Mi ero ripromesso di fare questa recensione in piena estate, proponendovela come consiglo di letture estive sotto all'ombrellone tra una fella di cocco, un vucumbrà, un'offesa a Salvini e qualche morto sulla spiaggia, che di questi tempi non si sa mai e, se ci va bene, potremmo farci una bella foto e condividerla su facebook, ma poi sono capitate un po' di cose e non ce l'ho fatta proprio per colpa del tempo. In tutti i sensi: spaziali, climatici, metereopatici e blablablà. E quindi, ecco il mio consiglo di lettura fuori stagione sotto all'ombrello o, al massimo, sotto al lenzuolo. Tra le altre cose, l'opera di cui vi voglio parlare capita a fagiuolo, o quasi, visto che l'ho pubblicata due minuti dopo la mezzanotte. Gli artigli dell'Aquila Nera di Ciro Abbate (YouCanPrint, copertina di una bravissima Veronica Crisci) affronta, tratta, narra – fate voi – dell' 11 settembre 2001. [ Avevo tredici anni e stavo giocando col pallone, giù casa. Non ricordo proprio con chi ero, ma ricordo nitidamente l'emozione che provai. Non quando accadde il fatto in sè, ma quando lo venni a sapere. Provai un senso di e quindi? A tredici anni, io ero un bambino che giocava a calcio nel parco, amava i Power Rangers e forse, ma dico forse, si avvicinava alla pubertà senza avere troppe fisime mentali. Non è che fossi privo di sensibilità. È che una coscienza, mica sapevo cos'era. E poi, che cazzo sono le Torri Gemelle? Poi niente, vidi le immagini. E vidi superman volare giù dal grattacielo. Correva giù, veloce, e pensai adesso spicca il volo e salva tutti. No, non è vero, non lo pensai, ma sarebbe stato bello. Cioè, sarebbe stato bello che avesse spiccato il volo. Capitemi: avevo tredici anni e credevo ai Power Rangers e, no, non sapevo manco di essere in una fase in cui la pubertà ti rende, se è possibile, ancora più indifeso di quello che sei. Credo. Però, quelle immagini aprirono una crepa nella mia infanzia. Non capii molto, ma divenni un po' più consapevole della mia umanità. Credo. Scusate la divagazione.] Di cosa parla Ciro Abbate nel suo libro? “ Forse, non troveremo mai la forma definitiva della realtà, ma dal momento in cui cominceremo a lavorare quell'argilla, diventeremo indissolubilmente parte di lei; prima o poi, sarà lei a mostrarci la forma esatta”, scrive l'autore. Ora, sono molti quelli che hanno usato e usano l'11 Settembre come argilla del proprio lavoro, e quindi capirete che, il lavoro di Ciro merita un primo importante complimento: tirare fuori l'ennesimo coniglio dal cappello e riuscire a strappare ancora un Ooooh di stupore nel lettore. Il problema di opere come queste – tra parentesi, un thriller – è quello di cercare, in fase di analisi, di non sputtanare troppo la trama. E quindi, per comodità, parto dalla domanda che si pone, in prefazione, Massimo Mazzucco, autore di documentari dal titolo 11 Settembre – La nuova Pearl Halbor e Nuovo secolo Americano: “Ma quello che abbiamo visto è davvero quello che è successo”? Se siete intelligenti, la risposta è facile. Però, siccome Mazzucco teme che voi, intelligenti, possiate non esserlo, vi dà la risposta: “Questa è la società di oggi. Una società dominata dalle apparenze, dall'impatto emotivo, dalla manipolazione visiva, dal consenso telecomandato. Solo chi sa guardare oltre il velo delle apparenze, oggi, può ancora sperare di vedere ciò che si agita dietro di esse”. [...]Giunti al secondo piano, una forte esplosione ci fece sobbalzare. L'uomo ferito alla gamba disse che ne avevano sentite della altre, l'altro parlò di esplosioni nei sotterranei; raccontò che una di queste aveva investito un suo collega, ferendolo, descrive Abbate. La storia è costruita tutta intorno a queste premesse. Nel mezzo, due semplici poliziotti, Allan e Brian, costretti a dire addio, molto presto, alla loro routine, ai loro amori, alle loro Stecy. Poi due sette segrete impegnate in una lotta fratricida, dei particolari serpenti in eterna lotta contro un'unica grande aquila nera, pronta a tutto, pur di estendere la propria egemonia sul mondo. Il bene e il male, Dio e Satana, luce e buio, paradiso e inferno, alto e basso, Dio e satana, blablablà di qui e blablablà di lì. Tutte queste venerande dicotomie ritornano e sottendono tutto lo scheletro narrativo. Gli stessi Allan e Brian sembra siano stati costruiti con queste logiche degli opposti. Laddove uno è arguto e coraggioso, l'altro sembra essere un po' troppo credulone e leggermente cagasotto, caratteristica questa, a onor del vero, che lo porta ad essere leggermente più riflessivo del compagno. E basta. Di più, davvero non (pos)so raccontarvi. Ciò che posso (ri)dirvi è che Ciro ha saputo inventarsi, con una penna e uno stile carichi di cinematografica drammaticià, una nuova storia intorno a quella che, agli occhi di molti, appare la più grande tragedia che il nostro secolo ha dovuto subire. Una sola scelta non ho condiviso. Conoscendo la poesia e il sarcasmo di Abbate, caratteristiche disseminate qua e là tra raccolte di poesie e racconti brevi ( vi consiglio di cercarvi "Paranormal Sweet Family"), mi sarei aspettato, per l'appunto, più spazio a queste due. E invece, Ciro, con cinismo, lascia che i protagonisti vengano letteralmente inghiottiti dagli eventi, senza dar loro il tempo di rifiatare, quasi come se - e forse è questa la vera volontà dell'autore - di fronte a certi gioghi, non si può far altro che correre e scappare. Un misto di crudo cinismo e realtà. Vi lascio con questa chicca dello stesso autore: “ La fantasia è un piccone che scava solchi dai quali spesso scorrono ruscelli di realtà”.
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