Ovviamente il titolo è provocatorio, meglio chiarirlo. Però, in generale, ci sono dei ma. A volte mi sembrate come la Corea quando decise che avrebbe trasmesso la partita dei mondiali col Brasile in differita, solo in caso di risultato positivo. La Corea subì una valanga di gol e per i coreani quella partita non sarebbe mai esistita. Premessa: anche io, qualche anno fa avevo le mie perplessità, soprattuto mi rendo conto benissimo di quanto possa essere davvero fastidioso il fatto che il proprio quartiere, casa propria, debba essere scenario di un film in cui si raccontano assassini, guerriglie, spaccio e blablablà. Seconda Premessa: non c'entra nulla Saviano, la presunta speculazione o meno. Quelli sono fatti suoi. Terza Premessa: di Gomorra in sé non me ne frega niente ché ho visto poco, non seguo la serie, però una mia opinione me la sono fatta uguale e per me siete fuori strada. Scrivo a difesa dell'arte, della libertà di espressione: l'arte è arte e non deve avere PER FORZA finalità educative. O comunque sia, resta una scelta personale. Fare arte significa, il più delle volte, porre lo sguardo su un qualcosa e caricarlo di significati personali, sia che se ne voglia dare una descrizione oggettiva, sia il contrario. In entrambi casi, è sempre il proprio sguardo a dare valore alle cose poste al centro di un obiettivo, di una cornice o di un foglio di carta. Sei tu e solo tu. Il resto è blàblàblà. Possiamo discutere se quest'opera ci piace, non ci piace, è fatta bene, è fatta male e potremmo starci per ora, ma non si può cincischiare intorno all'idea secondo cui, pubblicando, mostrando, esaltando certe immagini ci sia il rischio che qualcuno possa imitarle. Vi spiego la mia opinione con due esempi: primo esempio: ne faccio alcuni random di carattere letterario ché parliamo pur sempre di scrittura. Il naturalismo in generale, Flaubert e Zolà in maniera particolare. Criticati per aver espresso cinicamente, fin troppo per alcuni, la realtà, l'ipocrisia della borghesia da un lato, la corruzione fisica e morale delle classi cosiddette inferiori dall'altro, non fecero altro che fotografare - ovviamente dal loro punto di vista - una realtà, un dato di fatto. Cinico, ma pur sempre reale. Non l'unica, ma pur sempre un fotogramma della realtà per costruzione idiscutibilmente vero. Di cosa li si poteva biasimare? Di aver distrutto l'idealismo romantico fatto di inverosibili passioni e ipocriti lieti fine? Quella Parigi ha criticato, ha puntato il dito, proprio come fa oggi Scampia, come fanno certi benpensanti, convinti che il problema sia la forma, il modo e non il contenuto che trasporta. La fiction è il mezzo, non la causa. Se c'è la camorra, se c'è chi entra in un bar indisturbato e fa partire dei colpi di pistola, minaccia tutti di uscire per poi incendiarlo, non è colpa di una fiction che racconta, con i metodi della fiction, partendo da spunti realistici o verosomiglianti. Ad uccidere è sempre la camorra, non Gomorra. Meglio ricordarlo. Per il problema dell'emulazione vi propongo un altro paradosso squisitamente letterario. Prendiamo il caso dei "Dolori del Giovane Werther". Era un periodo in cui il suicidio sembrava per molti (anime inguaribilmente sensibili, perennemente a disagio in una realtà a cui non sentivano di appartenere) l'unica soluzione a tutto. Goethe, a modo suo, ne ha parlato. In seguito, alcuni corpi senza vita furono trovati avvinghiati all'ultima pagina dell'opera dello scrittore. Potremmo mai accusare Goethe di aver istigato al suidicio? No. Semplicemente ha colto il sentimento di un'intera generazione e ha saputo capire, ha saputo raccontare. E, d'altronde, sarebbe come dire che "Il Vecchio e il Mare" istighi allo sterminio degli squali. Sarebbe bastato che a