Perse entrambi i genitori. Aveva soltanto pochi giorni di vita. Praticamente non ebbero nemmeno il tempo di dargli un un nome; scherniti, strappati e ammazzati, la loro unica e banale colpa fu di essere ebrei. Lui fu salvato da zia Concetta che, innocente e ariana di fronte alle leggi raziali, per quegli occhi azzurri, l’apice bionda e il coraggio di tradire col consenso assenso del suo Dio, fu per lui madre, padre e amica. Così gli diede un nome: Liberato. Non originalissimo, ma perfetto. Troppa retorica? Può darsi. Sospeso a mezz’aria tra ricordi, smorfie e parole, come il tuffatore tra cielo e mare prima di far schizzare via acqua, ansie, tutto, mi racconta spesso che con lei aveva imparato a leggere e a scrivere; Liberato la amò tanto al punto che, dopo la sua morte, l’avrebbe rincontrata più volte, in ogni verso di ogni pagina di ogni autore. Così mi aveva raccontato… Da quel momento in poi - dalla morte della zia intendo - sembra che la sua esistenza si sia fermata lì, in quei ritagli di storie e d’inchiostro. Neanche lui saprebbe raccontare la propria vita; e nemmeno le sue rughe ci riuscirebbero, che sono come espressioni enigmatiche, imbrogliate e nascoste nella pelle. E quante ne ha. Di rughe, intendo. E quando sorride si aprono, come dire?, a ventaglio. Di lui si sa poco. Per tutti è il vecchio del quartiere, lo strano inquilino del sagrato della Chiesa dell’Immicolata, lì, a piazza Capodichino, quello che ad ogni funerale, si mette a leggere. Già, a leggere… Non c’è scampo, cazzo: lo trovi quasi sempre lì, seduto sullo stesso gradino, vestito col libro migliore. Quando ti senti perso, quando credi che nella vita non ci siano abbastanza certezze per cui sorridere, eccolo lì, lui stesso disposto a sorriderti, come uno di famiglia; o che ne so, magari uno zio che non frequenti spesso e con cui, di conseguenza, non hai mai stretto alcun rapporto confidenziale ma che, se lo incontri in qualche luogo straniero in cui ti senti perso, diventa il tuo parente più caro. C’è chi si distingue dagli altri perché indossa sempre lo stesso modello di cappello da una vita o magari ha una pipa perennemente spenta, perennemente tra le labbra; chi per una mano in tasca, chi perché si trascina il piede destro, chi per una particolare balbuzie, chi per un tic nervoso; tutti hanno un segno distintivo, il suo è il libro, uno qualsiasi, quello che ha scelto di portarsi in giro, in tasca, fino alla gradinata della Chiesa. Anzi, lui è quel libro, e basta. Esagero? Può darsi. “Ma come? C’è un funerale e tu resti lì a leggere?” gli chiese qualcuno, una volta. La sua risposta fu limpida e innocente, come solo un bambino può e sa essere: “Cosa cambia, se mi fermo oppure no? Anzi, proprio ora non posso fermarmi….”. Pasolini, Pirandello, Moravia, Calvino, Flaubert, Proust, Tolstoj, Bulgakov, Fitzgerard, Salinger, Bukoskvki, Kerouac, Fante e potrei continuare all'infinito; libri di vita, di follia. Libri rilegati da stracci di libertà: di quella libertà democratica, quella che viaggia, che fa viaggiare e che si lascia percorrere; quella trasognante e disponibile, quella che ti fa diventare piccolo così, quella dimenticata. Quella che se ti delude, non è mai colpa sua, ma di chi lo ha scritto così. Una volta, per curiosità, mi sedetti di fianco a lui e neanche si accorse della mia presenza tanto che era immerso, giusto per cambiare, nella lettura. Le mani, più grandi della media, coprivano la copertina e non capii cosa stesse leggendo. Dosava lo sguardo, scandiva la punteggiatura, bisbigliava con dolcezza e trasporto i finali di ogni periodo, come a voler imprimere addosso, spalmate su tutte le rughe e dentro di sé, tutto il loro significato. Poi, d’un tratto, si fermava, si poggiava il libro al petto, cercava qualcosa nel vuoto, chiudeva gli occhi, cercava qualcosa nel silenzio, dietro le palbebre, poi, contento, tornava a leggere… Fu in quel momento che notai che ha