Oggi è il mio compleanno, ma sono io a volervi fare un regalo. Sperando sia di vostro gradimento, eh. Non è sempre detto che il regalo, uno qualsiasi, piaccia a prescindere. Quante volte vi è capitato di doverne scartare uno e di ritrovarvi, poi, vostro malgrado, a dover prendere tempo, soppesare le parole da dire prima di alzare la testa e guardare in faccia il vostro benefattore, nascondendogli il vostro chiaro imbarazzo con le migliori frasi di circuita circostanza prese dal vostro ormai copioso repertorio? Ja, dite la verità. Quante volte? A me un sacco. Rispolvererete quel barlume di talento d'attore consumato che avete a tutti i costi cercato di nascondere nelle recondite profondità del vostro io, dopo che, durante la recita di fine anno di IV elementare, vi siete scordati tutta la vostra unica battuta. Lo sapete, ve lo sentite: questa volta non sbaglierete, fingerete e direte “uà, che bello, grazie”, sarete perfino credibili, e vi guadagnerete l'inferno. Niente di meno? Per un compleanno? Per un regalo brutto? Sto esagerando eh? Uno può pure dire: “ Rigrazia c'aggio avuto 'o penziero”, e avrebbe ragione, però un regalo brutto resta brutto e basta. Certo è che in alcuni stati, tipo quelli della Louisiana ( c'è sempre qualcosa negli stati della Lousiana), è un reato punibile con pena capitale, fare regali brutti, magari riciclati, magari senza cuore, di circostanza. Il mio, però, è fatto col cuore, non l'ho riciclato e non è assolutamente di circostanza, tuttavia, se ho recato disturbo al vostro sonno quotidiano, punitemi pure a colpi di ortaggi, oltraggi e regali brutti. Ad ogni modo, quel che voglio donarvi è una piccola recensione, o meglio “un breve sunto” di quelle che sono le mie considerazioni su “Delirio Creativo”, di Raffaele Bruno, edito dalla “Marotta&Cafiero”. Quando faccio questi miei “sunti”, ho sempre bisogno di chiarire che il mio unico interesse è di farvi entrare nei miei entusiasmi di lettore appassionato, di darvi una finestra, la mia, di offrirvi il mio punto di vista delle cose, senza avere la presunzione di conoscerlo alla perfezione il luogo che osservo. D'altronde, sono pur sempre miope. Inizio col dire una cosa - che poi ha un duplice significato: l'ho letto tutto in un giorno, mi è bastato un giorno. Con questo cosa voglio dire? Che è un libro piccolo, breve, che si consuma nello spazio di un oretta, non di più. Fosse un dolce lo paragonerei ad un Macaron. Sapete? Quei cosini piccoli, colorati, teneri a guardarli. Personalmente, ne mangerei mille, però già uno solo, fatto bene, ti arricrea il palato. E “Delirio Creativo”, a mio modesto avviso, è piccolo, colorato, tenero, e fatto bene. Col “mi è bastato un giorno” non voglio dire che basta un giorno per capirlo. Attenzione. Il linguaggio è giusto, curatissimo, e Raffaele è bravo. Le parole sono parole pesate, come i tasti del pianoforte, e se non sei allenato, a lungo andare le dita ti fanno male, la musica ti esce male, e non la capisci. Magari continui comunque a suonarla la melodia, vai avanti per inerzia, ma quanto ti resta dentro? Forse ti perdi il meglio. Su ogni nota, su ogni respiro, su ogni maledettissima santissima benedettissima parola dovresti andarci cauto, con la punta delle dita, dovresti fermarti, allungare l'orecchio, dare uno sguardo un po' più dentro e un po' più fuori la melodia, un po' da lontano, un po' di sguincio. Poi dovresti fermarti, devi fermarti, poi dovresti riflettere, devi riflettere, ma giusto un secondo che poi devi subito sapere dov'è che continua la musica, dove si chiude il giro. Ma attenzione, questa è una cosa che andrebbe fatta per tutto, ogni volta, sempre, anche nella vita, soprattutto nella vita. E col suo libro, ce lo ricorda anche Raffaele e adesso vi spiego perchè. Il delirio nasce su di un palco, per un palco, per il respiro, per l'attimo, per i nervi tesi della recitazione. Poi, il delirio, grazie ad un bel progetto, è stato portato nelle carceri, proprio lì dove il respiro viene meno. Qui, Raffaele e tutta la sua banda di pazzi hanno cercato di insegnare, a chi un'alternativa non gli è riuscito di trovarla - in questo sistema, in quegli altri deliri, in queste logiche - che ne esistono altri di deliri: altre grida, altri colpi, altre cose da spacciare, altre logiche, altre possibilità. Ma torno al