- Guardate un po', è uscito il 13 e non il 14, che sfurtuna.
- Non lo dite a me, signurì. L'altro ieri aspettavo il 33 ed è uscito 63. Allora, quattro numeri su novanta, per quante ruote? Allora novanta diviso quattro fa... no, aspe', non era così, mannaggia. Una volta me lo ricordavo: è stato l'unico esame che mi andò bene quell'anno in cui frequentai la Facoltà di "Biologia Generica e Applicata"; poi ho capito che per me le parole contavano - o sarebbero contate - più di numeri, parabole, equazioni ed integrali. Le parole, già. Quelle su cui ho deciso di scommettere: parole mie, sgrammaticate, veloci, libere di fare il cazzo che pare e piace a loro. Le sento sotto la pelle, sopra a quella di una tastiera fredda che si riscalda, tra le dita, in mezzo alla carta, in mezzo alla musica. Parole in libertà, parole libere, senza il guinzaglio del gusto, se non il mio che ha da crescere, ha da studiare, ha da migliorarsi; ma sia chiaro: solo per me. Non mi interessa imparare a scrivere per il pubblico. Mi interessa conoscere più modi possibili per esprimere quello che ho da dire; è una questione di onestà, verso me stesso e - di riflesso - verso chi mi ascolta/legge. Le parole pesano, sono macigni. Puoi vuotarle, sfocarle, disporle a cazzo di cane su un foglio, farne un logo pubblicitario, anagrammarle, stenderle in lunghe metafore piene zeppe di analogie apparentemente senza senso, fare quello che vuoi, ma resta che, nei loro confronti, delle parole dico, hai delle responsabilità: è la differenza che passa tra chi vuole fare arte (con artigianerria annessa) e chi l'artigiano (e basta) ché, non ci sarebbe nulla di male, se non fosse che sputa sulle parole, su se stesso e quindi sul suo pubblico, sulla responsabilità che ha verso di loro (pubblico e parole). A distinguerli, artisti ed artigiani, non è comunque semplice, anche perché, ad ogni modo, può capitare, è capitato e capiterà che ci sia dell'arte anche in chi fa solo semplice artigianato, ma questo è un altro discorso: si chiamano scelte. Vivere per l'arte (libera, personale, sublime, vera) o adattare l'arte alle nostre ambizioni materiali? - Dovrei pagare una bolletta. Mi fanno aspettare un po'. Anche se è venuta dopo di me, devono fare presto presto prima che escono i numeri. - Mi giochi di nuovo questa? - Guarda qua, mannaggia, mancava un numero. In cinque minuti, tolte le vincite, in due spendono più di quanto debba spendere io per la mia bolletta. [Il gioco d'azzardo è un po' come il premio dell'aldilà. Ci scommetti, anche se sono nulle le possibilità di vincere. Oddio, credo di comportarmi da buon cittadino per regole (etiche?, morali?, non lo so), per motivazioni che vanno oltre, sopra, dentro, sotto un cielo stellato sporco di gas e sonde spaziali. Non c'entra nulla il premio]. Poi, se chiedi loro di investire, di scommettere su di un libro, su di un disco, ti guardano strano: è la spinta del mondo che vuole farti fuori, ti spinge verso il baratro, ti allontana dalle cose che contano e - senza nemmeno che te ne accorgi, senza nemmeno poter far ormai più nulla - ti aggrappi disperatamente al primo/ultimo appiglio che ti passano ( che vogliono farti credere ti resti). Ma anche questo è un altro discorso: sono scelte. Stavo per pagare la mia bolletta, trentatré euro, e mi è venuto da pensare ai soldi, allo studio, alle fatiche, ai cessi lavati e che laverò pur di tenere pulita questa mia sporca fede, pensavo alla musica, ai libri e, toh, epifanie su epifanie - che Joyce mi fa un baffo - mi viene da pensare a Miryam Gison. Una pazza, una giocatrice d'azzardo furiosa, una cretina che ha l'assurda idea di dare fiducia alle parole. Quante possibilità ci sono che una libreria indipendente lotti, combatta e quindi resista nell'epoca e nella terra delle apparenze, del tutto e subito, del nulla cosmico, delle poche Orchestre, nell'epoca che Se studi sei uno scemo e te ne sei quasi convinto, dell'Uomini&Donne, del "Tizio ci ha saputo fare, è stato furbo, tu che avresti fatto al posto suo"? (oh, non sono idiota: certe nullità sono forse sempre esistite, ma oggi sta divorando tutto e tutti). Secondo me, potenzialmente, nonostante tutto, comunque tante, molte di più di quante non ce ne siano, giocando d'azzardo. Allora, per scrupolo, facciamo un calcolo sciuè sciuè: un libro per ogni lettore, diviso il costo di un gratta e vinci, elevato al numero di dischi venduti da un artista indipendente, sommato a enne risvoltini per un numero imprecisato di gambe, gambe che corrono, passeggiano ma non sanno dove vanno, meno il numero di scarpe di Emma Marrone... - Vedi che qui ho vinto, giocamene ancora un paio, ti devo dare ancora dodici euro, vero? A San Giorgio a Cremano, in provincia di Napoli, Miryam Gison cammina, pensa, riflette, progetta, dà spazio, crea spazio, rimugina, crea, produce, investe, scommette sul bello, non sulle probabilità: per questo è una bella persona. Una persona che sa bene che in ogni singola parola c'è un macigno da sollevare, una scommessa che bisogna vincere, che va vinta, non c'è altra alternativa. Ma per farlo, bisogna essere insieme ché da soli, per fortuna!, non si va da nessuna parte: siamo una grande spaziale enorme officina, anzi una Bottega, operai, faticatori, inzozzati di inchiostro e bellezza. Perché abbiamo scelto di scommettere sulle parole, sulle nostre, quelle degli altri, quelle di ieri, domani e dopodomani e, porca puttana, bisogna crederci! Per noi, per la responsabilità che abbiamo, non tanto nei confronti di chi c'è stato e di chi sarà, fanculo, ma per ciò che dobbiamo a noi stessi ché, se una libreria indipendente chiude, perdiamo tutti. Si perde in gruppo. Né buoni, né cattivi, ma solo un enorme gigantesco baratro, lontano dalle cose che contano, senza più nessuno appiglio, senza più nessuna chance, doppia chance, gol, golgol; nulla da guadagnare, nulla da mettere in tasca, nessun gratta e vinci, niente di niente, niente per nessuno. Nessuna differenza. Perciò: Lettori di tutto il mondo, uniamoci! (E, niente, ero andato a pagare una bolletta).
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March 2019
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