Sarà che sto studiando con entusiasmo "Lo cunto de li cunti" di Basile, sarà che sono affascinato dalle storie, come quando la Domenica il nonno (leggi qui) racconta della guerra, della gioventù, della fame, dei suoi tempi, oppure quando la nonna, zitta zitta, sottovoce, come stesse raccontando l'inciucio più inaudibile del quartiere, ti sa raccontare tutti i convenevoli e gli sconvenevoli di quando era giovane lei; sarà che adoro le realtà raccontate come fossero fiabe, fatto sta che voglio raccontarvi una storia. Una storia diversa da quelle di Basile, dove spesso i finali sono cruenti e noir. In mezzo, però, ci sono le solite difficoltà: pendii, castelli (di tipo kafkiano e non), buio, orchi streghe e malocchi, la retorica di una narrazione che richiede necessariamente di attaccarsi alla realtà e ai dati di fatto. Sullo sfondo, in mezzo, nelle intercapedini del respiro e dei c'era una volta, fuori, dentro, in petto, c'è Secondigliano. Se Napoli fosse un gigante e ogni suo quartiere un organo vitale, Secondigliano sarebbe lo stomaco. Il cuore lasciamolo agli altri. Secondigliano è lo stomaco, il mal di pancia, la bile che ti sale in corpo, l'ansia, quella sensazione di cazzotti giusto al centro, a cazzimma, sotto lo sterno, l'innamoramento delle farfalle spappetianti, dove ti prende l'odore buono di "Carmeniello" e "Tonino", la rabbia per i cinema chiusi, il coprifuoco non fare tardi che fa buio, è il sangue che non riesce a starsene buono sotto i teli bianchi, che ti strappano in un colpo solo infanzia e adolescenza, è la merda, l'amore e, per costruzione deandreiana, l'una e l'altra. Questo grande stomaco, con i suoi cinquantacinquemila abitanti, unisce la provincia al centro; con l'aeroporto, collega il meridione con il resto del mondo, è il punto di arrivo e partenza per milioni di turisti, emigranti, viaggiatori, mercanti, imprenditori, sognatori artisti e innamorati. Eppure pare che chi di dovere se ne dimentichi troppo spesso, o che quasi non ci faccia caso. Si cura il cuore, sennò si muore subito; si va dall'oculista ogni giorno, sennò come vedi il sole il mare e tutto ciò che ti dà subito bene; i timpani vengono revisionati di tanto in tanto, sennò come senti le canzoni, il suono, la voce di chi ti ama; e lo stomaco? viene tartassato, a discapito dei consigli del medico, come il paziente malato di diabete che se ne frega di tutto e di tutti, arrivando pure alla bugia, nascondendo ogni piccolo peccato di gola. E in fondo, è dentro lo stomaco di una balena che Giona e Pinocchio sopravvivono e anzi rinascono. Le vicende di Secondigliano le conoscete tutti, non c'è bisogno che mi metta a fare ulteriori divagazioni: dopotutto, è la storia di molti quartieri, delle periferie, di una Napoli che divora tutto e tutti, in contraddizione perenne con se stessa e che, al medico, non è capace di raccontare che si è divorata mezza pastiera con un bel bicchiere di coca cola vicino. Autolesionista spesso. Ipocrita abbastanza. Ma dopotutto, già ce lo siamo detti in un'altra occasione: Napoli è così, sempre in piedi. Come un miracolo dopo una bestemmia. E, lontana e allontanata dalle istituzioni, resta in piedi grazie a principi e principesse, re e regine, scudieri e cavalieri, giullari e trovatori, maghi e fate. Esseri speciali che hanno smesso i panni del mondo fantastico, per farsi carne ossa e sudore, resistendo a bestemmie, incendi e guerre, faticando, forse oltre il dovuto, per dare più accoglienza a miracoli e magie. Spesso basta poco: voglia di esserci, partecipazione, appartenenza. E i ragazzi dell'associazione Larsec, acronimo di Laboratorio di Riscossa Secondiglianese, la sanno bene la storiella. Quanto adoro questo termine: Riscossa. Come un moto assopitosi per un breve tempo, dopo il sortilegio magico, il bacio risvegliatore, tutta anchilosata ancora, la bella addormentata si sveglia piena di arteteca. Giustamente, ha voglia di rifarsi e di fare la piccerella. Immaginatevi la scena: la principessa, addormentata e inattiva (capite a me!), viene svegliata dal più bello dei principi dei sogni ed è chiaro che, non pensandoci nemmeno due volte, gli salta addosso 'nfojatella. Ve l'ho detto: Ha voglia di fare, la piccerella. Ambress ambress. Sentirsi secondiglianesi, nelle mani, col cuore, fin dentro lo stomaco, senza mai sentirsi di passaggio. Difenderla, curarla, farla conoscere al mondo per altre storie, per altri cunti. La riscossa parte dal di dentro, dal centro del quartiere, nello stomaco, nel bel mezzo del bosco, tra sterpaglie e alberi che non vogliono che il sole passi e riscaldi. L'associazione, i ragazzi dell'associazione, nel bel mezzo di quello che, per molti, è il centro operativo degli orchi cattivi, hanno portato cultura, libri, musica, eventi fino a sera, oltre il 'coprifuoco'; corsi per imparare a lavorare la pasta per fare la pizza, corsi per imparare ad utilizzare il computer, presentazioni, l'arte da strada, un percorso turistico con tanto di guida per conoscere le bellezze storiche del quartiere; ma cosa più importante di tutto: hanno insegnato ai ragazzini del luogo che c'è altro e che quest'altro non è retorica melense o una fiaba vecchia e stantia, ma realtà. Pura e semplice realtà. La Riscossa cancella, o meglio demolisce, il C'era una volta, pretende la contemporaneità che è genitrice del futuro, pronipote di un passato che deve diventare ricordo. La Riscossa sta nel ridare uno spazio culturale, spazi di lettura, spazi per il cinema, spazi per la musica. Spazi, universi, galassie. La Riscossa è davanti agli occhi di chi ci crede, di chi trova il coraggio di restare nel proprio quartiere e costruire, di non trovare in queste parole il solito blàblà circostanziale ma un punto di partenza concreto e reale. Parlo da testimone, da chi, in prima persona, questo cunto l'ha visto e sentito addosso e nello stomaco. E questa è una cosa di quelle cose di cui ne andrò sempre immensamente fiero. Portandolo negli occhi, nella testa, nel cuore, ma soprattutto, nello stomaco. To be continued....
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March 2019
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