Quando si svegliava felice, era già un successo. Oddio, la parola felice è già un'iperbole di fesserie. Potremmo accontentarci di chiamarla “serenità” questa sensazione di aponia e comunque sarebbe una mezza afasia che ci condurrebbe ad un inevitabile aporia. In breve, quella mattina si svegliò col pisello dritto e questo è quanto. Un gonfiore di buone sensazioni. Un successo, ve lo assicuro. Si guardò allo specchio senza farsi schifo. Una conseguenza del pisello dritto, pensò, ma poi si accorse di aver dimenticato di mettersi gli occhiali e iniziò a spazientirsi, tuttavia, quando se li mise, – grazie a Iddio - la situazione non gli dispiacque. Nemmeno le borse sotto agli occhi lo infastidirono tantoché, per uno affetto da insonnia cronica, era il minimo, pensò. Si lavò con calma, si spazzolò i denti con maggiore frenesia e vestirsi fu un'operazione a dir poco gradevole. Il giorno prima s'era comprato una camicia a quadroni gialla e, nonostante somigliasse ad un noto personaggio della tv locale, vestito così, non ebbe alcun dubbio sulla sua mise. A sua difesa, però, va detto che ad agevolare l'acquisto della suddetta camicia influirono ben due fattori da non sottovalutare: - fattore uno: innanzitutto, il petto procace dalla commessa e il suo dannato sorriso. Spieghiamoci: in quel negozio non c'era nulla che gli piacesse. Solo pantaloni alla pescatora, altrimenti detti a zompafosso, e camicie modello slim fit, altrimenti dette per anoressici. Ma poi, quando la commessa si presentò con quella camicia a quadroni, larga di spalle e perfetta sui fianchi a misura di birra, e con un sorriso ammaliante che traspariva voglie di vendita ad ogni costo, non fu difficile prendere una decisione - fattore due: il suo quasi daltonismo. Non si accorse del colore giallo, in realtà quasi ocra, della camicia, e questo è quanto. Ad ogni modo, indossare qualcosa di nuovo lo aiutava a tenere il pisello diritto. Dicevo, si era svegliato vagamente allegro. Dopo essersi lavato, spazzolato e vestito, andò al bar sotto casa per fare una colazione sciuèsciuè. Andava di fretta, questo è chiaro. Perchè? per fare un salto in libreria e vedere esposto il suo ultimo romanzo. Lo faceva ad ogni nuova pubblicazione e, come di routine, anche quel giorno avrebbe guardato tra gli scaffali sotto la dicitura ultimi arrivi, avrebbe sorriso, traendo una bella boccata d'aria, e sarebbe andato via, lasciandosi alle spalle, nascosto tra un ammasso di rilegature e intercapedini del cuore, un pugno di ansie grande così. - così come? - così. Era chiaro che non lo facesse per vanità e nemmeno per motivi scaramantici dal modo in cui entrava e usciva dalla libreria. Non sono bravo con le parole ma – come dire? - era come se uscisse un po' più nudo e allo stesso tempo un po' più coperto di prima. “La combutta degli eroi di Cartagine”. Quando vide che gli ebbero cambiato il titolo, in un primo momento, andò su tutte le furie, ma poi si acquietò quasi subito, ricordandosi che il contratto che aveva firmato specificava che l'editore avrebbe avuto l'ultima inoppugnabile e insindacabile decisione in merito al titolo. D'altronde lui s'era già beccato un bell'anticipo sui diritti. E poi, il fatto che non l'avesse scelto lui, in un certo senso, lo rincuorava. E comunque, chi se ne fotte del titolo? L'importante è il contenuto, è vero, ma anche e soprattutto il fatto che sulla copertina ci fosse il suo fottutissimo nome: Carlo Pagellini. Siamo tutti d'accordo nel dire che Carlo Pagellini è un nome di merda, vero? Manager ed editore gli avevano consigliato di cambiarlo, per usare un nome d'arte più consono... più da artista: con un nome così non vendiamo neanche mezza copia, gli dicevano. Tuttavia, Carlo Pagellini non volle in alcun modo far uso di un nome diverso dal suo e, come un lieto fine gettato giù dalla provvidenza a mò di carità, la sua testardagine fu premiata. Nel giro di pochi anni divenne lo scrittore più letto e tradotto d'Europa. Certo, in famiglia lo trattavano ancora come il creaturo di casa, quello che giocava a fare lo scrittore, ma per le case di produzione cinematografica era un fottuto genio o, per meglio dire, la gallina dalle uova d'oro. Tutto quello che toccava finiva per lucciare sui fondali dei conti in banca di produttori, registi, attori, sceneggiatori, editori, parrucchieri, costumisti, truccatori, Carlo Conti. Quindi, fanculo ai nomi d'arte. Quella mattina, ancora mezzo felice, ancora col pisello dritto, ancora