quelle pagine, a quelle di Goethe, fossero seguite delle risposte invece di lasciarle all'oblio del silenzio assordante dell'esistenza, dell'indifferenza, invece di non capire che c'era un popolo di giovani persi, abbandonati, isolati, svuotati e che avevano bisogno di aiuto. Ancora: quando Bukowski vi parla della sua esistenza, fatta di ubriacate, cazzi in culo, malinconie, offese, tristezze, sfortune, davvero a voi viene voglia di imitarlo? A me no, sinceramente. Bukowski - che pure ha molto spettacolarizzato un certo modo di vivere, un certo modo di fare - scrive gran parte delle sue opere al caldo, comodamente seduto nella sua bella casa con la sua bella mogliettina ela sua bibita analcolica. Se racconta certe cose è per mettere su carta la sofferenza di una gioventù passata ai bordi della periferia dell'esistenza. Ora a noi non interessa sapere se lo fa per fini edonistici o educativi, fatto sta che regala una finestrella dal quale affacciarsi e conoscere porzioni di angosce umane grosse così. Bukowski era maledetto perché maledetta era la sua vita. Era la sua realtà. Vuoi imitarlo? Vuoi leggerlo per capire qualcosa in più su questa strana vita? Non è un problema di Bukowski, ma tuo. Non vi piace Gomorra? Benissimo, non guardatelo, ma non perché vi mostra una realtà che a voi pare diseducativa, ma semplicemente perché non vi piace - che ne so - la fotografia, la recitazione, la tessitura narrativa, l'intreccio. ( E notate che io non vi sto dicendo se la serie mi piace, perché non è questo il mio discorso). Mi direte che non c'è una morale e che i personaggi vengono mitizzati al punto che l'imitazione pare una conseguenza inevitabile. Benissimo, vi rispondo così: ne "I promessi sposi", voi tifate per i due sposini o per Don Rodrigo che ostenta potere e ricchezza? Mi potreste rispondere che Manzoni ha comunque mostrato la scia, indicando dove puntare l'occhio della vostra/propria morale, e avreste ragione, ma a me è bastato vedere compiere il soppruso, l'ingiustizia, per capire su chi avrei scommesso. Se anche non ci fosse stata la Provvidenza a castigare tutti i bravi, gli infami, comunque non avrei simpatizzato per il nemico. Ecco, la differenza la fa la consapevolezza. E non perché si è migliori o peggiori di qualche altro. Non è questa una gara a chi ha il cuore d'oro e l'anima di diamantite. Il discorso è semplice: incontrare dei maestri, degli esempi rispettosi, poter contare sulla famiglia, leggere leggere leggere, imparare la differenza tra giusto e sbagliato, imparare a cogliere la linea sottile che divide giusto e sbagliato, fa la differenza. (Tra i 14 e i 16 anni andavo in giro a distruggere le pensiline delle fermate degli autobus, i vetri delle scuole, ad incendiare la carta nei bagni. Così, per di-ver-ti-men-to. Nulla di così "gomorristico", per carità, ma nemmeno tanto lodevole. Avevo e ho una famiglia fantastica, non mi ha mai fatto mancare niente, eppure emulavo-seguivo la spacconeria, l'andatura di quelli più grandi e, all'apparenza, più fighi di me. Poi ho conosciuto la chitarra, poi c'è stato un corso di lettura al liceo su Pasolini: è bastato che un professore mi desse la possibilità di imparare ad amare la letteratura. Ne sono stato travolto come una mitragliata di protiettili in petto). Essere consapevoli di se stessi, delle proprie forze, di cosa si può fare per sè e per gli altri, restare alla ricerca continua di un posto giusto in questa stimmate di universo: questo conta. Non è sempre facile, quasi mai lo è, ma l'ambiente, il mileau, il modo in cui ci si arrampica tra le fenditure del cemento e dell'asfalto, chi te lo insegna, quanto sono forte le radici, queste sì che sono le cose importanti. Non una cazzo di serie TV che - repetita iuvant - non ha mai