un modo insolito e tanto dolce di corrucciare le labbra mentre legge. Le chiude come se volesse baciare l'aria e, spostandole, solitamente verso destra, come colto da una benevola paresi facciale, se le succhia dall'interno, facendole - di conseguenza - rientrare un po'. Soprattutto il labbro superiore quasi scompare. Rimane una striscia rosa sotto ai baffi e... mi è difficile spiegare questa specie di tic, ma spero di avercela fatta….può darsi. Poi si fermò, si voltò, mi vide, mi sorrise ed io contraccambiai. Non mi chiese cosa ci facessi lì, ma mi accolse come se quei gradini fossero stati l’uscio di casa sua. “ Vede, la vita stessa è un libro ed io libri li tratto, comme ve pozze dicere?, con riscpetto. Me piace assaje il profumo della carta. E attenzione, sono orgoglioso di ogni libro che ho letto, anche di quello…sì, di di di quello ca’ nun m’è piaciute. Mi accolgono, mi scelgono come se per tutta la vita non avessero atteso altro che io li prendessi per leggerli, e nun ‘e pozze deludere. Devo leggerli tutti fino in fondo, contano su di me”, mi disse ed io, shhh, senza parlare. Liberato, puoi solo ascoltarlo, magari lasciare che ti insegni qualcosa, pure quando ti sembra esagerato, lui, in quello che dice. “Conficco il naso nelle pagine, fino alla rilegatura e respiro, comme si fosse na guantiera di dolci da manciare. È come se la natura volesse ordinarti di leggere, anzi, è proprio essa, ca’ te cerca attenzione, nun vo essere sprecate. Sono le cortecce, i rami e le radici dell'uomo. E quando leggo, mi sento in pace co ' o munne”. Come al solito, mi sorrise e, prima che le sue rughe potessero brillarmi nuovamente felici in volto, aggiunse: “ Li annuso all’inizio, durante e doppe ogni lettura. È una specie di abbbitudine. Dei riti che, praticamente, non so scpiegare e nemmeno evitare”. Quando parla, è come se si coricasse ogni volta su un sorriso di accenti, vocali e consonanti, libere di sguazzare boriose nelle proprie tradizioni: tazzulelle di ‘SCpeciee, sCtampAto, praticamente, e aBBitudine” che si lasciano sorseggiare così come sono: piene piene di zucchero… …ma poi, è proprio bello sentirlo che passa dall’italiano al napoletano, così, come se tutto fosse, come dire?, non lo so, un flusso continuo di sé? Sì, un flusso continuo… Può darsi che sia proprio così. “E quando con acquisti, scelte e regali metto su una scorta buona per un anno, penso a quanti ancora mi mancano per essere felice veramente. E me vene l’ansia…Una busta piena di libri è la cosa più forte che esista, contiene il mondo... e ce ne vuole di forza per sorreggerlo, hehe...”. “ Mi scusi, ma quanti libri ha letto”? Domandai, una volta, con curiosità. Ci pensò un po’ su, si passò la mano sotto al mento per accarezzarsi la barbetta, più che altro peluria, avida e incolta, poi, scuotendo il capo, con un velo di… come dire?... non tristezza ma amarezza, sì sì, di amarezza, disse: “ Pochi, troppo. Di certo non abbastanza …”. “ Le piacciono così tanto i libri”? Osai chiedere e, sentite sentite, lui, prima inarcò il sopracciglio, poi, con un leggero gesto di innocente e onesta superbia, starnazzò entusiasta: “Sì, ma non creda che me li tenga tutti per me. Certo sono molto geloso dei testi che ormai sanno della mia pelle, hanno le mie impronte, ma se una storia mi piace, l’aggia condividere co’ tutt ‘o munne! Deve uscire fuori dalla mia testa, deve essere letta da tutti e se non vogliono leggerla, m’anna sta a sentì mentre la racconto. E poi, e poi lei parla di libri come se fossero oggetti, esseri immateriali. E invece sono talmente vivi, che non può nemmeno immaginare. Chiamarli libri è riduttivo… io ‘e chiamme ‘storie’; storie narrate, ‘e chi l’ha scritte, di chi le ha trovate, acquistate, arrubbate e in fine lette. Quando ne finisco una, devo iniziarne subito un’altra… è come se volessi sentirmi sempre pieno... devo riempirmo... comme v'aggiade dicere?... mmm...a sapite ‘a