Erano le 02 e 05 ed aveva appena posato il libro sul comodino. Era stanco. Aveva passato tutta la giornata giù per strada. Non tirava mai mai le somme, non gli importava come fosse andata, quante merde avesse pestato o quanti no avesse dovuto sopportare e subire. L'importante era ritrovarsi a casa, col suo bicchiere di vino, la sua poltrona comoda e poi dritto nel letto, al caldo in inverno e al fresco in estate. Per il resto, che gliela rovinassero pure la giornata, non importava. Una volta a casa, dimenticava tutto: le fatiche, le bestemmie, il caffè bruciato del mattino, l'ultimo morso di una fetta biscottata caduto per terra, il sorriso di una bambina a cui aveva dato degli spicci al semaforo. Abbracciava la compagna, le dava un bacio sulla guancia e poi basta. Niente, chiusa la porta alle sue spalle, il mondo spariva. Il padre gli aveva insegnato, coi suoi silenzi e qualche mugugno, a non portarselo il lavoro a casa. Lui, provando a sorridere, cercava di lasciarla fuori proprio tutta, la sua vita. Gli venivano in mente solo in rare circostanze, le fatiche della giornata, e cioè quando le gambe, i muscoli, ancora si muovevano in piccoli scatti di nevrosi stanche. Si era seduto a tavola contento. La moglie lo teneva sì a dieta, e non perché fosse in sovrappeso, per carità, ma per una semplice questione di salute, eppure vi si metteva con piacere. Nonostante il tempo, l'età, le abitudini e la stanchezza, ancora gli piaceva passare del tempo insieme a lei che, nonostante tutto, le rughe, la routine, gli incubi e le fissazioni, si prendeva cura di lui. Gli piaceva pure ascoltare le sue stronzate. La lavatrice s'è rotta, bisogna aggiustarla, sperando si possa aggiustare. Il lavandino mi ha dato noie, però ho già provveduto io ad aggiustarlo, ora non scorre più. Ho trovato come risparmiare trenta euro al mese. S'è aperto un nuovo supermercato, fa ottimi sconti. Il bambino ha fatto il bravo a scuola, non ha pianto quando l'ho accompagnato, ora è già a letto, a dormire. Non lo vedeva mai. Da quando aveva iniziato il nuovo lavoro, non riusciva mai a trovarlo sveglio. Usciva che ancora dormiva e tornava che già era a letto. Sapeva che si sarebbe perso tutta la sua infanzia, ma andava bene così. Doveva andare bene così. Cosa avrebbe dovuto fare altrimenti? Niente, e d'altronde sapeva che quello era il suo obbligo di maschio, padre e marito. I resoconti che gli riportava la moglie andavano più che bene. In fondo, non ha sempre vissuto nei racconti degli altri? Ha passato una vita intera a lasciarsi prendere per il culo ascoltando maestre, professori, burocrati, politici, cantanti, e ora poteva mai lamentarsi della moglie? Poteva mai lamentarsi di vivere una vita sì stretta, sicuramente non sua e datagli per errore da chissàchi, e comunque sia filtrata da occhi sì stanchi ma tra i più dolci che avesse mai visto al mondo e appartenenti, per fortuna, alla donna che ha deciso di amare per tutta al vita? No, non poteva. Quanti libri si iniziano e non si portano a termine perché lo scrittore è noioso, la storia non ci sta piacendo, non la stiamo capendo, il flusso di coscienza o come cazzo si chiama è una puttanata e basta, non ci interessa un cazzo di niente sapere che “tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo”, o che tutto sembra finire sempre alla maniera di un Hemingway, e cioè uno schifo a metà? Tante, forse troppe. Di quante storie non conosciamo il finale, perché ci stanchiamo di andare oltre quelle prime ottanta noiose lunghe pagine lente? Te lo chiedi mai dove vanno a finire i libri che smetti di leggere? Che poi, il più delle volte, certe storie, si aprono, diventano uniche e ti attaccano al libro soltanto verso le ultime cinquanta sessanta pagine. Se solo resistessi quel tanto che basta. E invece, a causa di quelle prime pagine di merda, non lo saprai mai. Per questo resisteva, lui. Voleva arrivare fino in fondo, vedere crescere il figlio, diventare nonno, invecchiare con la moglie e sedere con lei al parco e provare a non dimenticare il suo nome. Voleva sapere com'è che va a finire. Stava pensando proprio a questo, quando poi si ricordò che l'aveva lasciata tutta fuori di casa, la sua vita, e quindi s'era lavato, aveva cenato, s'era pulito i denti, aveva indossato il pigiama ed s'era detto che era arrivata l'ora di mettersi a letto. L'aveva aspettata per fare l'amore. Era stanco, è vero, ma non poteva mica già invecchiare così. Doveva fare la sua parte di maschio e marito. E poi, del resto, il cazzo ancora gli andava su una bellezza. Per eccitarsi, gli bastava sentire il suo odore, quel buon odore di bagnoschiuma e sapone intimo. Stanca, lei, piano piano, dopo un bacio e qualche bugia d'eternità, si era addormentata, mentre a lui, contro ogni pronostico, gli era toccato accendersi la luce del comodino e mettersi a leggere un po'. Era stanco, ma non aveva sonno. A volte, si dà per scontato che le due cose coincidano per forza. Non è così, almeno non di notte. Erano ancora le 11 e 35 e gli mancavano poche pagine per finirlo, il libro. In alcuni punti si era perso mille volte e ci era ritornato sopra altrettante volte. Voleva capirlo. Un capoverso alla volta e lo finisco, si disse. E quella sera gli toccò l'ultimo capoverso. Gli venne da sorridere. Era stanco e stavola sul serio, menomale. Erano le 2 e 05. Era la notte del 3 Maggio 2007. Posò il libro sul comodino. Dentro c'era il segnalibro, un biglietto della metropolitana timbrato alle 12 e 22 del 16 Febbraio del 2006, il giorno in cui aveva iniziato a leggerlo, il libro. Alla fine, dopotutto, gli era piaciuto. Erano le 2 e 06 e già russava.
2 Comments
Cleo
1/11/2016 23:44:12
Perchè vuoi strafare? Non forzare il linguaggio, puoi andare oltre.
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2/11/2016 08:43:03
Ciao Cleo, ho dovuto rileggerlo che non mi ricordavo come avevo scritto. Non capisco, che significa strafare?
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