Io gli dico "senti, vorrei parlare del tuo percorso, ma voglio che sia tu a dirmi cosa vorresti che dicessi di te, perché è facile raccontare la storia del solito ragazzo della solita periferia che, nonostante le solite difficoltà del solito territorio della solita provincia a Nord della solita Napoli, nonostante le solite difficoltà sociali, economiche e blablablà, è riuscito a diventare primo contrabbasso in orchestre dirette da gente come Muti". Lui non pensa nient'altro che a questo: "Vorrei che gli altri capissero che dietro ogni singola nota ci sono giorni interi di studio, di sacrifici, di costi, di sudore. Che ne sanno le persone di tutto questo? Poco o nulla. Vedi, io vorrei che gli altri lo capissero. Per darti un'idea, oggi pomeriggio, sono stato tutto il tempo a cercare di fare tre sole semplici note. Volevo che fossero perfette. Un pomeriggio intero, capisci? Perché? Perché la musica si fa con passione, col cuore, ma anche col sacrificio, con lo studio, con la sofferenza. Questa cosa le persone la devono capire". Me lo ripete un paio di volte il concetto, giusto per capire se ho capito, tuttavia, non contento, per esserne più sicuro, mi mima il gesto con le mani. La destra tira l'arco sui colori, con l'altra li mette in ordine, a suo modo. "Immagina che tu stia a scrivere una canzone, ci metti un giorno, una settimana, la registri, ci butti il sangue e comunque non ti convince e allora cominci daccapo, arrivi ad un risultato, comunque buono, in mezzo a un mare di difficoltà, poi ti siedi e sbagli quell'unica nota che ti fotte. Verrai valutato e ricordato per quell'unica nota sbagliata". La mano tiene un bicchiere di birra. Lunga, nervosa, a tratti insicura, piena di calli, come quelle di chi suda nei campi, destinati ad altra natura. Poi ti guarda con gli occhi scuri, sicuri, profondi, di uno che il mondo l'ha visto spesso da solo, chiuso in una stanza d'albergo a chilometri di distanza da casa. "Sì, viaggiare è bello, suonare anche, ma mesi interi lontano dai tuoi affetti so' pesanti". Ci facciamo un altro sorso di birra, parliamo del più e del meno, ma argomento al centro di ogni cosa è sempre la musica: passato, presente e futuro. Dannatamente retorico e scontato, ma che cazzo vuoi farci se è così e basta? "Una volta, anni fa, dopo un concerto, un impresario musicale non riusciva a capire la mia esigenza di dover tornare a casa presto la sera, non capiva che avevo bisogno sì di lavorare, ma soprattutto di studiare. Ma perché, tu studi? mi chiese. Non riusciva a capire che per fare quello che faccio io, a tutti i livelli, bisogna studiare". Ora, non so se le persone tutte riusciranno mai a capirla questa cosa qua, e cioè che dietro ad una sola semplice canzone c'è gente che, per arrivare a suonarla, semplicemente a concepirla questa semplice canzone di merda, ci ha buttato il sangue per giorni mesi anni. Difficile, è difficile farlo entrare nella zucca a tutti, soprattutto in un'epoca in cui la musica, ma l'arte in generale, è sempre più relegata ad un ruolo marginale nella società. Un cicisbeo alla corte di chi, di musica, davvero non ci capisce un cazzo, incluso il sottoscritto. Ma questo è un altro discorso. Renzo Schina è uno che, per farvi capire il tipo, una sera - era una festa - è riuscito a coinvolgere un gruppo intero di amici ad improvvisare, in chiave parodistica ovviamente, l'Aida. Ne uscì fuori una caciarata che non vi dico. Un animatore mancato. Uno che è sempre stato su di un filo sottile, tra il musicista impeccabile, un po' filosofo un poco saggio, e l'amico cazzone dei bar di periferia. E ad essere sinceri, in quegli anni lì, dopo il liceo, eravamo tutti un po' cazzoni. La differenza è che lui, Renzo, tornava a casa e, anche di notte, mentre il mondo intero riposava, si metteva al contrabbasso, per studiare, per preparare un concerto o per un concorso. O solo, semplicemente, per trovare il suo modo di buttar giù una frase. " E' come una corsa al Gran Premio di Moto Gp dove a fare la differenza è anche il millesimo di secondo.", mi ha detto ieri. Correre e non fermarsi mai, ché questa è una corsa in cui non è ammessa la resa; si può tremare, arrabbiarsi, urlare, incazzarsi, bestemmiare, ma non ci si può fermare. Dormire poco, giusto un po' la notte, e poi svegliarsi con la sola idea che bisogna rimettersi nella cazzo di carreggiata, che bisogna farlo più veloci del giorno prima, ché c'è da recuperare il tempo perduto. Poi bere, dirsi che è tutto ok, dimenticare le proprie insicurezze, e quindi riuscire, esserci, farcela, essere tra i migliori e non accontentarsi mai, dirsi sempre che no, non è mai abbastanza, bisogna continuare a correre; essere riconosciuto dal mondo, da chi ti dà pane all'anima e al corpo, cambiare cieli, palchi, letti, lenzuola, modi di ascoltare, modi di parlare, modi di guardare, senza però intaccare mai l'anima, la testa, il cuore; rischiare, perché si rischia, ma è un rischio che s'ha da fare, non sempre calcolato, ma necessario, come quello di essere abbandonato dalle persone che ami e di non essere capito, eppure, ciononostante, spiegarlo, urlarlo, suonarlo ogni giorno della propria vita, ché questa cosa ti appartiene, non ne puoi fare a meno nemmeno a volerlo, ti è saldata addosso e non c'è nient'altro da fare; già, costruirsi giorni, mesi e anni di impalcature, sicurezze vive solo quando si sta dietro al Contrabbasso, e che importa se poi, con il collo di una birra tra le dita, le mani ti tremano un po', ed esce fuori qualche debolezza, giusto un paio. Si è umani dopotutto. "Per ogni piccola soddisfazione, dietro ci sono tanti tanti sacrifici, ripagati eh, ma quanta fatica". Quando suona te ne accorgi, lo vedi, è proprio lì di fronte a te: Renzo è felice. Lo vedi, lo senti, perché è un tutt'uno con quello che sta facendo: corpo, testa, cuore, mani, anima. Trasmette felicità perché lui stesso è felice. E questa cosa, un uomo qualsiasi non può non invidiarla. Lui non lo sa, ma io, quelle mani, gliele ho sempre osservate con attenzione. Da quando lo andai a sentire suonare, diciassettenne, fuori alla SpioX, al secolo Chiesa di San Pio X, a Giugliano in Campania, nella solita provincia a Nord della solita Napoli. Perché se persone belle non sono sempre il riflesso preciso preciso dell'arte che producono, nel caso di Renzo è proprio così, pari pari. Me ne sono accorto dal primo secondo, da quella felicità che trasmette, ogni volta che ha la possibilità di suonare. Non è una bugia se vi dico che, un po' per imitazione, un po' per genuina invidia, è stato lui uno dei motivi per cui mi sono avvicinato alla musica. Lui non lo sa, glielo dico ora e un po' lo ringrazio. (Poi, non fa niente il fatto che io abbia riconosciuto non fosse cosa mia, ma questo è un altro racconto). Ci sono persone che si imparano guardandole dritto negli occhi. Tu le guardi e capisci quanta anima c'è dentro quel corpo che li ospita. Con Renzo basta che gli guardi le mani: hai la sensazione sappiano bene, forse da sempre, cosa vogliono fare nella vita. E questa cosa, un uomo qualsiasi non può non invidiarla.
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