non capivo che la mia parte stava proprio nel farli ridere. Mamma era in mezzo al pubblico. Papà non c'era a dirmi "Bravo, li hai fatti ridere". Puzza di sigaro, segatura e sorrisi, qui intorno, ma io sono in processione e sono un bambino di ventisette anni. Devoto, arrivo alla fine del corriodoio, una navata lunga tutta una processione. Ho fatto presto. Dovevo togliermi urgentemente da dosso l'intonaco e i ricordi delle pareti. Torno a casa. Papà è lì. La mamma è con lui. È domenica. Sono un vecchio di ventisette anni con dentro un bambino con le scarpe colorate.
0 Comments
Leave a Reply. |
RaccomandazioniQui leggerai racconti, idee, sfoghi, calembour, pasticci, riflessioni, soliloqui, turpiloqui e recensioni. Clicca per la Pagina
Archivio
March 2019
|