Stava leggendo Padre e Figli. Era ancora alle prime pagine, quando in pratica Arkadij spiega, al padre e allo zio, che l'amico è un nichilista. Aveva da poco finito “L'amore ai tempi del colera” e il passaggio a Turgenev gli veniva ancora difficile da metabolizzare. Quello stile, la traduzione dal russo, tutta la lettura gli veniva come trascinata. La realtà è che Marquez lo aveva gettato giù da un ponte ed ora era ancora in attesa di risalire da quelle calde e accoglienti atmosfere dello scrittore colombiano. Per noia iniziò a masturbarsi. Ci mise un po', poi, stanco, spense la luce e si addormentò. Al mattino seguente, fece tardi a lavoro, ma nessuno glielo fece pesare. Era il capo dell'azienda, dopotutto: poteva permetterselo. S'era attardato per fare colazione al caffè letterario, quello all'angolo tra Via Balzac e Via Carlo III: premuta d'arancia e cornetto vuoto. Al mattino, il caffè lo evitava sempre, se non altro perché sapeva che durante la giornata ne avrebbe consumati fin troppi. Il cornetto vuoto, invece, gli serviva per ricordarsi che stava a dieta, ma non troppo. Era ingrassato, questo è vero, e comunque non troppo. Quella mattina, gli era capitata una cosa inconsueta che lo aveva turbato un poco. Di solito, s'intratteneva a chiacchierare un po' con la barista, che non gli aveva mai lesinato attenzioni e sorrisi e, anzi, con accondiscendenza, si era sempre fatta sbirciare nella scollatura. Non che avesse un seno prosperoso, ma un po' la postura, un po' il pushup, un po' l'atteggiamento civettuolo, insomma, tutto era un bel vedere. La cosa lo metteva di buon umore e, a quarant'anni suonati, sentirsi al centro delle attenzioni di una ventenne gli dava quel pizzico di autostima che, per chi è nel mezzo del cammin di nostra vita, per chi ha amato tanto e (volutamente) perso tante occasioni di eternità, è sempre il benvenuto. Tuttavia, quel giorno lei aveva indossato un lupetto nero a collo alto e in più non lo aveva nemmeno salutato: a un tratto si sentì terribilmente vecchio. A lavoro si lasciò distrarre dai problemi dell'ufficio. Conti, fatture, clienti. Che palle. Senza nemmeno che se ne accorgesse, s'era fatta l'ora di pranzo, così lasciò il computer acceso, prese la giacca, il cappotto, la sciarpa e andò al ristorante. Nel menu c'era: un primo a scelta tra pasta e patate, riso e zucca, e pasta al forno; per secondo, o la scaloppina o del roastbeef; come contorno, la scelta era più vasta: melanzane a funghetto, carciofi sott'olio, patate cotte al forno, fagiolini bolliti, cavolo all'insalata, zucca arrostita, zucchine trifolate e fagioli. Totale, 10 euro. Da un paio d'anni ci andava sempre più spesso e non perché ci fosse una cameriera carina, come al caffè letterario. No, ci andava perché il titolare era un amico. Scelse: riso e zucca, poi il roastbeef con le patate cotte al forno. Da bere, compresa nel prezzo, ovvio, una bottiglina d'acqua liscia. Quella gasata gli gonfiava troppo lo stomaco. Quando pagò, si accorse che l'amico, forse confuso dal vai e vieni del ristorante, gli aveva dato il resto sbagliato. Dieci euro in più. In pratica non aveva pagato. In un primo momento pensò di doverglielo dire, ma poi si ricordò che negli anni, l'amico, non gli aveva mai offerto un pranzo. Che cazzo! Ci conosciamo da anni e da anni ti porto soldi e nuovi clienti. Una mangiata gratis me la merito, no? Uscì contento della furbata e fece per tornare in ufficio, quando vide che, di fronte, a pochi metri, vicino al caffè letterario, c'era un po' di gente. Troppa. Grida, urla, pianti. Si sentì girare la testa, lo stomaco gli prese a far male. Eccolo, è arrivato l'infarto. Sto morendo... Lo so, è stato il cornetto di stamattina, pensò. E invece era ancora in piedi, vivo, soltanto con una strana sensazione di vuoto che gli partiva dalla bocca dello stomaco e si diffondeva in tutto il corpo. Chissà com'è che riuscì ad arrivare al caffè letterario. Erano tutti messi in cerchio. Guardavano qualcosa per terra. Si fece spazio tra la gente. Gli venne da vomitare. Gli venne da piangere. Per non sbagliare, vomitò lacrime. Chiamò in ufficio per comunicare che non sarebbe tornato. Non spiegò il motivo. Non ne aveva bisogno. Era il capo dopotutto. Passò il pomeriggio a piangere e a guardare la tv, e più la guardava e più gli veniva da piangere, ma non riusciva a spegnerla. Quando fece buio, si mise a letto senza nemmeno mangiare, senza neanche spogliarsi. Guardò Padri e figli chiuso sul comodino. Lo lasciò lì. Turgenev avrebbe compreso. Pensò a quel pomeriggio. Pensò alla barista del caffè letterario. Pensò al suo sorriso, piuttosto che alla scollatura. Si masturbò un'ultima volta, pensando a lei, e si promise che non lo avrebbe fatto mai più.
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March 2019
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