Oh, per carità nulla a che fare con i neoborbonici eh. Lo specifico perché qua, quando si parla di identità meridionale, ancor più se si vuole essere un attimino più legati alle radici partenopee, subito spuntano dita indicanti che ti accusano di revisionismo campanilista evviva il re è morto o rré, un doje 'e tre. Cioè, in quello che voglio dire c'è una piccola accusa, è vero, però il discorso non c'entra nulla con il Re Borbone, né con i suoi investimenti nella torrefazione. Proprio ieri sera ho finito di leggere tutti i 50 racconti de "Lo cunto de li cunti", ma non è mio intento di ammorbarvi con analisi letterarie su quello che è stato il lavoro di Giambattista Basile, né voglio raccontarvi di come ha finemente raccolto i racconti nella magnifica cornice che pone al centro della storia Zoza e Tadeo, e neanche voglio ricordarvi che è stato preso ad esempio, per non dire scopiazzato, da molti dei più grandi favolisti della storia delle letteratura mondiale. No. Per quanto riguarda tutto questo,vi invito a leggerlo. L'edizione migliore è quella della Garzanti, secondo me, con introduzione alla lettura di Michele Rak. Ciò di cui vorrei parlarvi è la forte connotazione identitaria di tutta l'opera e il fatto che, nelle scuole di tutta Italia, a parte l'intervento di illuminati e lungimiranti docenti, che almeno fanno leggere La Gatta Cenerentola, non viene praticamente quasi mai nominato. Chiedendo a qualche amico docente, anzi, il programma contemplerebbe anche un passaggio sciuè sciuè, ma, appunto, è uno studio troppo marginale, secondo me. Soprattutto se consideriamo l'importanza - in termini di studio, pagine, attenzione - con cui vengono affrontati altri autori Italiani. Non voglio fare nomi, ché chi fa la spia o non è figlio di Maria o è Roberto Mancini. Certo, non voglio paragonare il suo lavoro a quello del sommo Dante, per carità, ma in molti manuali, quando si arriva al '600 italiano, Basile quasi figura come autore minore, ed io, leggendo leggendo, mi chiedevo perché? Non voglio credere che il problema sia stato o sia, per l'appunto, il dialetto, o meglio, la lingua napoletana; è vero, a tratti rasenta l'afasia, illeggibile anche per un napoletano attento ai mutamenti diacronici della lingua, tuttavia esistono egregie edizioni con traduzione a fronte. Io stesso ho letto la versione italiana, buttando - di tanto in tanto - un occhio alla parte sinistra, per cogliere meglio sfumature, colori e giochi di parole. No, non deve essere questo il motivo per cui Basile è stato e viene ancora snobbato dai programmi scolastici italiani, anche perché non è che l'italiano trecentesco del Decameron sia più leggibile. Deve esserci altro ed io, una mia piccola opinione me la sono anche fatta. Ho cercato in giro, tra web, testi e manuali, e nessuno mai si è lanciato in questa ipotesi, dunque, potrei essere il primo a professare questa cazzata, ma tant'è. Basile, nel suo Cunto, ha lasciato un'impronta chiara di ciò che è stata Napoli, la sua cultura, le sue tradizioni, i suoi luoghi. Il dialetto usato è a tratti simile a quello che ancora oggi si può sentire in quei luoghi dove la tradizione si è cristallizzata e ben conservata nei secoli, fino ad oggi. Cioè, puoi tranquillamente trovare parole, intere frasi, modi di dire, ricette del 1600 ancora presenti nel dizionario di un qualsiasi napoletano del 2016, o quasi. Hai presente tutte quelle parole che ogni tanto senti uscire dalla bocca di tua nonna? Bene, potremmo dire, con qualche licenza, che tua nonna non fa altro che citare, inconsapevolmente, Giambattista Basile. Basile inventa, è vero, le sue sono fiabe, i luoghi sono sì magici, ma spesso le radici, i luoghi delle sue fiabe esistono per davvero. Non solo Napoli e i suoi quartieri fanno da sfondo alle storie del Pentamerone, ma anche Panicocoli, Calvizzano, Aversa, Melito, Giugliano in Campania, Arzano, per dirne alcuni. Ora, immaginiamo che un Re di un paese rivale, facciamo finta il Piemonte, decida di impossessarsi delle terre confinanti che navigano in condizioni economiche migliori - per fantasia le chiameremo Regno delle Due Sicilie - e che, diciamo per convenzione, intorno agli anni Sessanta del 1800, riesca nel suo intento; cosa penserà di fare per tenere a bada il popolo contrariato, oltre a distruggerlo, violentarlo, e farlo passare per un ammasso di cattivi terroni, briganti, ignoranti? Come ogni potere dominante che invade, la prima cosa che cerca di intaccare è l'identità del popolo invaso, le sue tradizioni, la sua cultura secolare. Questo mi pare chiaro: lo sanno i Curdi, lo sanno i Birmani, lo sanno gli Indiani d'America. Per esempio. Ora, un libro come quello del Basile - che abbiamo detto essere una pietra miliare della cultura napoletana - come può essere stato visto da chi deteneva il compito di scolarizzare la nova Italia? Bene, avete capito qual è la mia stupida, ignorante e banale opinione e, se siete d'accordo con me, ri-leggiamo Basile che non può farci che bene.
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