più soddisfatto per aver lasciato mezzochilo di paranoie qua e là tra gli scaffali della libreria, andò a sedersi su una panchina. Aprì la borsa e prese un libro che aveva iniziato a leggere qualche giorno prima. Gli mancava poco per finirlo. Pagina 323: un amore impossibile durato più di cinquanta stoici anni. L'inchiostro scorreva via leggero, morbido, che nemmeno si accorse di computare con devozione ogni singola parola, che nemmeno si accorse di essere arrivato a pagina 367 in pochi minuti, che nemmeno si accorse di averlo finito. Rimase in silenzio, lasciando al sole il compito di prolungare quell'improvviso dolce senso di vuoto e calore che lo aveva colpito dietro alla nuca. Fu un attimo, come un ricordo, e si rese conto di avere sessant'anni, di cui trenta passati a spargere frazioni di medeleine di lei, per lei, qua e là nei suoi racconti stravenduti, stracitati, stramilionari, con la vana speranza che lei, in un modo o nell'altro, si facesse viva. Non aveva creduto in lui, in Carlo Pagellini, e non avrebbe creduto in lui, nemmeno se avesse usato un nome d'arte. Se ne andò convinta che lasciarlo non potesse fargli che bene, convinta fosse meglio per entrambi - è vero - ma soprattutto per lui. Non la vide più, ma non riuscì mai a sbatterla fuori dalla sua routine. Per anni continuò a vederla ovunque, in ogni febbre del risveglio, in ogni biglietto del cinema conservato per ricordo, in tutte le orecchie che lasciava alle sue letture incomplete. Quelli che seguirono furono gli anni in cui Carlo sarebbe riuscito a non cedere all'idea di usare un nome d'arte. Le motivazioni di quell'impresa furono semplicemente due : - la sua rivincita doveva ottenerla come Carlo Pagellini, col nome&cognome di colui che sarebbe diventato di certo lo scrittore del secolo, quello annoverato, con più di dieci opere, nella lista dei cento libri da leggere per la BBC. - con un altro nome, temeva di non essere più rintracciabile. Aveva una fottuta paura di scomparire come carne e come uomo, e diventare, in questo modo, un'entità astratta per editori, per il mondo, per i lettori, per Lei. Non c'erano alternative: doveva farsi strada col suo nome&cognome, non solo perchè l'aveva preso in prestito dal nonno paterno e da tutta una stirpe di Pagellini (e a loro doveva un minimo di riconoscimento), ma soprattuto perché Lei potesse riconoscerlo tra gli scaffali di tutte le librerie del mondo e in qualche modo rimettersi in contatto con lui. Per trent'anni ha lasciato indizi nella sua prosa invasa da gladiatori, detective e morti ammazzati. Era come scriverle pagine di lettere, per un' unica corrispodenza infinita che non avrebbe avuto mai risposta. Forse s'era trasferita in un'isola deserta senza che potesse avere nessun contanto col mondo civilizzato. Un mondo dove tronista e corteggiatore erano termini legati ancora a simboli ed atmosfere di un mondo antico, romantico, pieno di oneri e virtù. Forse era stata segregata in casa da un marito ossessivamente geloso che le aveva privato di computer, televisione e salute. Forse non voleva avere nulla a che fare con lui. Forse era morta. Probabile. In ogni caso, la madre glielo diceva sempre quando era uaglione, quando una nuova malattia d'amore lo coglieva d'improvviso: "Alcune donne ci morirebbero, ma con tante altre, certe distanze non potrai colmarle con l'amore e l'onestà, figurati con la poesia". Chiuse il libro che stava leggendo, quello di 367 pagine. Scosse la testa, le spalle e la camicia giallo ocra a quadroni come se, in questo modo, avesse potuto scrollarsi da dosso tutte quelle briciole di infamità balzate giù dai capelli e da quel fottuto libro. Il cielo era limpido, o almeno così gli sembrava, almeno così avrebbe voluto uno scrittore navigato e metodico nelle descrizioni meteopatiche come lui. A dire il vero, ad essere precisi, qualche nuvoletta c'era, ma pareva non spaventare le rondini, abituate a penetrare con coraggio una, due, infinite volte il cielo sterminato. Le guardò con un po' d'invidia, poi, con lo stesso ordine di prima, scosse di nuovo testa, spalle e camicia giallo ocra a quadroni. Andò a finire che gli venne voglia di birra ed erano soltanto le 10.00. Ma non ci fece caso. D'altronde, s'era svegliato col pisello dritto. S'era svegliato felice.
1 Comment
Patty
7/3/2015 03:18:29
Bello!! E la continuazione? Si,alla fine.. 😄 Mi aspettavo un <continua> 😊☺ ciao Francesco!
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