libro. Perchè è di questo che voglio parlare. Del lato cartaceo e letterario del progetto. Innazitutto, di cosa stiamo parlando? Di poesie? Di racconti? Vi ho detto che tutto nasce per un palco: fine, scopo e missione è per la recitazione. Non sempre ciò che nasce per essere recitato trova una sua giusta collocazione sulla carta, ma Raffaele è bravo e ci lascia intuire dov'è che va a finire il moto del cuore. La prosa tagiuzzatta e distribuita in versi serve a consigliare dov'è che va spostato il respiro, l'accento, il ritmo. L'idiosincrasia del verso va di pari passo con l'animo e, in tal modo, i monologhi, i luoghi di dentro che eplodono di fuori, funzionano anche se recitati dalla lettura interna. Sapete? A scuola ci hanno insegnato a leggere ad alta voce perché a) come farebbe l'insegnante a correggerci altrimenti, b) soprattutto per abituarci a percepire il suono, il ritmo, a capire dov'è che stiamo buttando le parole, il senso, le vigole, tuttavia, passati gli anni, il più delle volte, per pudore o chissà cosa, quasi sempre, si legge in silenzio, senza muovere le labbra, col di dentro. in tal modo, di un racconto, riconosciuta l'impronta stilistica, spesso perdiamo il senso del ritmo e l'atmosfera voluti dallo scrittore all'interno del capoverso, e ci va bene così, perché ne capiamo comunque il senso. Ecco perché, a volte, restiamo spiazzati di fronte alla poesia, per esempio. Se non puoi ad alta voce, almeno non la si può leggere senza sostare un attimo tra gli attimi. Figuriamoci se dovessimo leggere dei monologhi, qualcosa nato per essere recitato. Ebbene, gran parte del “Delirio Creativo” book format funziona anche in muto e senza voce, col grido di dentro. E passi da un passo all'altro, come una rincorsa, come quando scendi dalla macchina e non vedi l'ora di arrivare al parapetto e guardartelo tutto il panorama. Dalla mini soap opera dell'animo di Maria - delle sue tre parole magiche, del suo assassino, del suo vendicatore e delle logiche di sfaccimma di un quartiere - fino ad arrivare alle radici di un nonno forte e orgoglioso, come quella Napoli nascosta tra i canali tivù privati, in un film di Totò o di De Filippo, per esempio. Ed eccolo qui il motivo per cui lo leggi tutto d'un fiato: perchè sarebbe un peccato interrompere il delirio della lettura in cui ci vuole catapultati Raffaele. Stefano Benni, in prefazione, scrive: “Una musica di dolore e speranza insieme, forse solo a Napoli la puoi raccontare così forte”, e forse c'ha ragione, ma devi anche saperla registrare questa canzone. Che sembra essere la stessa, ormai da anni, un unico grande accordo minore, è vero, ma se riesci a prenderne un pezzetto, farla tua, trasformarla, e poi farla ancora più tua e dare, della stessa canzone, una prospettiva nuova, allora è così che la può raccontare davvero forte. Nel “Delirio Creativo”, senza mai citarli, senza mai rifarsi esplicitamente a loro, trovi tutto quel mare che non riesce a bagnare Napoli di Anna Maria Ortense, c'è l'atmosfera del funerale voluto a tutti i costi da Teresa, al secolo Silvana Mangano, ne “L'oro di Napoli”, c'è la Miseria sì, ma anche la Nobilità, la pernacchia, la risata, il ghiaccio da trasportare, la voglia di rincorrere e di resistere, c'è il vagone che è fortuna, e speranza, e casa; c'è la fede, ma è una fede laica, nell'arte così come in in Dio, in se stessi, in Napoli, nei bambini, nella voglia di riscatto, nel riscatto stesso. L'ho letto tutto in un giorno, mi è bastato un giorno. Ma poi ho voluto rileggerlo. Ecco perché il riferimento di prima ai piccoli e teneri macarons: Il primo lo divori. Il secondo lo assapori. Al terzo indovini ad uno ad uno gli ingredienti. Ora, qualcuno, potrebbe ironizzare sul fatto che a furia di mangiare maracons, a) ti fai chiatto, b) ti viene una dissenteria di quelle che t'attacchi al cesso per una notte sana sana. Io gli direi. Embè? T'è piaciuta la biciletta? E mo che vuoi? A parte gli scherzi. Sono le 3 e 34, inizio a delirare, è il mio compleanno, ho sonno, e questo è solo un blog. Non sono un critico, sono solo uno che scrive, gli piace farlo, ma soprattutto sono solo un lettore. E da lettore, ve lo consiglio. Raffaé, bravo. Mi sei piaciuto.
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March 2019
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