Vorrei che la smettessi di stare lì, muto, in silenzio, e che approfittassi del poco tempo che abbiamo a disposizione, il tempo di fumarmi questa sigaretta, per dirmi tutto. Poi, puoi pure sparire in un risucchio, nella cenere. No no, certo, lo so, si potrebbe almeno avere il decoro di riflettere prima di aprire bocca, non tanto per l'alito, quanto per il rispetto, il silenzio, le pause, ma che vuoi farci? Questi sono i tempi che corrono. Affanni, deviazioni, buche. Un po' come i tuoi, soltanto che oggi è tutto più veloce. Tv, giornali, internet, smartphone. La fretta. Veloci, veloci come te, i tuoi pensieri, le tue parole taglienti, coraggiose, telegrafiche. Scendono giù calde, dalla mente e poi dritte sullo stomaco, come un goccio di assenzio ingoiato senza rimorsi. Dalla gola allo stomaco, poi dritto nella mente. Sì, so anche questo. In realtà, lo sanno tutti. Non raccontiamoci bugie. Non raccontarmene più. L'hai fatto perché ti eri stancato del mondo. Non è la migliore delle scuse, tutta opinabile, sì, ma è pur sempre una scusa. In altri tempi ti avrei dato ragione, ora non lo so. Non c'è quasi mai una buona ragione per ammazzarsi, ma chi sono io per giudicarti? Resto seduto, ti passo la lenza, ascolto le onde che si muovono lente sotto questa barchetta di cartapesta, fumo ancora, lancio l'amo, aspetto che tu dia risposte. Lo so che lo sai. Sono solo tre i libri per cui non ho pianto per poco: Chiedi alla polvere, Storia di una Capinera e quel tuo Addio alle Armi, nudo, crudo, violento. Sento ancora sanguinarmi lo stomaco. Certe notti, mi sveglio convinto d'essere io il medico, io a doverti portare la brutta notizia. Mi sveglio sudato, tremante. Ho paura della tua reazione, ho paura della tua rabbia, ho paura della tua vendetta, che mi scaraventi in mezzo ai tuoi tori a Pamplona. Soffro di vertigini, temo l'altezza. Altre notti sogno di precipitare. un volo che dura una dormita. Il tempo di atterrare qui al tuo fianco, in una trincea, tra te, Maria e Pilar. Passami un goccio, lasciami bere, dammi la tua verità. In attesa della prossima campana. No, devo essere franco con te, no no, scusa la gaffe, volevo dire sincero: con Addio alle armi ho pianto proprio. Non ce l'ho fatta a fermarmi. Ehi, cosa vuoi? Sai, ci ho provato ad appigliarmi al bordo dell'ultima pagina, ma son caduto, come corpo morto cade, sulla quarta di copertina. Che schianto, un knockout mai letto prima. Restano le impronte delle carta graffiata sotto le unghie. Sapevo bene fossi di quelli posseduti. Di quelli dai the end maledetti, eppure ci ho sperato, sai, giusto per non morire, giusto per non dover restare lì a tamponare le ferite dello stomaco, giusto per non essere trafitto alle palle da un toro imbufalito. E comunque, è stato proprio quel tuo spleen intossicato e contenuto in bottiglie da un litro a farmi sedere al tavolo con te. In fondo, noi tutti non siamo qui seduti in attesa delle ferite allo stomaco? Non resistiamo per le milze gonfie d'asma ed enarmonie? Già, tu non ce l'hai fatta. Troppo stanco, dici. La noia, già. Questo mondo tutto uguale, immensamente minuscolo, epilettico, edipico, adiposo, questo mondo sempre bravo a deluderti, a farti ciao ciao con la manina, se ti va bene, e poi pronto a lasciarti tra i rifiuti, tra un frigo ed un tostapane rotti. Con i topi a rosicchiarti i lacci delle scarpe; è la fame, dicono. Sarà stato questo il problema, vero? La milza salita al petto, la mente sanguinante, la bottiglia vuota, l'indifferenza al sangue, le troppe corride e poi le troppe parole vuote: è il mondo che abbonda di respiri, non è vero? No o non lo sai? Taci? Non mi rispondi? Sei impegnato nella tua schifosa caccia o cerchi ancora di togliere la merda del tuo compagno di trincea dalle suole degli anfibi? Non vedi cosa accade al mondo? Che fai? Non scrivi e dici niente? Ah, ti nascondi? Dove sei? Oh, perché non rispondi? Hem, perché non parli? Oh! Dannazione, si è spenta la sigaretta.
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March 2019
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