legge de’ travase? Ecc… a mo’ e travase…”. Quella non fu l’unica volta in cui gli feci compagnia: era un pomeriggio e non c’era nessun funerale, tuttavia lui era lì. E ovviamente leggeva. Mi sedetti di fianco a lui e, diversamente dalle altre volte, interruppe subito la lettura. “ Cosa ci fa qui? Non c’è nemmeno una funzione…”, gli chiesi. “Perché credete che io stia qui a leggere soltanto durante i funerali”? Lo guardai negli occhi e colsi la profondità del mio sguardo riflesso nelle sue pupille. “ Non è così”? Sorrise. Sembrava volersi prendere gioco di me, come al solito, ma lo faceva da uomo della terra, con umiltà… come al solito… E la sua pelle era scura, vissuta, e si contraeva in piccole fessure – le rughe, ricordate? - proprio come la terra: humus, terra e umiltà. Umiltà… “ Può darsi che sia così. Può darsi il contrario. Il discorso è che se io domani mi sdraiassi qui fuori a torso nudo per prendere il sole, tutti si meraviglierebbero del mio comportamento…. Tutti ricessene, chist è pazz! Ma pecché”? Non lo stavo capendo, mi stavo perdendo, lui se ne accorse. “ Vede, io vengo tutti i giorni qui, ma la gente ama raccontare ciò che preferisce credere. Mi vede solo quanne more qualcheduno”. Disse stizzato un po', con tono sornione pure. Sono affezionato a queste scale, a questa piazza. Ogni giorno ascolto i passi di chi va di fretta, di chi gioca e di chi zoppica. Osservo, ascolto e mi accorgo di tutto. Non sto qui solo a leggere, eh”! “ E cosa osserva”? “ L’ipocrisia di qualche pianto funebre; gli ossequi del quartiere al parroco e al boss di turno; gli affanni di chi rincorre un autobus già pieno al punto che sembra, praticamente, permessa ogni bestemmia, le madri del quartiere, tutte diverse tra loro…” Lo interruppi, forse stavo capendo. “ E perché osserva”? “ Ma perché amo leggere…” Ecco, non stavo capendo di nuovo. Sì, so’ scem… “ Ehm… scusi ma cosa c’entra”? “ Vuole proprio che io sia retorico,eh? Beh, che v’aggia ricere? La vita è il più bel libro che esista… io veramente credo che ogni giorno siamo circondati da descrizioni che solo chi vuole osservare sa cogliere. Non c’è bisogno mica di una laurea, ma solo voglia di capire ed ascoltare. Mi sta capendo? La vedo titubante… vede, ci sono suoni, metafore continue da cogliere… ci sono storie, tutte diverse. Basta concentrarsi su di una persona e fantasticare sul suo percorso, sul perché va così di fretta oppure sul perché ha quel viso imbronciato da giorni di barba. Basta poco per costruirsi una storia, serve solo un po’ di fantasia, poi non importa se sarà un racconto da scrivere o meno, nel frattempo si impara a leggere la vita…”. S’interruppe: sembrava volesse aggiungere qualcosa, ma soprassedeva, come il peccatore che soppesa ad uno ad uno ogni vizio, prima di decidere quale confessare per ultimo; taceva, come se dalle sue labbra, oltre che tutta la mia attenzione, pendesse un mistero da risolvere, un qualcosa di non detto ma di necessario. Liberato si piegò in avanti verso di me, il significato del suo sguardo pieno di dubbio stava per precipitare e, pieno del solito amore, si staccò definitivamente dalla bocca. "… e si ricordi, lèggere rende le anime leggére…”, si gettò a dirmi con premura, quasi a volermi accarezzare il viso con gli occhi e la benevolenza di un padre, anzi di un nonno. Sì, un bravo nonno… Rimanemmo in silenzio per qualche secondo. La primavera cinguettava e spuntava curiosa tra le fessure della scalinata dissestata. C’erano pochissime nuvole, nessuna di queste ci minacciava pioggia. Poi, Liberato mi raccontò un aneddoto: “ Due anni fa, io ero qui, come al solito, e indovini un po’ cos’era in programma per quella giornata? Un funerale… Avevo con me un libro che avrò letto già una ventina di volte. Mi sedetti proprio qui, dove siede lei e accumminciaje a leggere. Da lontano, già si sentivano il lento marciare della Mercedes nera e file di crepiti di suole in