Odore di borotalco, di Proraso, di capelli asciutti, odore di phon, di dopobarba, odore di panni sporchi di lavoro, di chi passa di fretta, così com'è, per farsi il capello bello per la propria moglie, o per l'amante, odore di caffè, di passi lunghi e veloci del guaglione che, dal resto, si aspetta la mancia, quella dieci lire che ti fa sentire grande. Odore d'infanzia. Ero piccolo e non saprei dire bene quanti anni avessi. Nemmeno l'anno mi ricordo. Potrei controllare su internet, chiedere a casa, ma significherebbe imbrogliare i ricordi, accavallare odori e sensazioni che, nella mia mente, sono un tutt'uno. In estate, andavo sempre da papà. Finita la scuola, l'educazione familiare consisteva nel fatto che, quei pochi spicci che avrei speso nella salagiochi, cornetti di notte e squarcionerie per farmi bello con le ragazzine, dovessi guadagnarmeli lavorando da papà che teneva una putechella, il Salone, sì, con la Esse grande: Papà era barbiere. Un luogo metafisico, il salone, in cui personaggi di ogni tipo e di ogni classe s'incontrano e, dedicandosi per un po' a se stessi, si scordavano che fuori c'era un mondo in cui, a volte, ci si può rincontrare anche da nemici. Papà dice spesso che, al mattino, non alzava la serranda, ma apriva il sipario. Ero piccolo. Non arrivavo nemmeno ai volti per fare le barbe. Al massimo, spazzavo per terra, piegavo i camici, ogni tanto mi prendevo una lavata di capo, spesso andavo a prendere il caffè per i clienti. Eccoti 3000 lire, va da quello in mezzo alla piazza, che mi piace di più, lo sai, io sul caffè so' vezziuse, non ti scordare la bottiglia di the freddo alla pesca, piglia l'Estathe che mi piace di più, pigliane due va e il resto tienitelo per te. Una volta mi diedero addirittura 1000 lire di mancia. La mia prima 1000 lire, cazzo. Ce l'ho ancora conservata come monito: ogni cosa ha l'odore della tua pelle, dei tuoi sforzi, soprattutto i soldi. Ad ogni modo, in estate, tra una sforbiciata e l'altra, vedevamo la Nazionale e noi stavamo lì attaccati a commentare le giocate, le formazioni, deve giocare Baggio ché del Piero non si mantiene in piedi, 'sto Cesare Maldini non capisce un cazzo, hai visto Cannavaro come se l'è marcato bello a quel bacchettone di Flo? Mannaggia a Di Biagio. Mannaggia a Trezeguet. In particolare, parlavamo di calcio mercato. L'Inter fa sul serio quest'anno, ha comprato Peruzzi. Il Napoli punta sui talenti e su Zeman. Il Milan ha preso Shevchenko. La Roma con Batistuta fa piangere i fiorentini. La Juve, la si schifava anche allora. E poi c'era lui, il Pirata. Lo amavano tutti. La bandana era diventata un simbolo di meravigliosa appartenenza, prima che Berlusconi la utilizzasse per nascondere il processo in atto di metempsicosi del pelo del culo in chioma stopposa. Sia chiaro, eh, non sono mai stato un grande fan di ciclismo, non ci capisco niente tutt'ora. Adoro i gregari, quelli che si fanno il culo, quelli che di fronte ad una salita non si fanno sotto dalla paura, quelli nati senza particolari talenti se non la grinta, la voglia di esserci, di lottare, di aiutare. Per il resto, come ho detto, non ci ho mai capito niente, né come si prendano i punti, né come si diventi maglia gialla, rosa, a pois, a scacchi. Ma lui era Marco Pantani, cazzo, e non contava nient'altro. Addirittura qui, dove abito io, giocavamo ad imitarlo. Improvvisavamo piccole tappe e, a cazzo, in base al numero di giri, di polvere pestata con le nostre mountain bike, di sudore sotto alle ascelle, ci davamo punti e presunte maglie colorate. Arrivavo sempre ultimo, come al solito, ma non importava, facevo finta non mi importasse. Alla fine l'ho un po' odiata la bicicletta: scomodo il sellino; la mutanda non si stava buona nei pantaloni, ché dovevo stare sempre a sistemarmela, a togliermela da lì, proprio lì in mezzo; incapace a regolare il manubrio e le marce non andavano mai bene. E poi, mentre tutti già stavano a giocare ad altro, mentre mi toglievo la mutanda da lì, tutto comicamente grottescamente storto sulla bici, vedevi me che arrivavo ultimo. Però a lui lo amavo, Marco Pantani. Lo amavano tutti e tutti erano con lui, soprattutto quando si metteva con le punte sui pedali e iniziava a volare, di salita in salita. Ricordo dicessero fosse la sua specialità. I nervi, le vene sul cranio grosse così, il sudore, lo sguardo fisso davanti, senza mai mollare la presa sull'asfalto, le curve infilate di seguito, una dietro l'altra, senza mai rallentare, senza mai cedere un attimo. Una volta - non riesco a farmi venire in mente a che tour, a che giro, in che anno - un tifoso troppo affettuoso lo fece cadere per terra, ma lui non si scompose. Era andato talmente in fuga, ma talmente in fuga, che si rimise in pista e vinse lo stesso quella tappa, e con molti secondi di vantaggio. Poi, un giorno, dissero che si dopava, che Marco Pantani, il Pirata, era stato un imbroglione. Ci si accanirono giornalisti, opinionisti, benpensanti. Rimasi deluso. All'epoca ero poco più che un bambino, provai a non crederci, ma la verità ce l'avevano soltanto i grandi. Sarà stato un caso, perdonatami la retorica ma, d'allora in poi, l'odore del Proraso non sarebbe stato più lo stesso. Coincidenza vuole che, da quell'anno non sono andato più al Salone a guadagnarmi le mie potenziali squarcionerie estive. Oggi, ho letto che Pantani non si è mai dopato, non nel '99, quando lo cacciarono dal Giro d'Italia, e improvvisamente sento di nuovo odore di Proraso. Il Pirata resta il Pirata. Aggiunto il 18/03/2016 Dalle indagini sta venendo fuori che la camorra ha boicottato Pantani perché, altrimenti, se avesse vinto, non avrebbe potuto coprire le vincite delle scommesse clandestine. Se Pantani vinceva, la camorra andava in banca rotta. Pantani, con una pedalata, stava per sconfiggere la camorra.
2 Comments
Gaetano Carillo Scialone
15/3/2016 23:05:16
Sono senza parole BELLISSIMA STORIA MI VIENE DA PIANGERE
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16/3/2016 15:37:50
Grazie a Te per aver dedicato un paio di minuti a questa lettura :D
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