ucciso nessuno, nè può farlo. Sarebbe come voler dire che tutti i racconti distopici andrebbero banditi perché potrebbero dare agli psicopatici lo spunto per poter realizzare future dittature. Vi rendete conto che è assurdo? Ad un ragazzino cresciuto in un ambiente sano, un ragazzino seguito, istruito, a cui si mostrano i percorsi, non verrebbe mai l'idea di scendere per strada con in braccio un kalashnikov. Ad un ragazzino simile, Gomorra parrà solo una serie di Tv da parodizzare - come hanno fatto i the Jackal - o semplicemente da ossevare. Ve lo ridico col secondo esempio. Secondo esempio: quando ero al liceo, lo stesso periodo in cui distruggevo vetri e pensilini, tra i banchi di scuola, andava molto di moda ripetere ossessivamente - come accade oggi con i tormentoni made by Gomorra - le battute de Il Camorrista. "O Prufessor è n'omm cu 'e palle". "'O Malacarne è nu guappo 'e cartone". "M'ha fatt arrezzà o cazzo". "Nun saccio chi è iss, ma saccio chi sono io", che, a confronto, i "due frittur", "biv", "l'omm ca po' fa almeno 'e tutt cos" non sono niente. ( Vi rendete conto che i toni, i modi spavaldi e le frasi sono quasi gli stessi? Il primo è tratto da una storia vera, mentre il secondo si basa su eventi verosomiglianti. Cambiano i costumi, le automobili, gli occhiali da sole, ma sembra quasi un'unica pellicola. ). E avrebbero potuto continuare per ore e ore. Tanto che ormai sapevo il film a memoria senza averlo ancora visto. Ricordo che in classe si fecero discorsi vari su quel film e ricordo pure che qualcuno azzardò a riconsiderare la vita del camorrista che, in fondo, era pur fatta di donne, soldi e potere. La scena 'eroica' in cui Cutolo scappa dal centro psichiatrico con un kalshnikov in braccio, il fatto che la Nuova Camorra Organizzata desse lavoro e cibo a milioni di cittadini disoccupati, ad alcuni, davano la sensazione che, in fondo, il camorrista potesse avere le sue ragioni. In questo tipo di riflessioni, la morte, l'idea di vivere rinchiuso in uno scantinato con la paura del dover scappare, del chi va là, l'assenza di una persona che fosse realmente fedele al 100%, il tradimento, il vivere fuori la legge, oltre la legge, oltre ogni etica e morale, no, tutto questo non c'era. Ed erano figli di buona famiglia, ragazzi spigliati, 'diversi'. Però ricordo che ne uscì fuori una bella chiacchierata tra quindicenni e, in conclusione, di quel gruppo di amici, oggi nessuno è un Camorrista. Dunque, ad ogni modo, il problema non è il film, il libro o il racconto di una realtà, e nemmeno lo è la presunta mitizzazione di certi personaggi (che tra l'altro muoiono e si tradiscono a vicenda mostrando una realtà esistenziale che, a volerla imitare, è da deviati), ma la capacità di analisi, di riconoscere - come dice la volpe al Piccolo Principe - l'essenziale nascosto dentro/dietro alle cose. L'arte non deve educare o comunque sia non può farlo con i metodi da catechesi. L'arte è arte e fa quello che gli pare e piace. Chè altrimenti dovremmo gettare al rogo secoli di letteratura e pittura, coprire con le braghe tutti i giudizi universali del mondo, occultare cadaveri e nudi scabrosi, ricoprire di fiori e arcobaleni tutti i sobborghi del neorealismo pasoliniano, censurare la satira, far dilagare il perbenismo a iosa, costruendo argini di cemento armato, riscrivere i the end di Hemingway, editare tutto Kerouac, moralizzare l'intero ingegno umano, chiudere le idee, fonderci in un unico grande pensiero etico morale. Ok, mi sta bene, facciamolo, ma la morale di chi? In sintesi, sperando di essere stato più o meno chiaro, per dare una mia idea della cosa, piuttosto che lamentarsi di una fotografia, occupiamoci del paesaggio reale.
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