lutto. Il cielo era adatto per ogni tipo di imprecazione, mi creda, pareva fatte apposte per quel funerale. Poi arrivò il silenzio, come se tutti, amici e parenti, avessero deciso insieme che non bisognava far arrivare in cielo nemmeno un briciolo della loro rabbia. Passarono venti, trenta, quaranta facce familiari… Strinsi al petto il libro e decisi di entrare insieme a una di quelle… Riuscii a mala pena a varcare l’uscio. La navata sembrava una pozzanghera d’anime sconvolte che si facevano spazio, però, aggia ricere ‘a verità, con rigoroso silenzio e con un decoro ca quase quase me reve fastidie… Non riuscii, praticamente, neanche a sentire le solite rassicurazioni esistenziali del prete. Forse ci ho guadagnato… chissà! Comunque, per non farvela troppo lunga, ‘o tiemp è tiemp, quando finì la messa, i primi ad uscire furono i soliti disinteressati: parenti di amici di cugini del fratello dell’amico che conosceva il defunto, gente ca steve là sul per se ‘nciucià. Sa come vanno queste cose… qualcuno faceva commenti sulla morte in generale, sa, le solite leziosità, comm’è brutt a murì accussì, ‘a vite chest’è, e tutte sti strunzat ca…. altri si domandavano come si potesse morire così giovani. Uno di loro chiese ad un altro: Ma il padre non è venuto? Chist'ate, sapete che disse? Sapite che dicette? Ve lo dico io, ve lo dico: Non ha voluto assistere a questo scperpetuo e, saje comm'è, non avrebbe sopportato le dicerie sul suo conto… sai, il fatto che si drogava… come? Su! Comm'è chella faccia? jamm bell… nun ‘o sapiv?”. Il fatto che si drogava… Liberato era in debito di ossigeno. Non lo avevo mai visto così: arrabbiato. “Mi creda. Se ne avessi avuto la forza, l’avesse pigliate a cavece ‘nculo. Ma dovetti rassegnarmi all’idea che, come lui, avrei dovuto prenderne a calci tanti altri… 'a gente è cattiva… forse perché legge poco, chissà…” “Mi scusi, non ho capito molto, ma dove vuole andare ad apparare? Conosceva il morto”? “ Ha ragione… arrivo al dunque… Quando uscì la bara, fui preso dal desiderio di prenderla tra le mani, mettermela sulle spalle e portarla da solo al cimitero, ma questo corpo è gracile, stanco, buono solo a reggere un libro… l’unica cosa che potei fare fu di poggiare il libro sulla bara, chiedendo che l’accompagnasse nell’ultimo viaggio… La madre acconsentì ed io, beh, ne fui felice... se così si può dire…” Liberato si fermò. C'ha provato a trattenersi, ma alla fine gli fu impossibile. Chino, sulle ginocchia, iniziò a piangere. Non capita spesso di vedere un vecchio piangere in questo modo, come se le rughe debbano per forza insegnare il dolore, condurre all’esperienza, rinsecchire la terra e chiudere i canali d’irrigazione. La firma del tempo che, indisturbato, passeggia e passa l’aratro sul volto. Che stronzate che scrivo. Può darsi. Fatto sta, rimasi in silenzio. Ancora una volta. In imbarazzo. L’unica cosa che riuscii a fare fu poggiargli una mano dietro al capo bianco e carezzarglielo. “… mi scusi… sa, questo vecchio ne ha viste di cose, ma non si abitua al dolore… non ci riesce...nun sap c’adda fa”, disse provando a giustificarsi di tanta innocenza. Sorrisi e m’innamorai di quella sincerità. Un giorno, guardandomi allo specchio, sarò anche io come lui, felice di essere uguale a ieri? “ Di chi era quel libro”? Il silenzio durò un attimo, il tempo di un grido divertito di un ragazzino che aveva l’aria di essere felice. “ Era suo…” Un altro grido e poi ancora un altro. “ Gliel’aveva prestato”? “No. L’aveva scritto lui…e m'era pure piaciuto. Era suo, la sua anima…” La gente ama raccontare ciò che preferisce credere… Le persone vedono persone... ma poi ci dimentichiamo dell'anima nascosta sotto alla maschera di legno… ma poi ci dimentichiamo dell’anima… può darsi.
1 Comment
Patty
26/4/2015 08:47:52
Così mi hai fatta piangere. E ne avevo bisogno. Ciao Francesco. Ti abbraccio, forte.
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